La “decrescita” non può essere felice, ma depressiva

Opinioni | La decrescita è una prospettiva di progresso?

La “decrescita” non può essere felice, ma depressiva

In momenti di transizione emergono idee di retroguardia, che farebbero arretrare il mondo. Le giuste istanze per crescere in modo compatibile, un obiettivo alla portata dell’Umanità

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L’interessante articolo di Claudia Fiume, sul movimento per la decrescita felice, tratta di una corrente filosofico-morale che intende porre l’accento sulle nefaste conseguenze della crescita economica illimitata, in un sistema limitato per definizione qual è il pianeta che – spesso indegnamente – abitiamo.

Niente di nuovo sotto il sole, si direbbe, visto che nei momenti di transizione economica, di mutazione profonda dei sistemi produttivi e di avvio di nuove fasi della Storia dell’Umanità sono emersi movimenti pauperisti, millenaristi, contrari alle innovazioni e proponenti “passi indietro”, “arretramenti”, “ritorno alle origini”, “rifiuto delle novità”.

Il movimento luddista fu la risposta pauperista e anti-progressiva alla prima Rivoluzione Industriale. Il movimento per la “Decrescita Felice” – promosso da Maurizio Pallante e che ha in Serge Latouche uno dei massimi teorici – oggi ne ripercorre i sentieri filosofici, promuovendo un generale arretramento della tecnologia dalla vita quotidiana, un abbandono del consumo per soddisfare i propri bisogni, un ritorno all’autoproduzione per assicurare a ciascuno l’ottenimento delle risorse agricole necessarie all’autosostentamento. Mezzi indispensabili, nella visione dei filosofi della decrescita, per assicurare la vita del pianeta, sotto attacco dell’inquinamento prodotto da tassi di sviluppo industriale ormai quasi insostenibili.

A tutti è evidente che se il mondo (ex) sottosviluppato pensasse di ripercorrere le vie dello sviluppo industriale senza limitare le emissioni nocive, in modo analogo a quanto accaduto in Occidente negli scorsi decenni, il tracollo della Terra sarebbe dietro l’angolo. Eppure questa considerazione deve fare i conti con due importanti conseguenze. Anzitutto il pensiero ecologico, le istanze verdi, sono nate in Occidente, frutto di una riflessione possibile anche grazie al livello di benessere materiale assicurato dallo sviluppo industriale. In secondo luogo, le più avanzate politiche di sviluppo delle tecniche di produzione di energia rinnovabile (eoliche, fotovoltaiche, etc) sono oggi pianificate e realizzate in Estremo Oriente, in quell’Asia Felix dai tassi di incremento della ricchezza a due cifre. Segno di una lucida analisi dei limiti allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili e, di converso, dell’arretratezza culturale corrente in certi ambienti Occidentali, che fanno muro alle novità in campo energetico (si pensi, per esempio, l’opposizione all’eolico terrestre e off-shore, soprattutto nel Meridione d’Italia infestato dalla mala pianta criminale).

Non è però materia semplice, perché la coperta se non è cortissima, certamente non è infinitamente larga. Le riflessioni sui modelli di sviluppo necessitano aperture mentali, senso della realtà e capacità di innovare. In campo energetico, per esempio, un mix integrato di fonti rinnovabili e non rinnovabili è al momento indispensabile, ma in una prospettiva di più lungo termine (con decisioni da prendere nel breve) spostare sulle rinnovabili l’intero pacchetto di scelte è già possibile. La Svizzera, uno dei Paesi più nuclearizzati del mondo, ha fatto questa scelta e dallo scorso anno ha programmato l’abbandono dell’atomo – e il ricorso esclusivo a fonti energetiche rinnovabili – entro 30 anni. Una scelta lungimirante e coerente con la mission di un territorio vocato al “verde” (sia dei soldi, in senso lato, che del colore delle meravigliose valli).

Decrescere è possibile? Decrescere è innescare un nuovo modello di sviluppo? In definitiva, decrescere è pensare al progresso dell’Umanità o, viceversa, innescare un effetto domino involutivo, capace di creare una spirale depressiva, con l’impoverimento generale come ultimo stadio?

Il movimento per la decrescita mina un concetto moderno fondamentale: la divisione del lavoro e la partecipazione dei cittadini (non completa, spesso non razionale, magari ineguale e spesso ingiusta) alla vita sociale globale. Se tutti ci votassimo all’autoproduzione, chiuderebbero i mercati alimentari, con gravi ripercussioni occupazionali. L’esubero di manodopera non potrebbe essere assorbito dall’industria, che dovrebbe contrarre molto la propria produzione, sia per effetto di una diminuzione del denaro circolante, che per effetto del crollo della domanda.

Se tutti ci votassimo al trasporto animale, perderemmo la libertà di muoverci, quindi – per esempio – la libertà di andare a teatro, anche perché alle compagnie teatrali non verrebbe facilissimo spostarsi da un luogo all’altro: ci dovremmo accontentare della compagnia locale. Una delle conquiste della modernità è stata l’automobile, mezzo di conquista di varie libertà: libertà di muoversi per diletto, per lavoro, per piacere, per soddisfare bisogni culturali, sportivi, legati alle necessità sanitarie.

Se però l’Africa si motorizzasse con mezzi analoghi a quelli utilizzati dagli anni 30 dello scorso secolo ai primi anni del XXI in Europa e negli Stati Uniti, moriremmo soffocati tutti in un battibaleno. Anche in questo caso, lo sviluppo delle motorizzazioni alternative, basate sull’elettrico prodotto con tecnologie rinnovabili (attraverso sistemi fotovoltaici o il ciclo dell’idrogeno), rende possibile già oggi l’abbandono dei motori a scoppio e dei motori a gasolio. Se le industrie automobilistiche occidentali non attuano questo trasferimento radicale è per una serie di questioni connesse alla necessità di gestire una transizione: 1) ammortizzazione degli investimenti per la produzione di motori e cambi tradizionali; 2) ritardo nello sviluppo di tecnologie che rendano celere la carica (e lo scarico) delle batterie; 3) la limitatezza del litio, elemento fondamentale per gli accumulatori; 4) il ritardo nello sviluppo delle strutture di approvvigionamento energetico e del sistema di colonnine, indispensabili per assicurare una copertura a tappeto del territorio.

Temi coinvolgenti che richiamano certamente nuovi modelli di sviluppo, ma non certamente una decrescita che, a nostro avviso, porterebbe un arretramento della civiltà, del benessere e delle libertà. Un nuovo modello di sviluppo è certamente necessario, per dare al mondo nuove chances di sopravvivenza, ma pensare a una decrescita felice è, a nostro modo di vedere, una contraddizione in termini. Adeguare la produzione alla sostenibilità e rivolgere i consumi a un ciclo a impatto minimo sull’ambiente, al contrario, sono i termini di un’equazione in grado di soddisfare le necessità umane non a detrimento dell’ambiente.

Anzi, la Rivoluzione Verde è a nuova frontiera dello sviluppo e una delle chiavi per superare l’attuale impasse economica mondiale. Si pensi, per esempio, all’adeguamento e alla riconversione energetica del patrimonio immobiliare esistente, in grado di innescare nuova linfa nel sistema produttivo edile, in questo momento in uno stato di prostrazione quasi irreversibile. Si pensi alla transizione possibile nell’automotive e nell’autotrasporto, in grado di attivare una nuova fase di sviluppo nei reciproci settori.

Insomma, temi su cui vorremmo avviare un dibattito, che coinvolgesse i nostri quattro lettori. Nei prossimi giorni apriremo un blog per discutere di nuova crescita e di decrescita, con l’auspicio di attirare la vostra partecipazione alla discussione.

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