Vettel è un campione di sport, per essere uomo deve fare ancora strada, molta. Rosberg e Webber sono uomini, lo saranno a vita

La gara vista con gli occhi della memoria. Impietoso confronto tra Red Bull e Mercedes: confusione e idee

Lo “sgarbo” a Mark Webber, fidatosi delle indicazioni del team, è una pietra miliare nei rapporti interni alla Red Bull. Alla Mercedes impongono uno stop alla smania (comprensibile) di Rosberg, difendendo la squadra, prima che Hamilton

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Sebastian Vettel è un campione di sport: tre titoli iridati consecutivi non si conquistano solo per il supporto aperto di un team, condizionato dalle scelte strategiche di Helmut Marko, superconsulente del team anglo-austriaco.

Quello accaduto oggi al 46° giro mostra in modo inequivocabile che Vettel non è un uomo nel vero senso della parola, è solo un ragazzo fortunato e proiettato in un mondo luccicante e pieno di opportunità. Per essere uomini occorre la forza di prendersi le responsabilità del proprio ruolo, adempiere gli accordi presi (non sempre confessabili apertamente), moderare i propri bollenti spiriti.

Altrimenti la parte che si recita è quella dei bimbi piccoli, che piangono e si portano via la palla, se non giocano; ovvero pretendono di dormire nel letto dei genitori, ma non controllano la minzione. Un detto siciliano sancisce questa verità: “cu si curca che picciriddi, si susi pisciatu” (chi si corica con i bambini, si alza bagnato della loro pipì).

Insomma, oggi Mark Webber ha mostrato di essere un uomo e un grande professionista, cedendo alla tentazione di riprendersi il “mal tolto” (secondo gli accordi e le indicazioni della squadra). E ha mostrato di avere quella lucidità belluina che Gilles Villeneuve non seppe manifestare nel modo giusto 30 anni fa: ha subito parlato in conferenza stampa sul podio del brutto gesto, della mossa poco professionale e della manovra pericolosa di Vettel, un modo per togliersi la tensione senza aspettare che si calcificasse nel cervello. Che alimentasse un malumore foriero di tragedie.

Tra Pironi e Villeneuve a Imola nel 1982 accadde una cosa analoga e sappiamo tutti quel che accadde quindici giorni dopo. A Webber non accadrà, al massimo la prossima volta tamponerà Vettel e si guadagnerà il giubilo di migliaia di appassionati (molti europei: per la Germania non è un buon momento di popolarità…). Webber non sarà un campione di sport, ma è un uomo. Una condizione che, quando un giorno cambierà lavoro, gli rimarrà appiccicata al petto come una medaglia.

Discorso che può essere copiato con carta carbone anche sulla Red Bull, grazie all’impietoso confronto con la Mercedes, che ha letteralmente fermato negli ultimi giri Nico Rosberg, scalpitante (ottimo approccio, dal suo punto di vista) su Lewis Hamilton, preferendo il risultato certo per l’incertezza di una lotta senza senso (visti i distacchi dai primi due).

Costruttori di automobili e venditori di bibite, diranno i maligni. Forse solo la percezione di giocare un ruolo che va oltre lo sport e coinvolge un complesso di stakeholder (portatori di interesse, ndr) ampio, che include anche gli spettatori, tra cui molti giovani senza idee, senza principi etici, per i quali tutto è possibile solo se è fattibile. La Mercedes oggi ha dato contenuto al concetto di “professionalità”. Nico Rosberg ha mostrato di essere un professionista e un uomo, malgrado la giovane età. Una buona premessa per essere un campione in pectore. Non è poco.

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John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.