“Io voglio restare”, il manifesto dei giovani che non vogliono emigrare

News, Cronaca | Come si può arginare il male della disoccupazione giovanile?

L’appello dei giovani che vogliono provare a “cambiare il paese, per non cambiare paese”

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Nonostante il continuo bombardamento di dati negativi sulla disoccupazione giovanile, ci sono giovani che non vogliono restare indifferenti. È reale e innegabile che i NEET (acronimo inglese di Not in Education, Employment or Training), ossia quei giovani che non studiano, non lavorano, né cercano un’occupazione, sfiorino ormai il 22,7%, un dato allarmante e significativo che lascia poco spazio alla speranza e all’ottimismo. Come rivela infatti un’indagine dell’Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, i 14 milioni di giovani inattivi sono infatti una risorsa perduta che, se integrata nel circuito produttivo, contribuirebbe ad incrementare l’economia dell’Unione Europea dell’1,2%.

Il primo pensiero, quando si parla di disoccupazione giovanile, va immediatamente all’abusata «fuga di cervelli», che negli ultimi tempi sembra essere l’unica ancora di salvezza per non soccombere allo sconforto della critica situazione economica italiana. Tuttavia, non sempre si hanno gli strumenti che consentano di partire, lasciare tutto o quel poco che si ha e tentare la fortuna altrove. Infine, una buona percentuale di giovani che la scelta di emigrare vorrebbe compierla in autonomia, senza esserne obbligati.

Questo sentimento di rivalsa sulla propria condizione esistenziale precaria ha spinto il consolidamento di un movimento di giovani, “quelli che non vogliono andar via”, non per puro spirito masochistico di resistenza al precariato e alla crisi sociale, ma perché vuole essere parte del cambiamento e non solo spettatore.

Il Paese non cambia da solo e non lo si cambia da soli”, “Un progetto di paese o un paese a progetto”, “La risposta di una generazione che non si arrende sono solo alcuni dei moniti di “Io voglio restare”, iniziativa partita dalla Campania, poi diffusasi in maniera virale in rete e finalizzata a spronare la nascita di un comitato “per il cambiamento” in ogni città e in ogni regione, non solo per protestare, ma proprio per presentare un progetto collettivo concreto di ricostruzione dell’Italia.

I giovani di “Io voglio restare” pensano di essere una risorsa sprecata, rivendicano la difesa della propria dignità e vogliono svolgere un ruolo propositivo per prendere in mano il proprio futuro e quello dell’Italia, nella fiducia che le reti di collaborazione possano modificare il destino del Paese.

Questi giovani chiedono un Paese all’altezza delle proprie aspettative, dei bisogni, delle speranze. Non si tratta di un movimento  ideologizzato, ma di una campagna nazionale di partecipazione politica, di impegno sociale e di iniziativa pubblica, che intende radicarsi nel territorio e scegliere gli strumenti opportuni con cui confrontarsi sui temi più cari a tutti: la questione generazionale, la precarietà, il welfare, l’ambiente, temi essenziali per un futuro sostenibile e realizzabile.

L’urlo di questi ragazzi si può leggere sul sito internet www.vogliorestare.it, in cui è pubblicato il manifesto del movimento e le motivazioni che hanno portato a questa mobilitazione generale: «Non vogliamo il posto di qualcun altro, vogliamo costruire il nostro. […] La politica continua a rifiutare di assumersi le proprie responsabilità, ed emblema di ciò è la recente riforma del mercato del lavoro che – nonostante le false promesse – non ha dato alcuna risposta concreta a tale situazione».

Il senso di responsabilità di questi giovani nei confronti della propria terra è l’essenza del manifesto, che viene presentato in 10 punti: si parte dall’estensione degli ammortizzatori sociali a tutte le tipologie di lavoro parasubordinato e dall’istituzione di un reddito minimo garantito, passando per i diritti universali di maternità e paternità, l’indennità di malattia, il diritto di sciopero, il superamento di ogni discriminazione connessa all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Ma l’attenzione è rivolta principalmente al lavoro: combattere l’abuso di stage e tirocini, rivedere il regime pensionistico per i lavoratori con contratti atipici e per i lavoratori autonomi, riformare i centri per l’impiego con l’obiettivo di uniformare il collocamento italiano agli standard europei, con poli multifunzionali e spazi di coworking, incubatori d’impresa, orientamento al lavoro e alla formazione continua.

La parola d’ordine è restare. Restare per riformare, restare per cambiare, ma soprattutto restare per non dover rimpiangere un giorno la propria terra lasciata a se stessa, in balìa della distruzione sociale.

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@charlotte_braun

Claudia Fiume

Laureata in comunicazione con una tesi sul rapporto tra il reale e l'immaginario nel cinema, ho collaborato per alcune testate online come web content editor. Collezionista di immagini sul desktop e di ricettari disordinati su cui annotare imprese culinarie più o meno riuscite. Quando non faccio niente di tutto questo, twitto in modo compulsivo di tv, attualità e social media. Su THE HORSEMOON POST scrivo di tutto questo, ma anche di cinema e lifestyle.