Napolitano grazia il colonnello Joseph L. Romano III. La condanna di Nicolò Pollari è un fatto grave

La ripetuta apposizione del segreto di Stato non è stata sufficiente a far desistere da un procedimento penale che non avrebbe mai dovuto iniziare. Ridisegnare l’organizzazione dello Stato, prima che sia troppo tardi

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Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “ai sensi dell’articolo 87, comma 11, della Costituzione, ha oggi concesso la grazia al colonnello Joseph L. Romano III, in relazione alla condanna alla pena della reclusione e alle pene accessorie inflitta con sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 dicembre 2010, divenuta irrevocabile il 19 settembre 2012” recita il comunicato stampa diramato dal Quirinale ieri (comunicato integrale). Con Romano (nella foto in basso a sinistra), ufficiale USAF di stanza nella base di Aviano, erano stati condannati anche Robert Seldon Lady, capo stazione CIA di Milano, e altri ventidue agenti di Langley.

20130406_joseph_l_romano_760x500La vicenda, come si ricorderà, riguarda il “sequestro” del noto benefattore dell’umanità Abu Omar – al secolo Hassan Mustafa Osama Nasr – imam di Milano, prelevato il 17 febbraio 2003 nel capoluogo meneghino nel corso di una operazione di intelligence operativa condotta dalla locale stazione della CIA. Due anni dopo il GIP di Milano, Guido Salvini, emise a carico di Abu Omar un’ordinanza di arresto per terrorismo, ancora pendente.

Il 15 dicembre 2010, la Corte di Appello di Milano inflisse pesanti condanne ai ventitré agenti di un servizio segreto alleato (e sodale: la CIA), mentre per il direttore del SISMI, generale Nicolò Pollari, e per il comandante del Nord Italia del servizio militare, Marco Mancini, fu stabilito il non luogo a procedere perché la loro attività era coperta dal segreto di Stato, apposto da tre presidenti del consiglio, Prodi, Berlusconi e Monti, di tre differenti compagini politiche. La Cassazione, il 19 settembre del 2012, ha annullato con rinvio la sentenza su Pollari e Mancini e altri tre funzionari del SISMI – Giuseppe Ciorra, Luciano Di Gregori, Raffaele Di Troia – ritenendo che vi fossero reati non coperti da segreto di Stato, ma confermando la condanna per gli agenti della CIA, tra i quali il graziato Joseph L. Romano di evidenti origini italiane.

Il 12 febbraio 2013, la Corte di Appello di Milano ha condannato Nicolò Pollari, ex direttore del SISMI, a 10 anni 20130406_pollari_760x532di reclusione e Marco Mancini a 9 anni, riconoscendo la tesi della Cassazione sulla portata troppo ampia e parzialmente illegittima dell’apposizione del segreto di Stato apposto dai governi succedutisi negli anni. Nella stessa sentenza, la Suprema Corte ha condannato a sei anni gli agenti Ciorra, di Troia e di Gregori. Sentenza emessa nonostante quattro giorni prima – con seduta convocata all’inusuale orario delle 22 – il Consiglio dei ministri avesse deliberato di elevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di fronte al giudice naturale, la Corte Costituzionale. Un fatto grave.

Vorremmo evidenziare che, nella sintetica ricostruzione della vicenda, abbiamo volutamente omesso i nomi di pubblici ministeri e giudici, perché questa storia è grave al di là delle persone coinvolte, riguarda – come dice Pollari (al quale non sono legato da alcun vincolo di alcuna natura: neanche territoriale di nascita) – un problema di funzionamento della democrazia italiana. Appartiene alle storture istituzionali di un Paese in declino per il peso della burocrazia che si arroga il potere di assumere scelte politiche per cui non ha competenza, né legittimità: come quella di partecipare a un’operazione legata alla sicurezza nazionale.

La Corte di Appello di Milano, secondo quanto sostiene Pollari (circostanza di cui si avrà evidenza leggendo le motivazioni della sen20130406_marcomancini_760x500tenza) non avrebbe accolto due lettere con cui il Governo Monti avrebbe confermato l’apposizione del segreto di Stato sulle attività istituzionali – e quindi lecite – del SISMI e dei funzionari del servizio sotto processo, perché le due missive non erano firmate dal presidente del Consiglio dei Ministri, ma dal direttore dell’AISE (che nel frattempo ha sostituito il SISMI) e del DIS. Quindi la condanna a dieci e nove anni sarebbe avvenuta per un mero cavillo burocratico, da azzeccagarbugli, visto che AISE e DIS dipendono direttamente dal vertice istituzionale del potere esecutivo.

In precedenza, la Corte di Appello e la Cassazione avevano censurato, con un colpo di spugna, la politica estera italiana e le alleanze strategiche strette dal Paese dal 1945 in poi. Di fatto – un inedito giudiziario e perfino storico – denunciando l’adesione all’Alleanza Atlantica e all’OTAN (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, meglio nota con l’acronimo anglosassone NATO), che della prima è solo il braccio militare. Peggio di una corte giudiziaria indiana.

Il secondo aspetto che ci preme evidenziare è di natura politico-internazionale. La pratica delle extraordinary renditions aderiva a una precisa disposizione presidenziale americana, emanata da George Bush all’indomani dell’11 settembre. Sulla base di questa decisione, nel dubbio tra estradare e giudicare (aut dedere aut judicare), si decise la via più sbrigativa di incarcerare i sospetti terroristi islamisti in carceri al di fuori del territorio americano (Guantanamo), per sottoporli a un processo in cui non erano riconosciuti tutti i principi del giusto processo anglosassone ovvero di consegnare i sospetti terroristi alle autorità giudiziarie degli Stati di origine, non sempre esemplari nel riconoscimento dei diritti umani della popolazione carceraria. Il fine però era quello di sottoporre i terroristi a un processo giudiziario.

20130404_abu_omar_760x475L’alternativa alle extraordinary renditions di Bush è costituita dalla pratica degli assassinii mirati, grazie agli UAV (Unmanned aerial vehicle) – meglio noti come drone – ordinata dal premio Nobel per la Pace, Barak Obama, il quale ha sciolto il dubbio groziano aut dedere aut punire con un più pragmatico eliminare, tout court. Con un missile, un’autobomba, un colpo di sniper. Una differenza che lascio ai nostri quattro lettori giudicare.

Morali della favola (tristissima per servitori dello Stato come Pollari e colleghi): funzionari dello Stato non si possono difendere con tutti i mezzi, perché l’uso di alcuni di questi mezzi implicherebbe la violazione di norme penali sul segreto di Stato e l’esposizione dell’Italia a pericoli per la propria sicurezza nazionale; organi dello Stato (giudici di Appello e Cassazione) contravvengono decisioni politiche, lecite in quanto legittime, prese da altri organi dello Stato all’uopo individuate dalla Costituzione; le relazioni tra gli organi di sicurezza statunitensi e italiani sono state danneggiate in modo grave per difendere un sospetto criminale, individuato come tale da altri organi giudiziari, sembra uno scherzo ma è così.

Insomma, un groviglio di competenze e di presunzioni di competenze che rende invece evidente la necessità di una riforma istituzionale che vada al di là della mera separazione delle carriere per gli appartenenti all’Ordine Giudiziario o la riformulazione dei poteri dell’Esecutivo e degli organi legislativi.

All’Italia serve riscrivere, con estrema celerità, le regole di funzionamento di un sistema aggrovigliato e in cui i “poteri” non remano tutti dalla stessa parte, ma seguono rotte diverse e spesso incompatibili. Ne patiscono i funzionari dello Stato come Pollari, ne subiscono ogni giorno la conseguenza i cittadini “ordinari”, per un recupero crediti, per un regolamento di confini o per un risarcimento di danno. Dopo il declino c’è il fallimento e la auto-debellatio dello Stato italiano. Con conseguenze tragiche per tutti.

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2 pensieri riguardo “Napolitano grazia il colonnello Joseph L. Romano III. La condanna di Nicolò Pollari è un fatto grave

  • 07/04/2013 in 19:57:52
    Permalink

    Abrogazione dei Servizi Segreti Italiani per via giudiziaria.

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