GP di Cina, penalità e polemiche. La Formula 1 è ancora uno sport?

Webber penalizzato per l’incidente con Vergne, Gutierrez per aver tamponato Sutil, la Red Bull per aver causato una situazione di pericolo. Tra Salomone e Pilato, la FIA fa l’ennesima brutta figura. DRS da abolire, subito

20130415_f1_ev3_post_gp_china

Alla fine del GP di Cina, corso oggi sulla pista si Shanghai, ci si aspettava una sventagliata di penalità nei confronti di Sebastian Vettel e Mark Webber della Red Bull, di Kimi Räikkönen e Romain Grosjean della Lotus, del pilota finlandese della Williams Valtteri Bottas, di Daniel Ricciardo della Toro Rosso, di Max Chilton della Marussia e di Jenson Button della McLaren. Tutti rei di avere utilizzato il DRS in regime di bandiere gialle, ossia nel momento in cui ne è vietato il ricorso.

La questione riguarda la defaillance tecnica della telemetria utilizzata dalla FIA, come nelle prime due corse della stagione, che invece lo scorso anno consentiva alla direzione di gara la disabilitazione del sistema dell’ala mobile sulle monoposto, in ogni situazione fosse proibito.

Nonostante il profluvio di “avvisi di garanzia” durante la gara (aspetto su cui torneremo fra un attimo), alla fine i commissari sportivi hanno deciso di non fare niente. Se sia atteggiamento salomonico o pilatesco, lo lasciamo ai nostri quattro lettori. La motivazione ufficiale è stata che (1) c’è stato un ritardo di un minuto, dall’esposizione delle bandiere gialle fino all’apparizione del messaggio sul sistema ufficiale; (2) il sistema elettronico che disabilita il DRS non era operativo, quindi i piloti dovevano basarsi sulle comunicazioni dei team e le informazioni loro fornite nelle “Note ai team” prima della gara sono state fuorvianti; (3) il DRS è stato usato sul rettilineo principale, dove era accesa una luce verde. Insomma, imbarazzante.

A noi interessa rilevare che la FIA è in piena confusione, tecnica e regolamentare. Considerato che i problemi alla telemetria permangono, perché non vietare il DRS fino a quando i sistemi di rilevamento non torneranno a funzionare? E poi, che senso ha disturbare la gara di piloti – con un avviso di indagini in corso – per una circostanza che può essere valutata con diverse modalità di controllo, da parte della stessa direzione di gara?

In tema di confusione, per esempio, perché penalizzare Webber (tre posizioni in griglia al prossimo GP del Bahrain) per il contatto con Vergne (cugini coltelli…), se la norma quest’anno dà inspiegabilmente la precedenza a chi sorpassa, a patto che abbia il muso all’altezza della ruota posteriore del sorpassato? Misteri…

E ancora, il tamponamento di Adrian Sutil (chi la fa, l’aspetti…) da parte di Esteban Gutierrez è stato sanzionato con l’arretramento di cinque posizioni in griglia in Bahrain, una penalizzazione tenue, al limite della carezza, per uno che ha – semplicemente – sbagliato il punto di frenata, fiondandosi sul posteriore altrui. Un carezza data a Gutierrez, perché Carlos Slim intenda?

Infine, il buffetto elargito alla Red Bull – 5000 Euro – per aver causato una situazione di pericolo, nel fare uscire Webber con la posteriore desta non serrata a dovere, sembra l’avallo di un boicottaggio ai danni dell’australiano, perché è il sequel della vergognosa gestione del carburante in qualifica, costata la gara a Webber.

Insomma, questi temi ci spingono a porre un quesito importante, che dovrebbe porsi anche la Ferrari (a meno che non siano impazziti tutti in quel di Maranello): la Formula 1 è ancora una disciplina sportiva? O invece non è diventata – forse in modo irrimediabile – un’attività legata allo spettacolo, che mantiene l’apparenza di uno sport, ma ha perso la sostanza connessa ai principi promossi dal Comitato Olimpico Internazionale?

Siamo certi che il business per il business non abbia soppiantato ogni residua incrostazione sportiva? Siamo certi di non assistere alla rappresentazione di uno sport, a uso e consumo di strategie di marketing legate a risultati “certi” e che questo non abbia fatto evaporare l’alea connaturata a una competizione che è davvero tale?

Un follower ci ha chiesto via Twitter: “come giudichi queste Pirelli?”. Risposta: “fossi l’amministratore delegato licenzierei il marketing”. Battuta che va spiegata, per evitare fraintendimenti. La Pirelli è un grande costruttore di pneumatici, seconda ad alcuno. Un’azienda in espansione con le carte in regola per essere player industriale globale e protagonista in ogni ambito del motorsport.

Resta ai nostri occhi un mistero perché i decisori della casa milanese abbiano accettato le richieste dei costruttori di Formula 1 fornire un prodotto che favorisca lo spettacolo attraverso il suo deterioramento rapido e repentino. Un effetto contraddittorio rispetto alla gomma di serie e alle decisioni di acquisto dell’automobilista ordinario, che magari non conosce bene il motorsport e la F1. Nella migliore delle ipotesi, il fornitore unico della Formula 1 avrebbe dovuto cercare un compromesso (ma a proprio favore), per non alterare l’immagine del prodotto di serie.

Insomma, noi pensiamo che il barone de Coubertin abbia motivo di lagnarsi dagli Stadi Sconfinati dell’Aldilà, perché questa Formula 1 non è più uno sport, è solo un’attività “b2b” (business to business, ndr), molta rappresentazione teatrale, nessuna vera competizione. Se al terzo GP della stagione Ecclestone si lascia scappare “sarei meravigliato se la Ferrari non vincesse il mondiale”, al netto di chi beneficia di ogni attenzione in più al prodotto sportivo che distribuisce, non è forse il segnale di un senso della misura perso? Può il detentore dei diritti commerciali della F1 propendere per uno dei competitori, seppure di altro lignaggio come la Ferrari?

Le calamità che hanno colpito Webber misteriosamente, dopo i fatti di Sepang, sono solo una casualità Massa, finalmente al livello del compagno di squadra per velocità e consistenza, sprofondato nelle sabbie mobili del centro classifica e attardato da gomme che gli danno sottosterzo, l’assetto che più odia, è solo il frutto di episodi slegati tra loro, se non nel vincolo dell’accidente incontrollabile? O c’è una gelida manina dietro?

Giulio Andreotti ha più spesso affermato che “a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina” e non sappiamo perché, sentiamo l’irrefrenabile esigenza di andarci a confessare… Reverendoo, scusi, ha una mezzorettaa…

© RIPRODUZIONE RISERVATA