Romano Prodi non ce la fa al quarto scrutinio. Domani quinta tornata della farsa vergognosa di un Paese ostaggio del PD e di Grillo

Il mentitore alla Commissione Mitrokhin (cfr Paolo Guzzanti) non ce la fa a diventare presidente della Repubblica al quarto scrutinio. domani quinta sessione di voto…

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Lo spoglio della quarta votazione per l’elezione del presidente della Repubblica è appena terminato a Montecitorio e da un primo conteggio provvisorio dei voti Romano Prodi nel quarto scrutinio avrebbe ottenuto 395 voti, contro il 214 attribuiti a Stefano Rodotà e i 78 ad Anna Maria Cancellieri.

Una fumata nera che si aggiunge a quelle del terzo scrutinio con Stefano Rodotà che è stato il candidato più votato con 251 voti. 465 le schede bianche. Massimo D’Alema ha ottenuto 34 voti; Romano Prodi 22, Giorgio Napolitano 12, Annamaria Cancellieri 9. Preferenze sono poi andate a Claudio Sabelli Fioretti, 8; Sergio De Caprio, 7; Franco Marini, 6; Alessandra Mussolini e Antonio Palmieri, 5; Emma Bonino, Sergio Chiamparino e Ricardo Merlo, 4; Ilaria Borletti Buitoni, Gianroberto Casaleggio, Fabrizio Cicchitto, Gherardo Colombo ed Ermanno Leo, 3; Pierluigi Castagnetti, Roberto Di Giovanpaolo, Antonio Martino e Niccolo’ Pollari, 2. Voti dispersi 44, schede nulle 47. I presenti e votanti sono stati 949.

Questa mattina Pier Luigi Bersani aveva proposto Romano Prodi ai grandi elettori del Pd riuniti in assemblea al Teatro Capranica, proposta approvata per acclamazione, in puro stile sovietico. «Si apre una nuova fase, una proposta ancora rivolta al Parlamento ma di cui ci prendiamo la responsabilità», aveva detto Pierluigi Bersani, spiegando che «il disordine che abbiamo pubblicamente mostrato deve essere assolutamente ricomposto. Prodi qualifica la nostra coalizione e parla al Paese. Non siamo stati in grado fin qui di corrispondere alle nostre responsabilità – aveva aggiunto il segretario del PD – e non abbiamo dato buona prova. Per responsabilità, se siamo adulti dobbiamo prendere atto che non siamo stati in grado di cogliere l’opportunità di eleggere una nostra figura prestigiosa, un uomo del lavoro come Franco Marini. Mi dispiace, capisco la sua amarezza», aveva affermato Bersani, mentre i grandi elettori di sinistra tributavano un lungo applauso a Marini.

Romano Prodi aveva appreso la notizia che sarebbe stato candidato al Quirinale mentre si trovava a Bamako, la capitale del Mali, dove è ancora adesso per una serie di impegni internazionali legati al sui incarico diplomatico in ambito ONU. Il rientro di Prodi in Italia è previsto per domani.

Franco Marini ha di conseguenza ritirato la propria candidatura: «è saltata la strategia di un dialogo con il centrodestra, finalizzata all’obiettivo di dare all’Italia un governo, dinanzi alla durissima situazione del Paese. Strategia da me pienamente condivisa» aveva detto Marini, che aveva sottolineato la sua avversione al ritorno immediato alle urne con questa legge elettorale.

Su Romano Prodi era stato decisivo l’assenzo di Matteo Renzi, che con questa mossa perderà molti consensi in chi riteneva potesse incarnare lo spirito di un vero cambiamento. Sui social network i commenti sono stati subito feroci, anche se spesso in tono sarcastico.

Intanto Stefano Rodotà, ringraziando chi gli ha espresso “grande e inattesa fiducia” e il sostegno del M5S per la sua candidatura al Quirinale, ha assicurato: “Non intendo creare ostacoli a scelte del Movimento che vogliano prendere in considerazione altre soluzioni”. Ma anche Rodotà deve essere stato colto da amnesia acuta, visti i suoi giudizi estremamente critici dello scorso anno su Grillo.

Scelta Civica sembra sia stata determinante nel fermare, almeno per il momento, l’elezione di Prodi. Sulla Cancellieri si sono concentrati i voti del gruppo, malgrado qualche tentazione prodiana, soprattutto tra gli UDC. La Cancellieri potrebbe però essere il candidato in grado di unire il centro destra, per disarticolare il colpo di mano di Bersani, preoccupato più del PD che di esprimere un candidato che abbia davvero le doti di unificatore del Paese.

In realtà, tutta i ragionamenti politici danno per scontato un ruolo presidenziale ben oltre il dettato costituzionale, circostanza che rende ormai ineludibile una riforma tale da assegnare al popolo sovrano la scelta del capo dello Stato, capo del governo della Repubblica.

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