Lavoro, la proposta Capaldo: salari a 1000 euro, licenziamenti facili, contributi a carico dello Stato

Per abbattere la disoccupazione contratti triennali non rinnovabili e rescindibili senza motivazione, niente tredicesima e stipendi base di 800 euro e 400 per i part time. Guidi: “Idea utile ma non si può prescindere dallo Statuto dei lavoratori”. Treu: “Contribuzione resta punto fermo”. Ichino: “Bene su taglio costo ma proposta semplicistica”. No dei sindacati: “Il lavoro non si crea riducendo i diritti”

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Roma – Pellegrino Capaldo ha presentato una proposta per abbattere la disoccupazione che prevede contratti triennali non rinnovabili e rescindibili, senza motivazione e con un semplice preavviso di 30 giorni; ‘burocrazia’ zero per i licenziamenti, possibili con una semplice raccomandata a/r; tetto prefissato ai salari, fino a 1000 euro per un tempo pieno e fino a 500 per 4 ore di part time e nessuna contribuzione né alcuna ritenuta fiscalea carico di lavoratori e imprese, che dovrebbero però beneficiare di un credito d’imposta del 30% da compensare fiscalmente. Le norme, tutte in assoluta deroga dalle norme vigenti, sono state elaborate dalla Fondazione Nuovo Millennio, nata per iniziativa dell’economista campano, che punta a trasformare la proposta in un decreto legge.

A questo tipo di contratto di lavoro in deroga dovrebbero poter accedere tutte le imprese, i professionisti, le aziende non profit e gli artigiani, e a questi ultimi “è riconosciuto un credito d’imposta al 30% delle somme corrisposte ai lavoratori assunti in base al decreto che potrà essere compensato con le imposte sul reddito dovute dalle imprese.

20130426-pellegrino-capaldo500x332Alla voce “salario”, la proposta prevedrebbe la possibilità di erogare tra 800 e 1000 euro mensili in caso di contratto a tempo pieno, mentre in caso di part time sarebbe prevista una riduzione del 50% per 4 ore di lavoro al dì. Importi al netto della tredicesima o di “altra mensilità aggiuntiva”, non previste. Sarebbe possibile, per le imprese, trasformare i contratti triennali in contratti a tempo indeterminato ma solo se “nelle more delle loro validità, il datore di lavoro opera licenziamenti di dipendenti già in forza”. In parte servirebbe perciò a regolarizzare rapporti di lavoro irregolari e a fare emergere l’evasione fiscale esistente in materia di lavoro.

Nessuna contribuzione sarebbe prevista a carico dei lavoratori o delle imprese, ma la contribuzione sarebbe a carico dello Stato che vi provvederebbe attraverso la “cessione di immobili di proprietà, scelti e valutati in contraddittorio”, onde evitare fenomeni di accaparramento della casta, come denunciato da Mario Giordano nel suo ultimo libro “Tutti a casa”, edito da Mondadori. La proposta non indica però la copertura finanziaria a carico dello Stato, né quella relativa al credito d’imposta per gli artigiani, che “non sembra essere un grande problema”, secondo il think tank campano.

La proposta di Capaldo fa già discutere. Guidalberto Guidi, imprenditore ed economista, già vicepresidente di Confindustria, ha affermato che sembra “una proposta che può servire a qualcosa”, anche se sembra bypassare lo statuto dei lavoratori “a cui si deve gran parte della difficoltà di assumere da parte delle imprese”. Guidi ha chiarito la posizione degli imprenditori, secondo i quali “oggi nessun imprenditore può permettersi di assumere né con un contratto a 3 anni né a maggior ragione con un contratto a tempo indeterminato finché c’è un mercato nel quale separarsi da un dipendente – ha spiegato Guidi all’AdnKronos – è più difficile che separarsi da una moglie”. L’imprenditore modenese ha puntato il dito verso il “reintegro”, istituto che non esiste più nella maggior parte del mondo, tranne che in Germania ma con modalità diverse. Guidi è sferzante: o si ha il “coraggio di dire che o la legge 300 si prende e si butta nel cestino oppure si continua a dire che mantenerla e’ un fatto inerente alla nostra cultura, alla nostra civiltà e modo di vivere sapendo pero’ che le le aziende andranno ad occupare in Repubblica ceca, in Serbia in Cina e nel resto del mondo”. Per Guidi nel prossimo triennio ci saranno fino a 1 milione di posti di lavoro in meno, se continua questo trend.

Alla proposta di Capaldo e alle osservazioni di Guidi ha risposto Tiziano Treu, già ministro del lavoro. “Si può discutere di tutto, ma il punto fermo deve essere la contribuzione. Capisco la flessibilità, e ci sono formule simili che sono state già seguite in altri Paesi e in parte con le startup in Italia, ma senza contribuzione sarebbe inaccettabile, per il resto si può vedere”. Per Pietro Ichino, di Scelta Civica, la proposta di Capaldo “coglie l’esigenza urgente di ridurre fortemente il cuneo fiscale e contributivo che oggi raddoppia il costo del lavoro rispetto alla retribuzione netta che il lavoratore subordinato effettivamente percepisce” anche se “risolve il problema in modo un po’ troppo semplicistico e con qualche vero e proprio errore tecnico, prestando il fianco a diverse obiezioni”. Il giuslavorista ha spiegato all’AdnKronos che “la prima obiezione concerne la copertura finanziaria della contribuzione pensionistica figurativa, che viene interamente posta a carico dello Stato: tutti sanno che la cessione degli immobili di proprietà pubblica richiede tempo e non può essere compiuta in modo affrettato, se non si vuole rinunciare a più di metà del valore di mercato del bene venduto”. In secondo luogo, afferma Ichino, “non è sostenibile la tesi secondo cui l’esenzione totale delle retribuzioni dall’Irpef non richiederebbe copertura finanziaria, perché si tratta di proventi che comunque lo Stato non avrebbe incassato”: nel corso del 2012 in Italia sono stati stipulati dieci milioni di contratti di lavoro o di collaborazione autonoma continuativa, tutti soggetti alla ritenuta Irpef, ed è evidente che una parte considerevole di questi verrebbe sostituita dai nuovi contratti se questi ultimi venissero esentati totalmente”.

Dai sindacati è arrivata, come prevedibile, una bocciatura netta alla proposta Capaldo, definita “senza prospettiva, un po’ avventurosa, che non costruisce le condizioni affinché il lavoro ci sia, e che farebbe un danno serio non solo ai lavoratori ma a tutto il Paese”, giudizio condiviso da Cgil, Cisl e Uil. Secondo la Tripice il modo per far ripartire il mercato del lavoro c’è già e si chiama “apprendistato”. “Altre soluzioni non farebbero l’interesse del Paese e riaprirebbero uno scontro sui licenziamenti”. “Se la soluzione – afferma il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy – è non pagare le persone, non mi sembra una prospettiva seria”.

Anche la Cisl ha ammonito sul rischio di avventurismo contrattuale insita nella proposta della “Fondazione Nuovo Millennio”, malgrado sia stata sempre a favore di forme di flessibilità in ingresso. L’apprendistato è il fulcro della posizione dei sindacati, che semmai va reso più appetibile, ha spiegato Luigi Barra, segretario confederale Cisl. Un “no” deciso è arrivato anche dalla Cgil, per bocca di Elena Lattuada, segretario confederale: “abbiamo bisogno di costruire le condizioni affinché il lavoro ci sia e non mi pare che questa proposta lo faccia”. La Lattuada ha ricordato come nel sistema italiano siano previste almeno 20 forme di precarietà, ma che la “disoccupazione non ne abbia risentito. Il che dimostra anche come il lavoro non si crea riducendo i diritti”.

In effetti, la proposta di Capaldo va approfondita, perché appare superficiale soprattutto nella parte relativa alle quote di contributi a carico dello Stato. Tuttavia, il tema oggi è evitare che le aziende lascino il Paese, ingessato da un sistema di sabbie mobili costituito dalla burocrazia esasperante, da una fiscalità soffocante, da una rete di trasporti con criticità evidenti e da un clima di relazioni sindacali rovente. Andrebbe imposto – sia agli imprenditori che ai lavoratori – di studiare la dottrina sociale della Chiesa cattolica in materia di lavoro. Forse solo allora imprenditori e lavoratori capirebbero che non possono fare a meno gli uni degli altri. In alcune zone d’Italia questo già avviene, grazie alla collaborazione reciproca. Metodologie da far conoscere e da diffondere in tutto il resto del Paese.

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