Giuseppe Musumeci e Giulio Andreotti, l’immutato “messaggio” della Regia

Il giovanissimo figlio di Nello Musumeci stroncato da un infarto. Il senatore a vita se ne andato a 94 anni, alla fine di un’esistenza sempre da protagonista. Qual è il minimo comun denominatore? ‘A livella…

20130507-giuseppe-nello-mussumeci_770x350Come si fa a commentare la morte repentina, inaspettata, devastante, di un ragazzo di 31 anni, che differisce da quella di suoi coetanei – o anche da persone più giovani – solo perché balzata all’onore della cronaca perché figlio di una personalità politica stimata, anche dagli avversari, ben voluta?

Giuseppe Musumeci, figlio trentunenne di Nello, è stato stroncato da un infarto del miocardio, perché affetto da una cardiomiopatia asintomatica che non gli ha lasciato scampo e che avrebbe potuto essere scoperta solo attraverso approfonditi esami specifici. Lo ha stabilito l’autopsia svolta dal professor Carlo Rossitto, medico legale. Domani mattina, nella parrocchia di Sant’Antonio, delle suore cappuccine del Sacro Cuore, in viale Mario Rapisardi alle 10.30 sarà svolto il funerale.

Tornando al quesito iniziale, occorre stabilire una distinzione non manichea: chi ha Fede in Dio, trova consolazione nella volontà del Signore e nel suo imponderabile disegno; chi non ne ha, affida la propria quiete alla scienza, poi non c’è più niente da spiegare, da dire, se non appellarsi alla “sfortuna”, al “fato”.

Pur appartenendo – spesso indegnamente – alla prima schiera, proveremo a trovare un minimo comun denominatore tra la vita di un giovane come Giuseppe Musumeci, ancora non sbocciata, tutta da vivere, da gioire e da patire (ché la vita è un mix di tutto questo, gioie e dolori); e quella di Giulio Andreotti, del quale oggi si è svolto il funerale come un cittadino comune, non con la solennità delle esequie di Stato, per espressa disposizione e rinuncia del senatore a vita, il quale ha vissuto con intensità e a lungo, superando (e facendole superare, secondo alcuni) prove assai difficili, in cui ha mostrato il vero volto di una personalità politica che rispetti le Istituzioni dello Stato più che le persone: perché le persone passano, le Istituzioni no.

Da laici credenti, non possiamo che trovare questo trait d’union nella comune condizione umana, finita per definizione, imperfetta, dagli esiti imprevedibili, affidata in parte al proprio libero arbitrio, in parte al libero arbitrio altrui. La vita è frutto della libertà di concepire, inizia per effetto della libertà di coltivare il fiore della vita, cresce per la libertà dell’amore dei genitori e prosegue fino all’uscita di scena, un fatto che accomuna tutti gli esseri viventi in modo ineluttabile. La stessa uscita di scena può avvenire con un atto di libertà, anche di libertà di invadere la libertà altrui. La vita è dunque l’essenza della libertà, ma non sfugge all’unico obbligo comune: il passaggio finale, la morte, l’estinzione della vita.

Il principe Antonio de Curtis, Totò, declama la celeberrima “A livella”

Quando due personalità tanto visibili come Giulio Andreotti e Giuseppe Musumeci muoiono in circostanze diverse e colpendo in modo diverso, il messaggio che ci arriva è che la condizione umana accomuna tutti noi, a prescindere dai titoli, dalle ricchezze, dal potere esercitato in vita. Solo le opere possono fare la differenza. Giuseppe non ha avuto il tempo per lasciare il segno con le opere in una dimensione pubblica: lascia il segno dell’amore nei propri genitori, fratelli, parenti e amici che lo hanno amato e stimato. Andreotti lascia invece un segno con varie nuances che, a parte gli ambiti familiari, è ora affidato al giudizio degli storici.

Tuttavia, chi resta però ha il dovere di riflettere sul fatto che la morte, fine dell’esperienza umana, impone a ognuno un progetto di progresso per la società in cui vive, per lasciare ai posteri – non solo ai familiari – una testimonianza del proprio passaggio. Un messaggio che non riguarda solo “la classe dirigente” ma ciascuno di noi. Se la società italiana – e quella siciliana in particolare – funziona male, ciascuno di noi dovrebbe riflettere sul proprio contributo a questo pessimo funzionamento, prima di cercarne la radice nelle deficienze altrui.

Se ciascuno di noi pensasse con serietà che la propria esistenza può finire in ogni momento, a prescindere dalla propria volontà, forse ci troveremmo con una società migliore, con una società più efficiente, perché alla base ci sarebbe la riflessione sulla comune appartenenza umana e sull’utilità del benessere comune. Bisognerebbe però che “lor signori” avessero letto e compreso John Stuart Mill, francamente una pretesa esagerata di questi tempi.

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L’editore e direttore, la vice-direttore e tutta la redazione di THE HORSEMOON POST abbracciano idealmente Nello Musumeci per la perdita dell’amato figlio Giuseppe. Che il Signore lo accolga a cibarsi della sua Luce.