Un ricordo di Francesco Renda, storico, sindacalista, figlio della Sicilia ed eretico

La “Storia della Sicilia” rilesse tante pagine considerate acclarate in modo granitico. Tra storia personale e miti divelti, la riabilitazione (parziale dei Borboni)

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Francesco Renda, intellettuale, docente universitario, personalità politica, sindacalista, ma siciliano – quindi con quel quid di “eresia” genetica intarsiata nel DNA di chi nasce in questo splendido e contorto fazzoletto triangolare del globo terracqueo – se ne è andato. Passato a miglior vita all’età di 91 anni. La vita eterna sarà più effervescente, ne siamo certi, perché Renda era un fine polemista e non crediamo cambierà il proprio carattere sotto la Luce.

È stato docente di “Storia moderna” anche di chi scrive queste righe (a uso e consumo dei quattro affezionati e caritatevoli lettori), tornato sui propri passi universitari a un’età in cui gli altri in genere, e con ritardo, ne escono.

L’esame di storia moderna era svolto in due tempi: la parte generale con un docente, la parte speciale con un altro, in funzione del testo scelto. Noi non potevamo che scegliere la “Storia della Sicilia”, uno straordinario monumento alla revisione storica edito da Sellerio, perché lo storico vero deve essere revisionista, un aggettivo che ha assunto il significato funesto di negazionista in tema di shoa e persecuzioni del XX Secolo.

Renda era un revisionista, perché leggeva la storia studiando i documenti e li legava in una lettura che non temeva il bollo di “eresia”. Purtroppo non potemmo affrontare l’interrogazione con Renda, per un’improvvisa colica renale. Ci colpì l’umanità della persona, prima che la comprensione del docente, un momentaneo nonno amorevole che ci tranquillizzò molto (sostenemmo poi quella parte di esame di fronte a Paolo Viola e Giovanna Fiume, il terrore degli studenti di Scienze Politiche di Palermo, uno dei più begli esami della carriera universitaria. Tema: il carcere e le leggi carcerarie, sulla base dello studio di Cesare Beccaria e Michel Foucault, “Dei delitti e delle pene”, “Sorvegliare e punire”). Era nota la nostra vicinanza a un altro docente, cattolico liberale, non di sinistra, ma questo dato fu ininfluente con Renda, ne possiamo dare personale testimonianza.

Il professore di Cattolica Eraclea era polemista coraggioso, che non temette di ribaltare certe interpretazioni di altri storici. Ne è esempio la lettura data al periodo della dominazione islamica in Sicilia, considerato il periodo più splendente della storia dell’isola anche da Leonardo Sciascia. Impavido, come uno storico onesto deve essere, ne ribaltò la spiegazione, considerandola un periodo “soffocante”: “l’isola ha sempre goduto di una grande autonomia culturale e legislativa con ogni dominazione, tranne che nel periodo musulmano dove diventa una provincia senza alcuna vitalità propria”.

Polemico fu anche verso i professionisti dell’antimafia, che si trovò contro nel giudizio sulla lotta dello Stato alla disonorata società. La mafia, per Renda, era ed è un problema grosso della Sicilia, ma oggi – a differenza che negli anni 50, 60 e 70 – lo Stato si è attrezzato per combatterla a fondo anche con strumenti normativi di grande impatto, come il carcere duro; e la politica ha mutato l’approccio, tanto che la mafia oggi vive in una clandestinità oggettiva, differente dalla “pubblicità” che informava la vita dei boss del livello di Vizzini.

Lo studio delle sue opere aiuterà chi, in questo momento di difficile transizione, cercasse nuove paradigmi di interpretazione dei fatti, per cambiare la società sulla linea di un’apertura mentale propria delle persone intelligenti, a prescindere dalle idee politiche. Noi lo ricorderemo così, severo sotto il profilo scientifico, mite sotto quello umano.

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