Gianluca Irrera, agnello sacrificale di uno Stato che non funziona

Per l’assassinio del bimbo di 7 anni di Misilmeri servono molti esami di coscienza

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Infanzia sotto attacco, come anello debole della catena sociale, come muro di gomma su cui scaricare le tensioni del vivere, non come baluardo per un futuro più forte, coeso, migliore. Nel mondo sono migliaia ogni giorno le piccole vittime di una società che uccide se stessa, violentando in ogni modo il proprio futuro. In Siria migliaia di bambini stanno pagando l’orribile prezzo del disprezzo di giochi geopolitici condotti da ignoranti, sostenitori di criminali efferati contro un regime altrettanto criminale.

Ma è indubbio che la sensibilità di ciascuno venga solleticata, punta, infastidita in ragione della prossimità dell’orrore. Così, la vicenda di Gianluca Irrera, il bimbo di sette anni assassinato dal padre Ivan a Misilmeri qualche giorno fa, ha colpito per la lucidità e l’efferatezza deliberata inspiegabile da nessun amore preoccupato, da nessuna difficoltà economica incombente presa a giustificazione di un atto contro natura.

Della vita del padre poliziotto emergono ogni giorno particolari significativi di come una persona possa ridursi a causa di scelte sbagliate, ma serve capire perché queste scelte sbagliate non attivino dei campanelli di allarme che servano nel difficile lavoro di prevenzione delle tragedie familiari. Segno di uno Stato che non funziona, per mancanza di risorse: umane, prima che finanziarie. In casi come questi, è d’obbligo porsi degli interrogativi.

Nessun organismo interno alle forze di polizia monitora le vite degli operatori,le loro debolezze come le virtù, le relazioni improprie con l’ambiente circostante, agendo come organo investigativo interno e assumendo perciò le contromisure tali per evitre che si mini il ruolo dell’agente sul territorio?

Che ci stanno a fare i servizi sociali di un comune, se non raccolgono con ogni mezzo legale le informazioni indispensabili per tutelare la vita dei più deboli e per metterle al riparo dalla cecità furiosa degli adulti?

Quanti sapevano della situazione border line di Ivan Irrera, ma non hanno agito per quieto vivere?

Che razza di posto sta diventando la Sicilia, dove la famiglia – una volta vero tempio inossidabile del welfare – ormai risente della stanchezza di un’epoca in cui i profeti si rivelano sempre più pifferai e gli esempi semplicemente latitano, peggio dei peggiori mafiosi?

Vedi, caro Gianluca, tu in parte continui a vivere in altri cinque bambini, che hanno beneficiato della donazione dei tuoi organi, grazie alla scelta innamorata, normale e straordinaria della tua mamma; ma con te se ne è andato un piccolo pezzo di fiducia nelle istituzioni politiche e in quelle sociali, che non hanno saputo erigere attorno a te il vallo inespugnabile della vita. Non sappiamo se questo si concreti in responsabilità precise di persone e istituzioni, ma Dio solo sa come avremmo voluto scrivere di istituzioni efficienti, di efficace lavoro di prevenzione, di vite salvate.

Ora che giochi spensierato nelle corti del Cielo Infinito, abbi per noi – irritati osservatori di una realtà spesso insopportabile – un pensiero ispiratore di nuove e buone pratiche. Tu, Gianluca, agnello sacrificato sull’altare di uno Stato che non funziona, perdona il tuo disgraziato padre; dissuadi chi, in preda alla disperazione, pensa di fare analoghi gesti; apri la mente di tanti alla riflessione, agli esami di coscienza.

I bambini non si toccano, si preservano con cura, con la stessa cura con cui i bravi costruttori di edidifici erigono e preservano le fondamenta su cui innalzeranno le proprie costruzioni. Proteggere i bambini significa lavorare per una società migliore, per un futuro migliore.

Ciao Gianluca.

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