Festival di Cannes. La grande bellezza

Paolo Sorrentino torna a Cannes con la pigrizia di Jep Gambardella

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Jep Gambardella è un giornalista di cronaca mondana, napoletano trapiantato a Roma passa il proprio tempo balzando da una festa all’altra, circondato da amici dei quali mal sopporta i difetti. Il giorno del suo sessantacinquesimo compleanno comincia lentamente a riaffiorare in lui l’antica voglia per la letteratura, quella di quando era giovane e che gli fece scrivere il suo primo e unico romanzo: “L’apparato umano”.  Nella routine continua e inesorabile, tra un clero romano sempre più chiuso in se stesso e frequentazioni vuote, scorgerà quella grande bellezza che si cela sotto la coltre dell’apparenza.

Paolo Sorrentino torna a Cannes, su quella stessa piazza in cui ottenne fama e riconoscimento prima con Le conseguenze dell’amore e poi con il premio della giuria per Il Divo. Il regista napoletano sceglie un film non facile da apprendere appieno e che il pubblico faticherà a comprendere alla prima visione. Le ambizioni erano poi già decantate nel trailer di presentazione, dove un lento e sottile monologo fuori campo di Jep Gambardella faceva riferimento alla condizione miserabile dell’uomo e alla sua tragicità, una tragicità che lo eleverebbe a essere supremo per eccellenza, in grado di far risorgere quella grande bellezza di cui il mondo è permeato e che avrebbe bisogno di tornare al centro dell’attenzione. Purtroppo “è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore…” e di quella antica e grande bellezza rimane solo qualche incostante sprazzo, che, se carpito, potrebbe redimere davvero chiunque.

Come Gambardella però anche tutti gli altri personaggi dell’opera sono come attanagliati da una terribile pigrizia, che impedisce loro di raggiungere un tale stato di pace: più volte le diverse forme di grazia si manifestano agli occhi dei presenti (la piccola bambina nel convento ricorda non poco la “graziosa” fanciulla alla fine de La dolce vita – i paragoni col film di Fellini si concludono qui), ma questi non gli danno la giusta importanza. La mano di Sorrentino invece non conosce gerarchie, così le feste sul terrazzo di Jep, sintesi dell’opulenza e del vuoto che cresce nel corpo e nell’animo delle persone oggi, hanno la stessa dignità stilistica e scenografica delle architetture mozzafiato di cui Roma è piena; la città eterna come perfetta sineddoche di un mondo interamente pervaso di bellezza, che pur essendo in superficie e alla vista di tutti, oggi appare come sotterrata dal nulla costante, dal vuoto sconfinato che corrode le menti e i corpi di persone allo sfascio. 

La critica al presente è durissima, specialmente quando è rapportato al passato dei ricordi di Jep, rappresentati splendidamente e pervasi da un’atmosfera quasi onirica e completamente spensierata; è un tempo che non tornerà mai più – sembra suggerirci Sorrentino – ma non per questo l’uomo deve arrendersi al presente così miserevole, anzi, le occasioni per redimersi sono infinite, devono solo essere affrontate di petto. Il primo a rendersene inconsciamente conto è proprio il protagonista dell’opera, interpretato da un Toni Servillo in grado di arrivare a toccare corde recitative mai esplorate prima d’ora, il cui merito è da ascrivere essenzialmente alla collaborazione (la quarta) con il regista napoletano.

Il cast poi è la sorpresa secondaria di questo film (che non osiamo al momento definire capolavoro, solo perché sappiamo che negli anni avvenire di certo gli verrà giustamente riconosciuto questo onore): Carlo Verdone espressivo, malinconico e amareggiato come non gli capitava da tempo: mettergli in bocca le parole “Roma mi ha deluso molto” è un indiscutibile colpo da maestro. Sabrina Ferilli è a suo agio nelle vesti di un personaggio che ricalca buona parte della sua personalità, di cui si avverte la romanità caciarona, ma non volgare.  E ancora da Carlo Buccirosso a Luca Marinelli, da un irriconoscibile, ma magnifico, Giorgio Pasotti a Serena Grandi, è tutto minuziosamente calibrato e perfettamente accordato al tono della pellicola.

La grande bellezza è quindi la nuova carta vincente di un regista che non rinuncia ad esplorare i suoi temi più cari, è un cinema ad alti livelli, ma mai pretenzioso sempre in bilico tra gusto scenografico, stimolanti ambiguità interpretative e senso di magnificenza.

VOTO : 9   

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La grande bellezza (trailer ufficiale)