Turchia in fiamme? Destabilizzazione in un territorio cerniera tra Oriente e Occidente?

Fiamme a Istanbul e Ankara. Cariche di polizia. Feriti e morti. I dimostranti sono tornati oggi in Piazza Taksim. L’incendio si è diffuso anche in altre città turche. La destabilizzazione della Turchia rappresenta un grave pericolo per l’Occidente

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La storica Piazza Taksim a Istanbul (l’antica Costantinopoli) ancora una volta è la sede di dimostrazioni contro chi governa. Durante il periodo del Sultanato Ottomano (che terminò con la Repubblica turca di orientamento laico, fondata da Mustafà Kemal Ataturk nel 1922) questa piazza fu spesso testimone di scontri fra la popolazione, l’esercito e la polizia di allora. Una tradizione ormai storico-politica, anche se questa volta i primi assembramenti sembrano essere stati promossi da ambientalisti, che vogliono salvaguardare la piazza come è, un polmone verde nel traffico convulso e disordinato della città.

20130602-birra-turca200x262La protesta è iniziata così, ma si è estesa con velocità anche alla capitale Ankara e in altre città del Paese. Una scintilla divenuta con rapidità un fuoco di protesta contro Erdogan, ma soprattutto contro la chiara deriva di matrice islamica impressa dal “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo” all’azione di governo. Limitare la vendita e relativo uso degli alcolici, permettere alle studentesse universitarie di sostenere gli esami coperte dal velo islamico; perseguire esponenti della cultura laica, sono gli strumenti con cui Erdogan sta pian piano islamizzando la Turchia. Nell’immagine a sinistra, l’ultima pubblicità della birra Efes sui giornali turchi, dopo divieto del 24 maggio scorso: “Ci conosciamo da 44 anni, non ci vedremo più” il claim.

Fazil Say, famoso pianista classico, è stato condannato a dieci mesi di prigione (pena peraltro sospesa) per aver ‘insultato’ i valori musulmani: in realtà per aver espresso critiche alla politica governativa. Say è solo l’ultimo di una lunga serie di intellettuali e artisti perseguiti in Turchia per aver espresso opinioni politiche non in linea con i parametri governativi.

Oggi, un centinaio di persone si sono baciate in una stazione della metropolitana di Ankara, per protestare contro gli ammonimenti a tenere un comportamento ‘più morale’ elargiti dalle autorità a una coppia sorpresa a baciarsi in pubblico. I dimostranti portavano al collo cartelli con una scritta esaustiva: ‘baci liberi’. Non sono eventi secondari, manifestazioni di sciocche  di libertà: sono la testimonianza chiara che la misura inizia a essere colma ed è difficile – se non impossibile – tornare indietro, a meno di un drastico cambio di regime.

Ebbene, questi sono alcuni dei tanti sottili attacchi portati in profondità alla tradizione laica della Turchia. Le scintille sono sempre molto pericolose: quante rivolte si sono scatenate per il ‘pane’, ad esempio nella sponda sud del Mediterraneo? Dal nulla il fuoco si può estendere rapidamente, allora vengono in superficie i veri motivi del disagio popolare e inizia la ‘rivoluzione’.

Cementare una piazza, che per di più ha una forte tradizione storica, non è motivo da poco, ma la verità è che c’è una forte richiesta da parte del popolo di costringere alle dimissioni il Governo attuale. Quando sono iniziati gli scontri, la polizia ha usato le maniere forti, molto forti, per le quali il Premier si è scusato, pur comunicando ai media internazionali e interni che il piano deciso per Piazza Taksim sarebbe stato portato avanti senza esitazioni. Erdogan è sicuramente un politico intelligente e ha ben compreso che ormai non c’è in gioco l’assetto urbanistico di una piazza e l’afflato ambientalista di un gruppetto di giovani, ma che si tratti di una ribellione scatenata da un pretesto, che  nasconde ben altre motivazioni politiche. 20130602-istanbul-riots_half780x450

Quasi duemila arresti, un gran numero di feriti, morti (secondo Amnesty International almeno due) non si dimenticano quei momenti e quei fatti perché creano un solco difficile da colmare fra governanti e popolo. L’improvvisa fiammata della Turchia deve preoccupare non poco i Balcani e tutto il Mediterraneo. La Turchia fa parte della Nato; è un alleato importante, data la sua posizione geo-strategica di concierge del Bosforo e dei Dardanelli dal 1938. È una cerniera tra Occidente e Levante, soprattutto un gran ‘cuscino’ tra l’Europa e il Medio Oriente dell’Iraq, della Siria, dell’Iran. Uno Stato che ha certamente una doppia anima: quella europea, non rappresentata certamente solo dal minuscolo quartiere di Pera sulla sponda europea del Bosforo, e quella asiatica (l’Anatolia al cui centro si trova Ankara, cosiddetta Asia Minore).

Tra un anno in Turchia si terranno le elezioni per il rinnovo delle amministrazioni locali e per la Presidenza della Repubblica. Le recenti dichiarazioni del curdo Ocalan, ancora ristretto nelle galere turche, sul fatto che “è il tempo della politica e non delle armi” aprono nuovi squarci di luce su una possibile risoluzione politica del separatismo curdo, soprattutto rispetto a chi è accusato di militare nel PKK (Partito dei Lavoratori Curdi).

La tregua del PKK è stata dichiarata lo scorso Nouruz (capodanno turco e anche persiano, 21 marzo): si consoliderà o, considerata la situazione, anche i curdi vorranno di nuovo tentare di terminare la loro diaspora (tra Iran, Siria e Iraq), ottenendo in Turchia molto più che l’autorizzazione concessa da Erdogan di usare la lingua curda nei tribunali e la proposta di rilascio di un congruo numero di militanti PKK dalle prigioni? Tutto potrebbe essere messo in discussione, con l’instabile situazione attuale?

La Turchia era considerato un Paese stabile e non c’è dubbio che rischi di diventare un pantano molto ‘scivoloso’. La protesta non accenna a calmarsi e non si calmerà: è un fiume in piena. Quale posizione prenderanno i militari, per tradizione rigidi custodi della laicità dello Stato, negli ultimi tempi colpiti dalla pressione del Governo di Erdogan?

Sarà, come è successo in altri stati della regione strategica, proprio la posizione che prenderanno i militari a decidere del futuro della Turchia? Ancora una volta i militari saranno abbastanza forti da imporre la loro visione della politica, in questo aiutati da una popolazione che non vuole farsi regolare dalla ‘sharia’, la legge islamica?

La situazione della Turchia non è comparabile a quella degli altri stati arabi, che hanno vissuto una cosiddetta ‘primavera’: l’Islam turco è molto diverso dall’Islam arabo, ma il vento dell’Islam soffia forte da quelle parti. In sintesi si può definire, con le parole dell’analista Larbi Sadiki (professore all’Università di Exeter), su Aljazera, che gli islamisti arabi hanno privilegiato la teoria rispetto alla pratica, mentre quelli turchi hanno fatto quasi completamente l’opposto. Il laicismo arabo è stato incoerente e ha rigidamente respinto ogni opposizione, mentre il laicismo turco, almeno fino a questi anni, è stato sempre un cantiere in working progress, con dinamiche di diversità all’interno di un’unità statale ben compatta (a parte il problema curdo). Tante le differenze che potrebbero far pensare a una diversa evoluzione delle manifestazioni popolari, ma la situazione permane molto pericolosa e l’Occidente non può permettersi un così importante alleato geo-strategico destabilizzato e in situazione precaria rispetto alla tenuta del governo.

Nulla di positivo all’orizzonte, salvo che i militari decidano di prendere in mano la situazione in modo forte. Ne soffrirà comunque la democrazia, almeno per come la intendiamo noi in Occidente.

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Maria Gabriella Pasqualini

Maria Gabriella Pasqualini si è laureata cum laude alla Sapienza in Scienze Politiche, Già distaccata presso il servizio diplomatico, poi docente universitario, è autore di numerosi volumi di storia militare e di saggi storici. Esperta di Medio e Vicino Oriente, collabora con numerose riviste scientifiche. A THE HORSEMOON POST è Vicedirettore e Responsabile Esteri e Difesa.