Da Tahir a Taksim, due popoli, due piazze, una sola richiesta: libertà!

Netto il rifiuto di parte della popolazione alle regole imposte da una ‘sharia’ sempre più incurante delle realtà contemporanee. La ‘democrazia’ dei militari: una visione a dir poco ristretta

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Che si sia veramente accesa la fiammella della vera rivoluzione araba in questi giorni in due piazze simbolo, Piazza Tahir e Piazza Taksim? A ben guardare si potrebbe rispondere in modo affermativo. Molti nubi e molti avvoltoi ancora aleggiano pericolosamente su quelle piazze, ma forse è l’inizio di reali cambiamenti a meno che le Forze Armate dei rispettivi Paesi, da sempre garanti di una certa laicità e stabilità, sia in Turchia sia in Egitto, riprendano il controllo della situazione, schiacciando le istanze musulmane a oltranza a scapito ovviamente della libertà di pensiero e di una certa democrazia che timidamente si è affacciata?

Tante sono le domande che le opinioni pubbliche occidentali si pongono di fronte agli avvenimenti di queste ultime ore. È lecito, se non si conosce bene la storia della sponda sud del Mediterraneo e, in particolare, di questi due Stati chiave per la geostrategia delle regione.

La Turchia, nata sulle ceneri del potente Impero Ottomano, con Ataturk era divenuta (e lo è ancora) una chiave di volta dell’equilibrio del passaggio tra Balcani-Europa e Levante: padrona dei Dardanelli, membro della Nato, custode di una laicità conquistata, voluta e difesa…soprattutto da un potente, ben armato ed efficiente esercito, avente una grande influenza morale sulla popolazione.

Certamente ‘le stellette’ turche, come erano quelle ottomane, non concepiscono la libertà e la democrazia, vogliamo dire, nel senso occidentale ed europeo del termine. Però non dimentichiamo mai che un manipolo di giovani ufficiali, conosciuti come i ‘Giovani Turchi’, diede origine alla rivolta contro il Sultano e il suo Impero ormai corrotto fino al midollo, ovvero detronizzò una classe di governanti, più o meno importanti e gestionali. Nel 1923 la Turchia divenne una repubblica laica, indipendente e non asservita ad alcuno Stato europeo. Anzi, corteggiata dalle Grandi Potenze, soprattutto alla vigilia della Seconda Guerra mondiale per ottenerne la neutralità ‘favorevole’.

L’Egitto, a sua volta, pur essendo parte integrante dell’Impero Ottomano, rimase il territorio più indipendente da Costantinopoli: il Canale di Suez, voluto con forza dal Khedivé (il regnante egiziano dell’epoca), fu variamente osteggiato dal Sultano ottomano, il quale comprese quale ulteriore importanza politica questo Canale avrebbe conferito all’Egitto. Nel 1922 il Paese divenne indipendente anche se sotto la longa manus, cioè una diretta influenza, dell’Impero britannico e della Francia, che consentirono una piena indipendenza nel 1936, pur restando padroni del Canale di Suez, da cui saranno sloggiate nel 1956, con la nazionalizzazione dello stesso voluta da Gamal Abdel Nasser.

Turchia ed Egitto, in modo diverso, hanno sempre giocato un ruolo chiave nella politica internazionale ne Mediterraneo Orientale, con effetti diffusi ad altre regioni geopolitiche. Non ci si può meravigliare dunque cdi quanto sta succedendo in questi giorni, in queste ore.

La popolazione scende nelle piazze a chiedere qualcosa di diverso dalla tendenza impressa dai nuovi governi, erettisi come conseguenza di quella che è stata ritenuta una “primavera araba” e che da queste colonne è stata definita più come un “autunno-inverno arabo”.

Il popolo vuole libertà di pensiero e soprattutto di comportamenti moderni, sempre molto morali, ma non echeggianti un medioevo arabo-islamico ormai lontano anni luce dalla mentalità di egiziani e turchi delle giovani generazioni.  Il mondo occidentale viene criticato in molti strati della popolazione turca ed egiziana, per i suoi eccessi, ma allo stesso tempo è accettato in molte delle sue parti, perché ragionevole e possibile e in fondo, spesso non lontano dalle disposizioni del Profeta.

Il problema a nostro avviso è un altro. È difficile la via alla democrazia in senso occidentale in Egitto e in Turchia. Come sempre affermato, devono trovare loro una via alla democrazia come può essere intesa in quei territori e questa dovrebbe essere una “via di mezzo” tra l’intolleranza religiosa proposta dagli islamici integralisti (ormai troppo lontana dalla vita comune di un mondo globalizzato) e una stretta laica militare che inevitabilmente porta con sé una singolare visione della pratica democratica.

Servirebbe appunto una dimensione nuova nella pratica militare del potere. L’Egitto ha una lunga tradizione di militari al potere, da Nasser allo stesso Mubarak, passando per Sadat: certamente salvarono la laicità a scapito della libertà democratica, con varie nuances storico-politiche, con un tasso di corruzione che però non risparmia perfino i Fratelli Musulmani o chi detiene il potere in loro nome: corruzione e usura non sono ben viste nel Sacro Libro del Corano, ma sono praticate e diffuse lo stesso.

Ecco dunque che di nuovo i militari si affacciano al potere chiedendo ad un ‘eletto’ in elezioni politiche (anche se libere non si sa quanto), quindi ad un designato dal popolo di lasciare il potere. A chi? Sicuramente a una Giunta che indirà nuove elezioni. Speriamo perciò che il popolo egiziano – in questo momento nelle piazze e nelle vie egiziane – vada a votare in massa e sorvegli che le elezioni siano libere e senza brogli.

Al contrario, in Turchia i militari non hanno ancora preso una posizione ufficiale, ma saranno loro senza dubbio l’ago della bilancia. Lo scrivevamo alcuni giorni fa e torniamo ad affermarlo: sarà la posizione delle Forze Armate in questi due Paesi e in altri della regione a decidere del futuro di quelle popolazioni senza se e senza ma.

I militari però dovranno comunque fare i conti con la voglia di libertà di opinione e di espressione dei singoli e dei gruppi di pressione per una democrazia più ‘democratica’ che nel passato. Non sono giochi di parole quando ci si riferisce a quei popoli. Bisogna prendere atto che vi sono notevoli mutamenti in divenire, ma che forse solo i militari riusciranno a porre argine alle richieste troppo integraliste dei Fratelli Musulmani o di altre formazioni islamiche, aventi un prevalente atout politico più che religioso.

Cambiamenti in atto dunque: che sia iniziata veramente una primavera araba? Non sappiamo quale, ma sarà sicuramente una ‘primavera’. Almeno lo speriamo.

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Maria Gabriella Pasqualini

Maria Gabriella Pasqualini si è laureata cum laude alla Sapienza in Scienze Politiche, Già distaccata presso il servizio diplomatico, poi docente universitario, è autore di numerosi volumi di storia militare e di saggi storici. Esperta di Medio e Vicino Oriente, collabora con numerose riviste scientifiche. A THE HORSEMOON POST è Vicedirettore e Responsabile Esteri e Difesa.