Rifiuti e riserve ostacolano la formazione del nuovo governo egiziano, no della Fratellanza alle aperture del nuovo premier

Critiche dal National Salvation Front, nonostante la nomina del suo più noto rappresentate El Baradei alla vice presidenza della Repubblica e venute anche da Tamarod. Polemiche sull’uso di tv e social media da parte della Fratellanza: false foto e dichiarazioni. Contestazioni anche verso al-Jazeera e al-Arabiya

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Il Cairo  – Tra rifiuti  e contestazioni dei gruppi islamisti – opposti fra loro – Fratelli musulmani, salafiti e “Fronte di salvezza”, il nuovo premier egiziano Hazem el-Beblawi procede nelle consultazioni per la formazione del governo, seguendo la road-map del presidente provvisorio Adly Mansour (nella foto di apertura, con il premier designato Hazem el-Beblawi).

Belawi ha presento un piano per la transizione e ha dichiarato di non escludere l’inclusione nel nuovo esecutivo anche di qualche rappresentante della Fratellanza Musulmana, scelti come gli altri in base a criteri, di «efficienza e credibilità». Deve però fronteggiare l’annunciato rifiuto dei Fratelli musulmani.

I mandati di arresto emessi dalla Procura generale contro dieci membri dei Fratelli Musulmani, tra i quali il leader Mohammed Badie, il suo vice Mahmoud Ezzat, l’alto esponente Mohammed El-Beltagy e il predicatore Safwat Hegazy, non sono certo un aiuto. Le accuse sono tuttavia pesantissime, aver istigato alla violenza negli scontri vicino alla Guardia repubblicana al Cairo, in cui sono morte 54 persone.

Altri rifiuti sono venuti dai salafiti, pur contrari al deposto presidente Morsi, mentre “riserve” sono state espresse dal “National Salvation Front”, nonostante la nomina del suo più noto rappresentate El Baradei alla vice presidenza della Repubblica.

Critiche al piano di transizione sono arrivate anche da Tamaroud, il movimento che ha organizzato le oceaniche proteste a seguito delle quali è stato deposto Mohamed Morsi. Il movimento ha contestato gli eccessivi poteri accordati al presidente e soprattutto il proposito di emendare la Costituzione, che i giovani egiziani vorrebbero riscritta in toto, anche per la reale mancanza di riconoscimento della libertà religiosa.

Destinate alla delusione le speranze di un’attenuazione della violenza, nel mese sacro del Ramadan, iniziato ieri. Non è difficile prevedere che la manifestazione a sostegno di Morsi, prevista per domani dopo le preghiere della giornata santa del venerdì, si possa trasformare ancora una volta in tensione e violenze di piazza, per deliberata volontà dei Fratelli Musulmani, convinti di poter riappropriarsi del potere con la minaccia e l’esercizio illegittimo della violenza.

Il cambiamento di regime ha intanto aperto un altro fronte di polemiche, riguardanti in particolare i mezzi di comunicazione. I Fratelli musulmani vengono accusati di aver usato televisioni e social media per diffondere menzogne politicamente utili alla loro causa. Un atteggiamento che di recente ha visto l’uso di immagini di bambini morti nella guerra civile siriana, spacciati per piccoli egiziani uccisi durante manifestazioni della Fratellanza o mostrare un famoso calciatore, Mohammad Abu Trika, guidare una manifestazione di protesta contro i militari – presenza seccamente smentita. Il sito ufficiale della Fratellanza ha sostenuto che il presidente Mansour è in segreto un ebreo, una evidente ulteriore istigazione alla violenza, al settarismo e all’antisemitismo.

Tre emittenti islamiste sono state chiuse, circostanza che gruppi di osservatori internazionali come Reporters sans frontieres hanno bollato come minaccia alla libertà di espressione, sbagliando completamente il loro focus e non rilevando le istigazioni ripetute e concordanti alla violenza, un obiettivo che non si può comprendere nell’esercizio “diritto alla libertà di espressione”.

Anche grandi tv satellitari sono finite nel mirino delle feroci critiche dell’establishment egiziano. Al Jazeera è stata accusata di essere vicina alle posizioni dei Fratelli musulmani, in linea col governo del suo Paese, il Qatar. Polemica rinfocolata dalle dimissioni di 22 fra giornalisti e impiegati della redazione del Cairo, motivate proprio dalla costrizione a manipolare pezzi e notizie. Polemiche anche contro Al Arabiya collegata al fronte opposto, anch’essa coerentemente con la linea politica del suo Paese, gli Emirati.

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