Per Silvio Berlusconi è giunta l’ora: di fare lo statista (o di farsi sommergere dall’ignominia)

Molti aspetti delle indagini giudiziarie cui è sottoposto il fondatore della Finivest sollevano perplessità, ma la legalità del giudizio della Cassazione può essere messa in discussione solo attraverso vie adeguate. Proceda verso Strasburgo e chieda la sospensione del procedimento al Senato: ma ne frattempo faccia tacere i falchi, le sanguisughe e i finti amici del tanto-peggio-tanto-meglio

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Paolo Panerai, nel consueto editoriale del sabato su “Italia Oggi” – Orsi & Tori – l’ha scritto in modo chiaro: chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Berlusconi è probabilmente oggetto di un attacco giudiziario senza precedenti nella storia repubblicana, a causa dell’intreccio di interessi tra una parte della magistratura ideologizzata e la politica incapace di proporre soluzioni convincenti per la maggioranza del Paese. Ma Silvio Berlusconi (a noi l’appellativo “Cavaliere” ha fatto venire sempre l’orticaria, ricordando “ventenni” di cui l’Italia avrebbe dovuto fare a meno) è oggetto della sua inerzia.

Che i tribunali siano intasati, per colpa di negligenze diffuse e trasversali tra politica, amministrazione pubblica e ordine giudiziario; che la magistratura agisca come potere separato e irresponsabile (citiamo Panerai); che una parte dell’ordine giudiziario politicizzato agisca come Tribunale Etico di Ultima Istanza sugli organi costituzionali e, in particolare, sul Parlamento, ovvero sull’organo in cui risiede la sovranità popolare in democrazia; che esista un distacco tra Paese reale (imprenditoriale, civico, penale) e un sistema giuridico e giudiziario capace di giudicare in modo diverso su casi analoghi che si presentassero al giudizio di una corte di Trapani o di Bolzano (solo esempi), è sotto gli occhi di tutti.

Che sia indifferibile una “rivoluzione” nel campo della giustizia (latu sensu) il Capo dei Magistrati italiani, il presidente della Repubblica in carica, Giorgio Napolitano, lo ha detto più volte, l’ultima pochi minuti dopo la pronuncia delle sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, una circostanza del tutto significativa per lo stato giudiziario del Paese (agli occhi di chi non si mette il burqa ideologico per dare corpo solo a tesi di parte).

Come sia possibile – per esempio – corrompere una persona versandogli un assegno, è uno dei misteri giudiziari italiani. Ci riferiamo al processo “Di Gregorio”, intestato a Napoli contro Berlusconi, con l’ex senatore dell’IDV, poi del PDL, pubblicamente osannante Berlusconi prima, poi primo accusatore per la manovra che fece cadere Prodi. A chi può darla a bere uno che intasca tre milioni di Euro da Forza Italia – che mette a bilancio il sostegno politico – e poi adula i magistrati napoletani che vogliono far fuori una parte politica avversa? Corrompere con un assegno sarebbe la mossa più imbecille che una persona possa fare. Berlusconi avrà tanti vizi e imperfezioni, ma che sia un imbecille ci sembra di poterlo escludere in assoluto.

Insomma, se le conseguenze della sentenza della Cassazione non daranno inoppugnabili (e al momento molti dubbi persistono, tanto da rendere agibile un ricorso alla giurisdizione della Corte del Consiglio d’Europa), ci sono però tutti i presupposti perché il sistema si accartocci su se stesso, che imploda, inondando di ulteriore letame politico la vita degli italiani resa impossibile da una classe politica e amministrativa (in alcuni casi anche giudiziaria) incapace a risolvere i problemi reali dei cittadini.

Una sconfitta degli italiani sugli italiani, di cui altri Paesi – come Germania, Francia, Austria e Svizzera, per fare nomi e cognomi – sono pronti ad approfittare, perché le capacità imprenditoriali e di lavoro degli italiani sono ambite da quei Paesi, cui l’Italia dà filo da torcere malgrado i problemi che soffocano il Paese, in primis il peso fiscale da estorsione partitocratica permanente.

Le carte della partita però sono in mano a Silvio Berlusconi, per il quale è arrivata l’ora della prima mossa e delle scelte ineluttabili: fare lo statista, per esempio. Come a Olla nel 2008. Il cambiamento di passo che si chiede a Berlusconi ha un costo anche per tutti gli altri: analoga assunzione di responsabilità.

Berlusconi è convinto (dietro indicazione del professor Franco Coppi) di poter ottenere una sentenza favorevole dalla Corte Europea di Strasburgo, in grado di mettere in pesante discussione la sentenza della Cassazione? Proceda senza indugio per la via dell’Alsazia (i tempi cambiano, il giudice non si può trovare a Berlino…).

Al contempo, di fronte a una possibilità tanto dirompente per il “Sistema Paese Italia” (la condanna per aver violato i diritti processuali del capo di una parte politica, roba da capitoli di manuali di storia…), il Senato agisca in base al principio di precauzione: sospenda fino ad allora ogni passo verso la decadenza dal seggio senatoriale, in cambio di una “sobrietà” politica da parte del fondatore di Forza Italia. I tempi di Strasburgo non sono quelli infernali della giustizia italiana e l’Italia ne ha fatto molte volte le spese. Il decreto “svuotacarceri” è conseguenza diretta di due sentenze successive, con cui l’Italia è stata condannata per aver violato i diritti umani dei detenuti, imprigionati in strutture che contrastano con le più elementari regole di civiltà penitenziaria, prima ancora che luoghi in cui fallisce ab initio ogni programma di recupero dei rei (come la “bellissima” Costituzione italiana imporrebbe agli incompetenti governanti del Paese).

Il ricorso a Strasburgo e il congelamento della situazione fino al pronunciamento della Corte Europea dei Diritti Umani sarebbe anche un modo per passare il guado del Semestre italiano di governo dell’Unione Europea, mantenendo in sella il Governo Letta, chiamato a fare quel che ancora non ha fatto: imprimere una svolta per l’Italia, che va rinnovata in ogni ambito. Una “tregua” di sei/otto mesi, con l’orologio sincronizzato su Strasburgo, servirebbe a fare ragionare il Paese sulle proprie potenzialità.

Se l’Italia si mantiene a galla come seconda forza manifatturiera europea, nonostante la disoccupazione crescente, il carico fiscale, la giustizia non funzionante, la politica corrotta grazie alle maglie aperte dei controlli, che cosa sarebbe l’Italia se questi problemi fossero ridotti del 50% (se non risolti quasi del tutto)?

L’Italia avrebbe un’economia effervescente, sarebbe uno degli Stati dell’UE più visitati dai turisti, forte com’è del 70% del patrimonio artistico mondiale. Se nel Meridione d’Italia le amministrazioni pubbliche funzionassero, se le strade fossero manutentate, se i rifiuti fossero raccolti ovunque con puntualità e la popolazione si comportasse civilmente (non sempre c’è sincronia in materia), se la criminalità non impedisse ogni sviluppo di attività e le conseguenti potenzialità occupazionali, quella parte dell’Italia sarebbe ambita come luogo per svernare da milioni di pensionati, solo per fare un esempio (stesso discorso vale per la Grecia, un Paese che deve essere salvato anzitutto dai greci).

Angela Merkel sa benissimo tutto questo e sa altrettanto bene che con un’Italia mediamente funzionante il baricentro europeo si sposterebbe verso il Mediterraneo. In fondo qui eravamo civili mentre colà erano barbari, si tratta ora di ribaltare le sorti di un Paese che gioca con la propria morte, tenendo in mano un cerino chiamato “Berlusconi”.

Silvio Berlusconi queste cose le capisce? I suoi consiglieri gliele hanno mai prospettate? I “falchi” vogliono davvero il suo bene o non il proprio? Prospettiva storica o ignominia è il bivio che il signore di Arcore ha di fronte a se. Può diventare il Mohamed Morsi o il Nelson Mandela italiano (ammesso e non concesso che…) e l’Italia può diventare la Siria (le Forze Armate non sembrano in grado di un pronunciamento democratico di tipo egiziano per mancanza di coraggio) o il fiorente, seppur problematico, Sud Africa, ma la prospettiva vera sarebbe quella di fare dell’Italia l’Italia amata da tutto il mondo, solo con molti problemi in meno.

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