Sebastian Vettel domina il GP di Singapore e con un KO psicologico annichilisce gli avversari

Dominio incontrastato del tedesco che va veloce verso il quarto titolo iridato Webber si ritira all’ultimo giro col motore in fiamme. Solo a lui accadono i problemi…? Alonso secondo, Massa sesto. Räikkönen terzo con un …colpo di reni…

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I dominatori di Singapore si chiamano Sebastian Vettel e la sua monoposto “Hungry Heidi” (Heidi affamata: di vittorie, immaginiamo). La sorellastra blu-rossa-viola del team austriaco con base a Milton Keynes, quella di Mark Webber, si chiamerà senza dubbio “Lame Cinderella” (Cenerentola zoppa). Forse il pilota australiano, che è intelligente, ha capito e ha salutato la compagnia energetica.

Fernando Alonso e Kimi Räikkönen, una fantastica doppietta rossa proiettata sul futuro, se solo non corressero con monoposto di una categoria diversa. In questo quadretto il tredicesimo gran premio del mondiale di F1, con un dominio ostentato del tricampione del mondo, sulla via della quarta iride.

Ha ragione Pino Allievi (Gazzetta dello Sport): in condizioni normali la corsa per i titoli mondiali – piloti e costruttori – è già finita. Non tanto per il distacco che Vettel ha sugli inseguitori (60 punti su Alonso, 91 su Räikkönen), quanto per la superiorità netta della Red Bull di Vettel su tutti gli altri. Roba da KO psicologico irrimediabile. Sperare nei disastri altrui è credere a Babbo Natale a ferragosto. Però c’è qualche aspetto che non ci convince. Ne parliamo fra un attimo.

Allo start, Vettel è andato subito in fuga, seguito a distanza di sicurezza da Rosberg e Alonso, autore di una straordinaria partenza. La Red Bull numero 1 in fuga in pochi giri, con un margine di vantaggio dell’ordine di 1,2 secondi al giro. Dopo il primo giro di valzer dei pit stop, al 25° giro Ricciardo – come noto prossimo compagno di squadra dello squaletto di Heppenheim – pensava bene di vivacizzare la gara (fino ad allora di una noia mortale, a parte lo start) allargando l’ingresso della curva 18 e scivolando sullo sporco, con l’inevitabile contatto sulle barriere esterne “alla Calimero”.

La Safety Car impiegava sei giri per rientrare, anche per il ritardo ad accodarsi al gruppo di Bianchi e Pic, su Marussia e Caterham. A quel punto, alla ripartenza, Vettel ripeteva il giochetto dell’Hungaroring del 2010, mettendo tra se e la SC uno spazio troppo ampio, ben più di quello prescritto dal regolamento (42 metri, circa 10 monoposto). In Ungheria la mossa gli costò la vittoria, perché i Commissari Sportivi gli inflissero un provvidenziale Drive Through. A Singapore non è successo. Perché?

In quel momento, con una corretta penalizzazione, la gara avrebbe potuto avere una conclusione diversa. Attenzione, non affermiamo che Vettel non meriti di vincere, il dominio è netto e indiscutibile. Però, la monoposto di Adria Newey beneficia in modo incontrovertibile dell’aria pulita, mentre quando è dietro gli avversari la monoposto in qualche modo mostra sofferenze. Come oggi – dopo Monza – è accaduto a Webber, il quale ha gareggiato alla pari con Vettel nel recente passato e non risultano traumi che ne abbiano potuto compromettere le capacità.

Il finale di gara è vissuto sul crollo delle prestazioni delle gomme, di cui hanno fatto le spese soprattutto le McLaren di Button – crollato dal terzo al settimo posto – e Perez, e di cui ha beneficiato Massa, fermatosi per un terzo pit stop che lo aveva arretrato fino alla dodicesima posizione.

Il dominio di Vettel aiutato dalla benevolenza dei Commissari Sportivi. La resistenza di Alonso (corroborata da una partenza perfetta) da encomio solenne e in grado di cancellare molte critiche (fondate) su certe inclinazioni verbali dello spagnolo. Räikkönen eroico e professionista fino in fondo, malgrado i disturbi alla schiena. Un podio che illustra in modo plastico i tre piloti più forti della Formula 1.

Sotto il podio, Rosberg e Hamilton hanno salvato l’onore della Mercedes, ma il patatrac è stato evitato solo per miracolo. Massa è stato autore di una gara senza infamia e qualche lode, ma non lo ha aiutato certo la strategia a tre soste. Di Button e Perez abbiamo detto: peccato per Jenson, terzo con intelligenza fino al crollo di performance delle coperture.

Hülkemberg onesto lavoratore insieme a Sutil: entrambi hanno portato zucchero alle bevande dei rispettivi team, con ripercussioni sul vile denaro a fine stagione. Peccato lo svarione di Paul di Resta a cinque giri dalla fine.

Fra 15 giorni si va in Corea, dove le Red Bull sono favorite. A meno di terremoti – che sono imprevedibili, come noto – la conquista dell’iride si avvicina. La Ferrari tirerà i remi in barca e cercherà di mantenere il secondo posto nelle due classifiche iridate? Un obiettivo comunque non soddisfacente, una soluzione di ripiego dal sapore amaro.

Da non estimatori di Fernando Alonso fuori dall’abitacolo, ne apprezziamo il potere di sopportazione per una situazione che avrebbe fatto esplodere molti altri. Allo spagnolo non resta che mettersi a studiare l’approccio seguito da Michael Schumacher per conquistare cuori e menti della Ferrari e portare a quella lunga striscia di successi il team di Maranello. Le voci, le indiscrezioni, i sussurri che lo vedrebbero ora in quel team, ora in quell’altro, non lo aiutano, né aiutano la Ferrari. Il pilota di Oviedo può scrivere pagine di grande sport, basta solo coagulare nel modo giusto tutte le forze. E maturare come uomo. Chissà che le sconfitte non siano un buon catalizzatore.

Viva il Re Sebastiano IV prossimo venturo…

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