Netanyahu all’Onu: “Con l’Iran, Israele andrà avanti anche da solo”

Il Primo ministro israeliano duro verso Teheran: “Vorrei credere a Rouhani, ma non posso”. Dubbi del Senato Usa sull’applicazione di nuove sanzioni: “Ci stiamo domandano se sia giusto o meno in vista dell’incontro di Ginevra”. Ma la citazione di Ronald Reagan mostra che Israele è pronta a una convivenza e alla pace

20131002-netanyahu_onu-2-660x370

New York – Israele «non permetterà mai all’Iran di ultimare il suo programma nucleare. Se sarà necessario andremo avanti anche da soli». Questa la conclusione del discorso di ieri tenuto da Benjamin Netanyahu, Primo Ministro di Israele, di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in assenza della delegazione iraniana, rientrata a Teheran il 28 settembre scorso, assenza programmata, che non sorprende. Anzitutto perché è il segno della reciprocità di comportamento, perché lo stesso si era verificato il 24 settembre scorso, quando a parlare dal podio dell’Assemblea Onu era stato il presidente iraniano Hassan Rouhani.

Netanyahu ha però sottolineato che è necessario non «allentare la pressione», «non accettare accordi parziali» e «ritirare le sanzioni solo una volta accertato il disarmo» dell’Iran, perché è fondamentale per la sicurezza del Medio Oriente. E per corroborare le sue affermazioni ha citato – in modo significativo – il presidente americano che “ha sconfitto” (virgolette nostre) il comunismo: «Ronald Reagan – ha detto il Primo Ministro di Israele – suggeriva di fidarsi ma verificare, il mio consiglio riguardo l’Iran è di non fidarsi, smantellare e poi verificare».

Sull’eventualità di una soluzione diplomatica, il premier ha poi dichiarato che «soltanto dure sanzioni, sorrette da una minaccia militare credibile, rappresentano la via per portare Teheran al dialogo; il mondo abbia a mente quanto accaduto in Corea del Nord», una dichiarazione che non dovrebbe essere enfatizzata, ma inserita nel quadro della dottrina strategica dell’unica democrazia di matrice occidentale nell’area.

I prossimi 15 e 16 ottobre, i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania, si incontreranno con una delegazione iraniana a Ginevra per riavviare i negoziati sul programma nucleare di Teheran. Il dialogo distensivo dei giorni scorsi tra il presidente Barack Obama e Hassan Rouhani ha spinto alla fiducia la comunità internazionale sulla ripresa positiva delle trattative. Fiducia a cui non è estranea la politica del neo presidente iraniano, il quale affronta anche in patria contestazioni e velate minacce degli ambienti più conservatori degli islamisti, che si appigliano alla guida dell’ayatollah Alī oseynī Khāmeneī, la Guida Suprema del Paese.

Anche il Senato statunitense, fin qui allineato a Tel Aviv e incaricato entro settembre di varare un nuovo ciclo di sanzioni, ha manifestato in questi giorni dubbi sull’efficacia di un inasprimento delle sanzioni, nella prospettiva degli incontri di Ginevra. «Ci sono stati pareri contrastanti riguardo l’aumento delle pressioni sull’economia iraniana – ha spiegato il senatore repubblicano Bob Corkersi è pensato anche di mantenere il piano attuale senza approvare nuove sanzioni».

Il rallentamento del Senato statunitense è letto dagli analisti internazionali come una moderata “apertura di credito” all’Iran, nel tentativo di favorire un clima più conciliante per la nuova tornata di colloqui di metà mese.

Il timore di Israele è che la “smile policy” di Rouhani possa illudere gli alleati americani ed europei, con pericoli per la sicurezza di Israele, ma potrebbe anche essere una specie di “atto dovuto” per negoziare – anche se a distanza – un ruolo di co-potenza regionale con l’Iran, i cui recenti successi diplomatici preoccupano non poco le monarchie del Golfo – in primis l’Arabia Saudita – peraltro coinvolte in modo poco trasparente nelle vicende siriane.

© RIPRODUZIONE RISERVATA