Vettel trionfa nel GP di Sud Corea e perfino la Safety Car lo aiuta. Pirelli sull’orlo di una crisi di nervi…

Räikkönen e Grosjean sul podio. Gran gara di Hülkemberg. Dopo le critiche di Alonso e la piccata risposta di Hembery, in gara i fatti dimostrano che il pilota spagnolo non ha torto, ma a Mokpo non si è rasentato il ridicolo, si è sfiorata la tragedia: una Jeep come Safety Car è una castroneria assoluta. Webber, calimero della F1. Alonso parte quinto, arriva sesto. Massa, pare sesto, va in fondo e risale in zona punti, aiutato dalle SC. La corsa per l’iride è quasi finita, Sebastian Vettel vicino al 4° titolo

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Sebastian Vettel ha vinto il Gran Premio di Sud Corea, allungando a 77 i punti di vantaggio su Fernando Alonso, solo sesto al traguardo, il quale va citato più volte oggi. La prima: «dobbiamo essere realisti, siamo troppo lontani, non tanto per i punti, quanto per il passo: ci danno 30 secondi a gara». Punto. Vettel sta per incidere il suo nome nella Storia della Formula 1 e il merito del pilota – evidente, robusto, indiscutibile – è senza dubbio esaltato da una monoposto davvero disegnata attorno al tedesco.

Sul podio, al termine di una bella gara di rimonta, Kimi Räikkönen, insieme con il giovane e maturando compagno di squadra, Romain Grosjean. La Lotus, fin dalle libere, aveva puntato sul passo gara. La partenza di Grosjean ha messo sotto pressione Hamilton e il resto dei piani alti, più che Vettel, andato subito al largo, ma senza il dominio assoluto di Singapore.

L’uomo del giorno è stato però Nico Hülkemberg, che ha agguantato un quarto posto di rabbia e orgoglio con una Sauber che dovrebbe fare i salti mortali per tenerlo. La velocità sul dritto della monoposto svizzera motorizzata Ferrari ha consentito al pilota tedesco di bloccare “a tappo” Hamilton e Alonso (malgrado fossero più veloci).

Per Mercedes e Ferrari una giornata nera. La strategia confusa nel team di Stoccarda e l’inconsistenza della Ferrari hanno prodotto questo risultato. Il quinto e sesto posto di Hamilton e Alonso, oltre che il settimo di Rosberg e il nono di Massa, rendono esattamente il livello di competitività a Mokpo sia delle monoposto che dei team. Per Massa un’altra gara da rimonta dal fondo. I due punti in classifica raccattati alla fine, anche grazie al ritiro di Ricciardo a due tornate dalla bandiera a scacchi, sono “grasso che cola” con una macchina inesistente. La scivolata in partenza, alla seconda curva, è un incidente di gara e non ne faremmo un caso per aprire un ulteriore processo al pilota brasiliano: può accadere.

Per Button e Perez l’ottavo e il decimo posto hanno il sapore dello zuccherino che rende gradevole una bevanda difficile da ingerire, mentre per Gutierrez gli otto decimi che lo separano dal connazionale della McLaren hanno il retrogusto amaro di un punto che sarebbe stato meritato.

Ma il Gran Premio di Sud Corea del 2013 probabilmente è l’ultimo della serie. L’affluenza di pubblico – che definire “scarsa” significa cercare di nascondere la simpatia che abbiamo per la Corea del Sud – e i problemi finanziari che derivano dall’aver innestato un impianto sportivo in un luogo ameno, ma senza storia e, probabilmente, senza futuro, avrebbero messo la parola “fine” all’evento. La gara ha mostrato una debolezza strutturale dell’organizzazione.

Lo hanno dimostrato, senza ombra di dubbio, i fatti seguiti all’incidente tra Adrian Sutil e Mark Webber al 39 giro. La Red Bull dell’australiano, colpita involontariamente dalla Force India del tedesco nella fiancata posteriore destra, andava a fuoco, probabilmente per la rottura del serbatoio dell’olio o di una tubazione. A quel punto, una scena surreale si è presentata agli occhi dello spettatore: nessun commissario di pista o addetto antincendio è intervenuto a spegnere il fuoco che ha subito avviluppato la monoposto. A un certo punto Vettel si è trovato (per fortuna a debita distanza) una Jeep – che si stava recando nel posto in cui bruciava la macchina di Webber – con le frecce di emergenza accese, mentre dietro Räikkönen e Grosjean lottavano tra loro.

Ai lati della pista i commissari sventolavano nel frattempo bandiere gialle (pericolo) e bandiere bianche (veicolo lento in pista), insieme al cartello SC (che indicava il dispiegamento della Safety Car). Se Webber fosse rimasto bloccato nella monoposto per qualche motivo, oggi parleremmo di una tragedia evitabile. Così possiamo parlare invece di un’altra cosa da evitare: tornare in Corea a correre.

La seconda riflessione che intendiamo proporre ai nostri quattro lettori riguarda la polemica tra Alonso e la Pirelli. Ieri, alla fine delle qualifiche, il pilota spagnolo aveva affermato «la qualità delle gomme è davvero al limite», criticando la “produzione” accentuata di “marbles” (i riccioli di gomma che si producono con il consumo del battistrada), spiegando che questi residui di gomma creano «una traiettoria di gara di due metri». Tuttavia Alonso precisava anche che la Ferrari soffrirebbe comunque, anche con gomme diverse, perché anche «con una gomma migliore gli altri potrebbero spingere comunque di più. Il deficit che abbiamo sarebbe lo stesso con qualsiasi gomma, ma almeno potremmo guidare».

A queste dichiarazioni rispondeva in modo piccato il direttore di Pirelli Motorsport, Paul Hembery, che aveva prima qualificato le parole del pilota spagnolo come «deludenti» e «sotto gli standard che ci si aspetterebbe da un campione», per poi dare una stoccata ferale: «posso solo suggerirgli di chiedere a quello che sarà presto il quattro volte campione del mondo come ottenere il meglio dalle stesse gomme». In serata (di Yeongham) la Ferrari aveva risposto «Hembery ha perso un’occasione per tacere», che a noi sembra una buona valutazione dei fatti per tutti.

Alonso ha ragione di lamentarsi delle gomme, ma soprattutto si lamenta della monoposto che non fa lavorare bene le gomme Pirelli. E Hembery ha ragione per le sorprendenti – ma non originali – parole del pilota di Oviedo. Si tratta però di una mancata assunzione generale di responsabilità. La Pirelli ha accondisceso alle richieste dei team per costruire una gomma che, consumandosi velocemente, creasse le condizioni di uno spettacolo sintetico, fatto di pit stop e rimonte fasulle, corroborate dall’ala mobile, un vero e proprio doping tecnico. Questa richiesta fu formulata dai team.

Il disfacimento del battistrada della gomma anteriore destra di Sergio Perez, nel corso del 31° giro, ha fatto venire un brivido sulla schiena di tutti ai box. E il dispiegamento della Safety Car – ufficialmente per togliere i detriti prodotti – ne è la dimostrazione.

Visto che indietro non si può tornare, che team, FIA, Pirelli e GPDA (associazione dei piloti) prendano atto della pericolosa situazione e trovino le opportune modifiche regolamentari, senza aspettare che qualcuno si faccia male per intervenire.

La prossima settimana si corre a Suzuka, un circuito che sembra disegnato di proposito per dare a Sebastian Vettel il quarto titolo mondiale. Al pilota di Heppenheim serve la vittoria e che Alonso non arrivi oltre il nono posto, il che si tradurrebbe in una débâcle della Ferrari che noi non ci sentiamo di auspicare. Ma sarebbe solo ritardare l’appuntamento per lo storico traguardo. Non c’è il passo – oltre al distacco – che possa far sperare in una rimonta: i 77 punti di ritardo sono incolmabili, tranne che nel caso di un tracollo della Red Bull su cui nessuno dovrebbe riporre le speranze.

La Formula 1 è in debito di sport per eccesso di business. Riconoscere la forza degli avversari è un modo onorevole per mettere un peso sul piatto “sport” di questa sbilancia sgangherata. Non è moltissimo, ma può essere tanto.

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F1, 2013 KOREAN GRAND PRIX – GARA

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L’analisi tecnica Pirelli di Mario Isola

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John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.