Lampedusa, l’isola immersa in un fiume di parole, ma pochi fatti concreti. Economia turistica a rischio, checché ne dicano i benpensanti
La proposta di assegnare all’isola lembo d’Europa il “Premio Nobel per la Pace” è gettare fumo sugli occhi dell’opinione pubblica, per nascondere i veri problemi vissuti dai lampedusani. Promuovere il turismo e proteggere l’isola dai disastri, piuttosto che inondare il palco di una sfilata di politici che piangono, ma poi chiedono le tasse pregresse con aggravi del 30%
Ora che a poco a poco la tragedia di Lampedusa, di cui ancora si stanno recuperando i tanti morti, sta scendendo di posizione nelle scalette dei telegiornali e nelle home page dei quotidiani online, è doveroso scrivere qualche parola su chi abita in quell’isola.
Perché, mossi dallo shock emotivo, si è spesso fatto riferimento allo “straordinario popolo lampedusano” con tanto di proposta di candidatura per il Premio Nobel per la Pace. E c’è stato pure chi ha persino scritto/detto che “oggi siamo tutti lampedusani“.
Ma nell’ultimo lembo a sud d’Italia e d’Europa gli isolani sono ormai avvezzi ad essere “coccolati” quando ci scappa il morto o quando non sanno più dove mettere i migranti.
E se qualche anno fa, magari, credevano a quello o a quell’altro, promettente l’interessamento di prassi a favore della quotidianità lampedusana, ora c’è disillusione e sempre maggiore sfiducia nei confronti dei “forestieri“.
E poi, francamente, agli isolani non interessano le pacche sulle spalle, le visite di presidenti, le sfilate dei ministri con gli occhi bagnati dalle lacrime (spesso apparenti di mera circostanza). E non interessa che a Oslo si possa premiare lo spirito di solidarietà e sacrificio dei lampedusani con un premio: sembrano solo parole…
Laggiù, invece, hanno bisogno di fatti. È risaputo, in primis, che a Lampedusa si campi di turismo estivo. È una delle isole più belle del Mediterraneo, frequentata soprattutto dai “nordisti”, sia italiani che europei, che popolano alberghi, B&B e le case degli isolani che si trovano in “città” (perché in estate si trasferiscono in “campagna”).
La strada principale, via Roma, da maggio a settembre è chiusa al traffico veicolare e diventa il fulcro del divertimento serale e notturno dei turisti. Senza contare poi i supermercati, i panifici, i negozi che vendono “souvenir”. Insomma, l’economia dell’isola ruota attorno al turismo. Ed è chiaro che l’immigrazione irregolare e gli sbarchi danneggino pesantemente l’assetto economico dell’isola. Quale turista, infatti, sceglierebbe di andarsi a rilassare in un’isola dove sbarcano migliaia di migranti, dove le forze dell’ordine sono sempre in assetto di “combattimento“, dove bisogna fare i conti con un mare “toccato” anche dalla morte?
È vero che quest’anno, a differenza dei precedenti, c’è stato un aumento delle presenze, ma non si può sempre sperare che ci sia una rivoluzione in Egitto per “incassare” i turisti che avrebbero dovuto andare a Sharm el Sheik.
Inoltre, Lampedusa affronta ogni anno sempre gli stessi problemi legati ai trasporti, soprattutto in inverno. Capita spesso, infatti, che la nave non arrivi a destinazione (in partenza da Porto Empedocle), causando ovvie conseguenze (scarsità di farmaci, alimenti…). E i lampedusani non riescono a capire come mai ci si affretti a organizzare un volo speciale per trasferire gli immigrati ma non si faccia altrettanto per ovviare ai limiti dei collegamenti marittimi.
E poi c’è la questione – non di secondario rilievo – del pagamento delle tasse relative al biennio 2011/2012, che lo Stato sta richiedendo con l’aggravio del 30%.
In definitiva, anziché pensare al Premio Nobel, sarebbe auspicabile un piano concreto di azioni che possa dare respiro a Lampedusa e ai lampedusani, promuovendo ancora di più il turismo e migliorandone la vivibilità. Il resto è solo “emozione“.
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