Mediterraneo e Medio Oriente. (2) Gli interessi fondamentali della Cina nella regione: brevi note

Continua l’excursus sulla presenza dei BRIC (Russia, Cina e Brasile) in Medio Oriente. Argomenti che meriterebbero maggiore spazio, ma l’analisi sintetica consente una comprensione migliore e sollecita la curiosità del lettore ad approfondire l’argomento

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La seconda potenza emergente (anche se giàpresente da tempo) nel Mediterraneo è la Cina, che ha ,olti interessi economici nell’area, anzitutto per il forte ruolo giocato sullo scacchiere energetico mondiale, come importatore crescente di petrolio, un fattore di valenza strategica.

Infatti, secondo le statistiche più attendibili, più della metà del petrolio usato in Cina proviene dal Medio Oriente. Quindi è facile comprendere come Pechino dipenda dai Paesi arabi per l’approvvigionamento e di conseguenza voglia assicurarsi una posizione di sicura preminenza nell’area. E per meglio radicare la sua presenza, ha fatto e sta facendo cospicui investimenti, incrementando anche il volume di import-export al punto che l’area mediorientale è diventata nel tempo il settimo partner commerciale della Cina.

Questo enorme stato (per territorio e popolazione), ormai grande potenza economica, è legato non solo ai Paesi mediorientali ma anche in modo stretto con quelli dell’Asia occidentale: basta analizzare con cura i confini cinesi e allora ben si comprende quali problemi debba fronteggiare Pechino. Ad esempio quelli relativi allo Xinjiang, nella sua regione occidentale: le infiltrazioni integraliste islamiche di stampo qaedista possono seriamente minacciare la stabilità e lo sviluppo di quella regione e arrivare a infettare altre zone del Paese, come è già successo più volte lungo i confini con India, Pakistan (soprattutto) e Afghanistan; confini peraltro assai permeabili. Sono molto a rischio anche quelli con le repubbliche dell’Asia centrale, sempre per problemi d’infiltrazioni integraliste.

È opinione diffusa tra la maggior parte degli analisti che almeno due siano le fonti, provenienti dal Medio Oriente, in grado di arrecare problemi al governo di Pechino (e di Mosca) gli integralismi che portano a estremismi; il terrorismo nelle sue varie manifestazioni. Queste due forze congiunte possono dare luogo a forme di separatismo che aggravano le situazioni locali, innestando una spirale di atti terroristici destabilizzanti. Ne consegue che la Cina debba in qualche modo ‘controllare’ forze eversive di natura islamica integralista, assicurando anche una sua massiccia importante presenza nel mondo mediorientale.

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Tornando al quadro in Medio Oriente dell’ultimo decennio, nel gennaio del 2004 la Lega Araba avviò un’iniziativa che fu ben accettata dalla Cina: l’istituzione di un Forum per la Cooperazione sino-araba (China and Arab Countries Cooperation Forum-CASCF) per dare la possibilità agli Stati membri di coordinare e rafforzare le loro politiche nei campi della politica, dell’economia e, soprattutto, nel settore della sicurezza e stabilità dei territori.

I risultati, dopo quasi dieci anni di colloqui e cooperazione sembra siano stati assai soddisfacenti, come riportano le stesse parti contraenti, con notevole rafforzamento dei legami economici e politici. Nel maggio 2012 il CASCF tenne la sua quinta conferenza ministeriale in Tunisia, a dimostrazione che gli avvenimenti della ‘primavera araba’ non avevano per nulla rovinato i rapporti multilaterali: anzi la Cina, riconoscendo il diritto all’autodeterminazione di quei popoli, era rimasta fuori dalla mischia attiva e questo comportamento ha migliorato, se possibile, le relazioni relative al movimento di persone e cose. Migliaia di persone viaggiano tra la Cina e il Medio Oriente; circa 8.000, secondo cifre ufficiali, sarebbero gli studenti arabi che frequentano istituti di formazione cinese a livello universitario e tecnico. Molti sono i medici cinesi che prestano la loro opera negli ospedali arabi.

La cosiddetta ‘primavera araba’ ha portato al mutamento completo di molti governi e governanti, ma Pechino ha sempre colto l’occasione per migliorare i suoi rapporti con i nuovi uomini politici saliti al potere.

20131021-Mahmoud_Jibril-254x346didCon la Libia Pechino ha giocato bene. Nel giugno 2011 il leader del Consiglio di Transizione libico, Mahmoud Jibril al-Warfali, fu invitato a visitare Pechino; nemmeno un mese dopo, il Direttore Generale del Dipartimento dell’Asia occidentale e degli Affari nordafricani del Ministero degli Esteri cinese arrivò a Bengasi per una serie di abboccamenti con i leader dell’opposizione a Gheddafi, con il quale – è da notare – i cinesi avevano tessuto rapporti diplomatici ed economici di rilievo fin dal 1978. Ancora nel 2011, in settembre, il Vice Ministro per gli Affari Esteri cinese partecipò a Parigi alla conferenza internazionale ‘Amici della Libia’, avendo anche incontri bilaterali con esponenti dell’opposizione, finalizzati a chiarire la posizione rispettosa della Cina verso l’autodeterminazione del popolo libico e chiedere che gli interessi cinesi fossero salvaguardati all’interno della Libia.

Infatti, Jibril invitò successivamente la Cina ad avere un ruolo importante nella ricostruzione del Paese nel periodo successivo alla guerra civile, il che significava appalti, imprese, tecnologia, lavoro per esperti cinesi, insomma la possibilità di una penetrazione economico-commerciale importante, che senza dubbio porterà anche ad una penetrazione ideologica di una certa importanza, almeno fino a nuovi sconvolgimenti, perché nulla dura in eterno e la storia di questi tempi presenta una grande volatilità.

La stabilità della Libia non è ancora molto certa, come quella di altri Paesi della regione, Egitto e Tunisia comprese. Certamente la Libia offre occasioni numerosissime e di alto valore economico, soprattutto di questi tempi, ed è logico che chi già fosse presente prima ora tenti di migliorare il proprio ruolo nel Paese, soprattutto se ha tenuto un comportamento ‘diplomatico’ nei momenti più bui della guerra civile. La speranza cinese riposa su una rapida stabilizzazione della Libia (e non solo quella cinese). Un Paese da ricostruire presenta infinite opportunità di penetrazione economica, non per niente i conflitti sono anche un volano dell’economia, analizzando cinicamente i fatti.

Verso l’Egitto la Cina ha sempre mostrato una certa gratitudine, dovuta al fatto che nel maggio 1956 Nasser stabilì, primo governante arabo, relazioni diplomatiche con Pechino, aprendo così la strada per il governo cinese alla penetrazione nel mondo arabo. In quel periodo storico l’Egitto aveva la leadership nella regionee costituiva una guida e un faro per altri territori arabi alla ricerca dell’indipendenza o di recente ottenimento dell’indipendenza dalle potenze coloniali. Il leader egiziano, chiunque esso fosse, è sempre stato un partner privilegiato di Pechino, che ancora adesso attribuisce grande importanza alle relazioni con il governo cairota.

Nel marzo 2011, durante le dimostrazioni di piazza, Pechino prese come sempre posizioni diplomatiche a favore dell’opposizione e, dopo solo u20131021-Mohamed_Hussein_Tantawi-254x320n mese dalla perdita del potere di Hosni Mubarak, inviò in visita ancora una volta il Vice Ministro degli Affari Esteri. E ancora una volta, a fronte di reiterate dichiarazioni di rispetto per la volontà del popolo egiziano, fu richiesto il rispetto per gli interessi cinesi in Egitto. Nemmeno due mesi dopo, lo stesso Ministro cinese degli Affari Esteri era al Cairo per discutere con il generale Mohammed Hussein Tantawi, al momento Presidente del Supremo Consiglio delle Forze Armate. Andò ancora meglio quando il presidente Morsi scelse come prima visita fuori regione proprio la Cina, dove ebbe colloqui ai massimi livelli. In quell’occasione i due Paesi decisero di rafforzare la cooperazione bilaterale negli affari sia regionali sia internazionali; di promuovere e rafforzare gli scambi economici e commerciali; di favorire gli scambi di professionalità con esperti nei vari settori; di innalzare al più alto grado possibile le loro relazioni diplomatiche. Furono firmati anche una serie di accordi di cooperazione economica, peraltro di routine durante incontri al vertice di quel tipo, ma comunque significativi della volontà cinese di migliorare la propria presenza anche in Egitto. Per il Cairo poteva voler dire avere anche aiuti notevoli per un’economia ormai al quasi al collasso, che aveva urgente bisogno di iniezioni estere di investimenti soprattutto nel settore delle infrastrutture, altamente carenti in Egitto.

La situazione in Siria è ancora oggi in bilico. La guerra civile continua. Bashar al-Assad mantiene il potere e le maggiori potenze cercano di trovare un accordo evitando un intervento militare che sarebbe distruttivo per la regione, come ormai acclarato da più parti. E la Cina come si comporta, considerando che già dal 1956 aveva stretto relazioni diplomatiche con il padre dell’attuale presidente siriano? Nell’ottobre 2011 e nel febbraio 2012 la Cina, insieme alla Russia, pose il veto a una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, temendo certamente che la Siria diventasse una seconda ‘Libia’. La Cina ha invitato rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione a visitare la Cina per tentare una mediazione, che forse è impossibile. Pechino sta fornendo aiuti consistenti al Comitato Internazionale della Croce Rossa per interventi umanitari a favore della popolazione siriana, ancora presente sul territorio siriano, ma anche a quella riparata nei Paesi vicini.

20131021-Bashar_al-Assad-254x346Dal punto di vista diplomatico, la Cina ha proposto quattro punti all’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega araba, Lakdar Brahimi, per tentare di arrivare a un cessate il fuoco e a una ricostruzione – prima di tutto politica – della Siria:

1)    chiedere a tutte le parti coinvolte di fermare la violenza e di cooperare attivamente con gli sforzi di mediazione dell’inviato speciale. Un accordo concreto sul coprifuoco dovrebbe essere raggiunto individuando anche le relative modalità regione per regione, per fasi, per comandi. La Siria dovrebbe riuscire a esprimere rappresentanti che raggiungano un’intesa su una road map di transizione politica per uscire dal tunnel della guerra civile;

2)    stabilire un governo provvisorio di ’larghe intese’ – come s’usa dire in Europa – che riesca a chiudere la crisi.

3)    Appoggiare la mediazione di Brahimi e dare alla Lega Araba un ruolo decisivo nella questione

4)    Ultimo punto, risolvere la questione umanitaria, che non dovrebbe essere né politicizzata né militarizzata, ma conferita in toto alle Nazioni Unite e alle Istituzioni internazionali neutrali, che possano dare il loro efficace e professionale aiuto.

Pechino dunque adotta chiaramente una politica estera di rispetto dell’autodeterminazione dei popoli e di non ingerenza nei fatti interni, ma è indubbio che il fattore economico e la ricerca di stabilità anche ai suoi confini siano la regola regina che detta questa ‘linea diplomatica verso il mondo arabo’.

Nulla da dire, solo che forse la Cina dovrebbe adottare gli stessi principi all’interno dei suoi confini: i comportamenti politici di un governo non sono sempre dettati dalla coerenza, ma dall’interesse principale in quel momento specifico, sia esso ideologico o economico. Pragmatismo e cinismo politico per avere sicurezza e stabilità. Inutile scandalizzarsi. Da sempre è stato così e così sarà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA – ARTICOLO PUBBLICATO IN ORIGINE SU “OSSERVATORIO ANALITICO”, RIPRODOTTO PER GENTILE CONCESSIONE DEL DIRETTORE SCIENTIFICO (WWW.OSSERVATORIOANALITICO.COM)

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Maria Gabriella Pasqualini

Maria Gabriella Pasqualini si è laureata cum laude alla Sapienza in Scienze Politiche, Già distaccata presso il servizio diplomatico, poi docente universitario, è autore di numerosi volumi di storia militare e di saggi storici. Esperta di Medio e Vicino Oriente, collabora con numerose riviste scientifiche. A THE HORSEMOON POST è Vicedirettore e Responsabile Esteri e Difesa.