Mediterraneo e migranti. Una tragedia europea? Disposto il rafforzamento del controllo sul mare. Sarà efficace?

Una panoramica della situazione attuale con numeri e riferimenti alla normativa vigente europea sull’immigrazione da paesi extra UE. Un punto sullo ‘stato dell’arte’. Un problema complesso che riguarda un fenomeno storico di grande portata sociale ed economica, con seri mutamenti del tessuto umano di varie regioni mediterranee ed europee, cui i governanti dovrebbero saper dare una risposta valida ed equa sia per gli immigrati e che per gli autoctoni, ma permangono molti dubbi sulle reali capacità di affrontare un tema tanto spinoso, se non sull’onda di emozioni

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Nella notte del 3 ottobre 2013, a circa un miglio e mezzo da Lampedusa, si è rotto il motore di un barcone partito dalla Libia con 518 persone, per la maggior parte eritrei e somali. Qualcuno dei migranti, intravista la costa, nel tentativo di farsi notare ha dato fuoco a una coperta innescando un incendio sul ponte intriso di gasolio.

Per il caotico spostamento delle persone in preda al panico, il piccolo battello ha cominciato a imbarcare acqua, decine di passeggeri si sono gettati in mare e il natante s’è in breve inabissato con centinaia di persone rimaste intrappolate nella stiva. Un peschereccio, notate le fiamme, si è diretto verso la zona, seguito poco dopo da alcune motovedette. Sono state salvate 155 persone e recuperate 364 vittime. I dispersi sono 4.

Il giorno 11 dello stesso mese, in una zona a 60 miglia a Sud di Lampedusa, un altro barcone con 400 migranti si è rovesciato e solo la prontezza dei soccorsi ha consentito il salvataggio di 206 persone. Nella notte sono stati recuperati 34 cadaveri e risultano dispersi gli altri 160.

Secondo i dati di “Fortress Europe” (aggiornati al 3 ottobre), dal 1988 i morti lungo le frontiere europee sono stati 19.142, per la maggior parte annegati nel Mar Mediterraneo.

I flussi migratori interessanti il Mediterraneo sono diretti come primo approdo verso:

–       Spagna, da Marocco, Algeria e Paesi sub-sahariani (Mauritania, Mali, Niger, Ciad);

–       Malta, da Tunisia, Libia e Paesi sub–sahariani;

–       Italia, da almeno tre direttrici: con sbarco a Lampedusa da Tunisia, Libia e Paesi sub-sahariani; con sbarco in differenti siti siciliani, migranti siriani dall’Egitto; con sbarco in Calabria e Puglia, migranti siriani dalla Grecia;

–       Grecia, da Afghanistan, Somalia, Eritrea e Paesi africani.

Contestualmente alla tragedia di Lampedusa, un Rapporto del Consiglio Europeo ha evidenziato una debole efficacia dell’Italia nella policy sull’immigrazione e l’asilo, a causa dell’adozione di misure quasi esclusivamente di repressione e controllo – evidenziate soprattutto dall’introduzione del reato d’immigrazione clandestina – e per la debole risposta assistenziale nei confronti dei rifugiati.

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Una sintetica panoramica sul tessuto istituzionale e legislativo dell’Unione Europea e dell’Italia può contribuire a un più agevole orientamento su questi temi difficili e complessi.

L’Agenzia Europea delle frontiere “Frontex”, istituita nel 2004 con sede a Varsavia, ha l’obiettivo di sorvegliare le frontiere esterne dell’Unione Europea e, in questo quadro, il Mediterraneo per impedire ai barconi dei migranti di avvicinarsi alle coste europee e per organizzare “operazioni di ritorno congiunto”. Uno Stato membro dell’UE può chiedere l’intervento di Frontex, che coordina azioni e mobilità dei diversi corpi di Polizia nazionale avvalendosi di 26 elicotteri, 22 aerei e 113 navi. Non mancano critiche all’attività di Frontex per un approccio orientato solo all’aspetto repressivo nei confronti dei migranti.

In merito, “Human Rights Watch” ha accusato l’Agenzia di aver collaborato nel 2009, con l’Italia per respingere migranti verso la Libia e, nel 2011, con la Grecia per trasferire i migranti in centri di detenzione definiti inumani. Critiche che spinsero Frontex a dotarsi di un nuovo regolamento e a istituire una figura nuova, quella di “Incaricato dei diritti fondamentali” incaricato di controllare il rispetto dei diritti umani, ma l’attività svolta deve aver sinora mancato di efficacia, se anche lo “Special Reporteur delle Nazioni Unite”, Francois Crépeau, ha dichiarato che l’Agenzia “è un servizio di intelligence e informazione, i cui obiettivi di sicurezza sembrano lasciare in ombra le considerazioni relative ai diritti umani”.

L’Agenzia è dotata di un budget aumentato dai 6 milioni di di euro annui del 2005 a 19 nel 2006 agli 85 del 2012 (dopo i 111 milioni di nel 2011), confermati anche per il bilancio 2013, arrivando a totalizzarne 516 nel periodo 2006-2012.

Nel periodo 2007-2013, inoltre, l’Agenzia è stata finanziata con 285 milioni di Euro per il programma di “Solidarietà e Gestione dei Flussi Migratori”, con la facoltà di facilitare la vendita di alta tecnologia a Paesi terzi grazie ad “Accordi di esternalizzazione dei controlli”, conclusi con alcuni Paesi dei Balcani, Bielorussia, Moldavia, Ucraina, Russia, Georgia, Capo Verde, Nigeria, USA e Canada mentre sono in via di conclusione intese con Mauritania, Libia, Egitto e Senegal.

Per il controllo delle imbarcazioni con migranti e rifugiati Frontex può avvalersi anche del programma “EPN Hermes” (operante dal 2011) con eventuale supporto dell’Europol (Polizia europea).

Dal 2011 l’Agenzia può acquistare o affittare materiali e gestisce anche “Eurosur” (Euro sicurezza) un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere, creato nel 2012 e operativo dal 2 dicembre 2013, finanziato con 340 milioni di euro per il periodo 2014-2020, con l’obiettivo di coordinare le Autorità nazionali nell’attività di individuazione puntuale e rapida  delle piccole imbarcazioni e soccorrerle, se necessario.

Frontex infine può accedere ai fondi del programma europeo di “Ricerca e Sviluppo FP7”, dotato di 50 milioni di euro, che consente all’Agenzia anche di acquistare armi e facilitare agli industriali delle armi il ricorso al fondo.

Dal 2009 l’UE può legiferare in materia di immigrazione e asilo, ma la maggior parte delle proposte sono bloccate non dalla Commissione o dal Parlamento Europeo, bensì dagli Stati membri, che non trovano la maggioranza per approvarle, anche perché la “lotta contro l’immigrazione” va diffondendosi in Grecia (in seno al Partito della estrema destra “Chrisì Avgì”-Alba Dorata), Norvegia (dove il Partito “Fremskrittparriet”- Partito del Progresso-teorizza “la purezza culturale norvegese” e “la lotta all’islamizzazione strisciante”, qui citata anche se non fa parte dell’Unione Europea), Regno Unito (il cui “UKIP” – United Kingdom Indipendence Party – conservatore, propone anche ai suoi avversari di votare alle elezioni parlamentari europee del maggio 2014 i suoi candidati per poi indire un referendum sull’uscita dall’UE), Austria (ove il “Freiheilihe Partei – Partito della destra populista – è antieuropeista)  e Francia (in cui il “Front National” utilizza fra gli slogan “la lotta all’immigrazione”).

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Peraltro, la Commissione Europea dal 2011 ha istituito fondi per sostenere gli Stati più esposti alla migrazione, tra cui Italia, Grecia e Malta. La Grecia nei primi mesi del 2012 ha registrato alle frontiere oltre 70 mila immigrati. In Spagna il flusso migratorio regolare è in continua crescita. Gli immigrati nel 1999 costituivano l’1,86% della popolazione e sono aumentati nel 2013 fino al 12%, con un assorbimento nel decennio 2000-2010 di oltre 1/3 del totale delle migrazioni verso l’Europa.

La maggiora parte dell’immigrazione clandestina in Spagna entra legalmente per via aerea dall’America Latina e rimane alla scadenza del visto mentre un numero inferiore tenta di penetrare attraverso lo Stretto di Gibilterra o la “frontera sur” formata da Andalusia, Canarie e le enclavi spagnole in terra marocchina di Ceuta e Melilla, unico confine dell’UE in Africa (ma non parte dell’Area Schengen, per cui i migranti bloccati non possono né tornare indietro né raggiungere il continente), da dove nel 2012 – secondo i dati del Ministero dell’Interno – 2.841 migranti avrebbero tentato di entrare in Spagna.

Nel 2012 il 70% delle domande di asilo hanno riguardato Germania (96.890), Francia (64.500), Svezia (46.340), Gran Bretagna (30.255), Svizzera (25.015), Belgio (25.000) e Italia 20.905), secondo i dati pubblicati da Eurostat.

Tra gennaio e luglio 2013 la Francia ha ricevuto circa 29 mila domande di asilo, la Germania 51 mila e l’Italia 6.700. L’Italia ha ottenuto per il periodo dal 2010 al 2012 un contributo totale di 223 milioni di Euro e di 137 milioni solo per il 2013.

Con l’obiettivo di disciplinare i flussi migratori, Roma promulgò nel 1998 la legge sull’immigrazione che, recependo gli “Accordi Schengen” del 1995, introdusse la carta di soggiorno, i ricongiungimenti familiari, l’istituto dello sponsor e implementò l’istituto dell’accompagnamento alla frontiera, costituendo nello stesso anno anche il “Centro di Permanenza Temporanea” (CPT).

La successiva legge del 2002 operò restrizioni sul diritto di asilo, aumentò il periodo di trattenimento a 60 giorni e i “Centri di Accoglienza” (CDA) vennero sostituiti dai “Centri di Identificazione” (CDI) in cui vengono  trasferiti e trattenuti i richiedenti asilo politico presenti nel CPT. Nel 2008, il CPT venne sostituito dai “Centri di Identificazione ed Espulsione” (CIE), che attualmente svolgono funzioni di CPT e CDI.

Le condizioni di reclusione dei migranti sono state spesso oggetto di denunce da parte di Organizzazioni non Governative come “Médécins sans Frontiéres”.

Nell’agosto dello stesso 2008, il Governo italiano firmò con la Libia un “Trattato di amicizia” che contempla fra l’altro il respingimento dei barconi di migranti. Una pratica condannata nel febbraio 2012 dalla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo.

“Accordo” che è stato confermato nel luglio 2013 anche con il nuovo governo libico, nei cui confronti l’Italia ha assunto l’impegno di addestrare 5 mila libici, fra cui personale delle Forze Armate e di Polizia, nel controllo delle frontiere e – secondo quanto denunciato da “Amnesty International” – quello di ammodernare alcuni centri nei quali i libici detengono migranti.

Su quest’ultimo punto permangono perplessità alla luce della Risoluzione adottata nel 2012 dal Parlamento Europeo, in cui si invitano tutti gli Stati membri a stipulare ulteriori accordi sul controllo della migrazione con la Libia solo dopo che quel Paese abbia dimostrato di rispettare i diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e migranti come indicato dalle richieste di protezione internazionale. Tripoli, però, non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra.

In esecuzione dell’accordo dei 2008, rinnovato nel 2013, comunque, Polizia e Guardia di Finanza italiane hanno sottoscritto un’intesa (7 ottobre 2013) con le Autorità libiche per definire le modalità di addestramento e pattugliamento sotto costa – entro le tre miglia da quella libica – con le motovedette già donate e restaurate dall’Italia.

In Libia vi sono 17 centri di detenzione per migranti gestiti ufficialmente dalle autorità di Tripoli, oltre a un imprecisato numero di centri (circa 100) nell’esclusiva disponibilità delle milizie (oltre 500) dove sarebbero rinchiusi dalle 4 alle 6 mila persone.

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La Croce Rossa – che ha potuto visitare solo 60 di questi ultimi centri – nel Rapporto intitolato “0021” del settembre 2013 – ha denunziato gravissime violazioni dei diritti umani, pratiche di torture, abusi di ogni genere. Anche “Amnesty International (maggio 2013), dopo la visita nel “Centro di Trattenimento” di Sabha con 1.300 persone, gestito dalle autorità libiche, ha segnalato brutalità e torture in danno dei “trattenuti”.

Nell’ottobre 2013 il Rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNHCHR) e della Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha documentato – nei centri gestiti dalle milizie – casi di arresti arbitrari, violenze e imprigionamenti in condizioni disumane con frequenti casi di tortura, proibizione di colloqui con i legali, saltuarie visite dei familiari e, dalla cattura e uccisione di Gheddafi, 27 casi di decessi dovuti presumibilmente a torture.

Il Ministero della Giustizia libico ha fornito nel settembre 2013 alcuni dati, secondo cui nei circuiti carcerari vi sono 8 mila detenuti senza processo accusati di avere combattuto per Gheddafi, di cui 4 mila sotto la custodia della “Judicial Police” e i restanti 4 mila custoditi dalla “Military Police” obbediente al Ministero della Difesa, nonché dal “Servizio di Sicurezza Centrale” (SSC) e  dal “Combating Crime Department” (CCD) formati da brigate armate operanti in parte agli ordini del Ministero dell’Interno e in parte completamente autonome.

Il tentativo di inglobare le milizie nei Ministeri di Difesa e Interno non ha sortito alcun effetto, rendendo la situazione di sicurezza del Paese assolutamente precaria. Il fenomeno migratorio ha destato alto allarme in Europa dopo la caduta del regime libico (31 ottobre 2011), per il timore dell’arrivo di ondate di emigranti clandestini e non.

In realtà la gran parte della popolazione dell’area sahelo-sahariana e dei perseguitati presenti in Libia rientrò nel Paese di provenienza o si spostò verso altri Paesi africani, destabilizzando l’intera Regione, che deve affrontare anche le conseguenze dell’altra guerra su iniziativa francese in Mali (gennaio 2013) e  la crescente instabilità del Corno d’Africa.

Atteso che la crisi siriana ha causato finora un’ondata migratoria di oltre 2 milioni di persone e che il numero di conflitti in corso in Africa, Medioriente e Asia tende ad aumentare, per fronteggiare il problema occorrerebbe rivisitare la policy inerente alla migrazione, privilegiando il salvataggio in mare invece che il blocco degli arrivi.

L’Europa nella sua globalità, e i singoli Paesi che ne fanno parte, potrebbero aggiornare il tessuto giuridico e amministrativo rendendolo compatibile con le urgenze e le necessità che le nuove sfide postulano.

Alcune misure adottabili proposte da esponenti politici europei e da singoli Stati membri sono note:

  • rivisitazione del Regolamento di “Dublino 2” (18 febbraio 2003) limitativo della possibilità per il richiedente di scegliere il Paese di accoglienza, anche se in merito 24 dei 28 Paesi europei ne hanno in passato respinto qualsiasi modifica;
  • previsione – negli accordi bilaterali ed europei di respingimento – anche di  investimenti nei Paesi di origine per diminuire il numero delle partenze;
  • modifica delle leggi di soccorso in mare per evitare che il soccorritore di un naufrago (anche se migrante o rifugiato) possa incorrere nel reato di favoreggiamento di ingresso illegale (disposto dalla Direttiva 90/2002);
  • abolizione del reato di ingresso clandestino, per escludere situazioni paradossali come l’iscrizione nel registro degli indagati del reato di immigrazione clandestina  (atto dovuto)  nei confronti dei sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre 2013.

Nell’immediato (dal 14 ottobre) il Governo italiano ha disposto l’innalzamento della capacità di controllo in alto mare in modo da velocizzare gli interventi di soccorso per gli equipaggi in difficoltà, mentre l’accoglienza dei migranti dipenderà dal luogo dell’intervento secondo le regole del diritto internazionale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA – ARTICOLO PUBBLICATO IN ORIGINE SU “OSSERVATORIO ANALITICO”, RIPRODOTTO PER GENTILE CONCESSIONE DEL DIRETTORE SCIENTIFICO (WWW.OSSERVATORIOANALITICO.COM)

Un pensiero su “Mediterraneo e migranti. Una tragedia europea? Disposto il rafforzamento del controllo sul mare. Sarà efficace?

  • 22/10/2013 in 11:39:27
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    Cosa significa “rafforzare il controllo”? Significa forse andare a prenderli in acque internazionali, come avviene adesso oppure respingerli prima che entrino in Italia?
    E’ assurdo andare a “salvarli” a 100 miglia dall’Italia !

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