Nelle carceri italiane ci sono 64mila detenuti e solo 38mila con condanna definitiva

Indifferibile la riforma della giustizia nel senso della tutela dei diritti costituzionali, del giusto processo e dell’effettività della pena. Necessari accordi internazionali per far scontare le pene dei non europei nei Paesi di origine

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Roma – I detenuti “ospiti” delle carceri italiane sono 64.323, ma solo 38.712 sono condannati in via definitiva. Questo il dato, aggiornato al 31 ottobre scorso, fornito dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, da cui si desume che 26.151 persone risultano detenute senza essere state ancora condannate in via definitiva. Tra queste persone ci sono anche i colpevoli di gravissimi reati, che allarmano la comunità nazionale e che difficilmente beneficerebbero di un eventuale provvedimento di clemenza.

La capacità del sistema di edilizia carceraria nazionale, escluse “situazioni transitorie”, si fonda su 205 istituti di pena, in grado di ospitare “sulla carta” 47.668 persone, mentre altre 16.655 persone risultano in surplus sulla capacità ricettiva, finendo per sovraffollare le celle e rendendo la vita impossibile e degradante, come più volte rilevato negli ultimi mesi dalla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, che ha condannato l’Italia a severi risarcimenti danni e ha comminato multe salatissime, imponendo al Paese la soluzione del problema entro la fine di maggio 2014.

I reclusi in attesa di giudizio sono 12.145, un dato allucinante se raffrontato alle statistiche che vogliono il 30% di queste persone assolte alla fine del processo di primo grado. Silvio Scaglia, amministratore delegato di Fastweb, è rimasto impigliato nelle maglie della giustizia-ingiusta, rimanendo in carcere per tre mesi e per altri nove agli arresti domiciliari, per poi venire assolto in primo grado. 

Gli stranieri detenuti nelle carceri italiane sono 22.586, un numero che da solo riuscirebbe a riportare la situazione delle carceri a un livello di decente vivibilità. I detenuti in stato di semilibertà ammontano a 860, di cui 90 stranieri. Oltre mille (1.185) sono gli internati.

Da questi dati emerge in modo incontrovertibile l’esigenza di una riforma generale del sistema giudiziario e, forse anche, del codice di procedura penale, che impedisca la carcerazione preventiva finalizzata all’ottenimento della confessione degli indagati, ma anche la tutela dell’interesse pubblico di una pace sociale garantita, cosa che oggi non si può certo rilevare. Spazio dunque a tutti i metodi alternativi possibili, per impedire che gli indagati si trasformino in persone da torturare o in pericolose mine vaganti per i cittadini: cauzioni, strumenti elettronici, vigilanza.

Quel che di certo va perseguito con grande celerità è l’attivazione dei canali diplomatici con i vari Paesi della Comunità internazionale perché i condannati in via definitiva non europei scontino la pena residua nel proprio Paese di origine, con ampia garanzia del rispetto dei diritti umani, ma anche sollevando dal peso insostenibile della presenza nel sistema carcerario nazionale di migliaia di persone.

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