Siria, “piccoli fiori” di solidarietà crescono nel deserto della guerra (in)civile

Monsignor Jeanbart, arcivescovo melchita di Aleppo, e monsignor Mario Zenari, nunzio vaticano a Damasco, descrivono le realtà di carità in questi mesi di conflitto. Ad Aleppo Chiesa e famiglie sostengono migliaia di persone senza casa e lavoro. Un programma di borse di studio consente ai bambini di proseguire la scuola. Nella capitale siriana suore, sacerdoti e laici viaggiano per la città portando a domicilio viveri e beni di prima necessità

La rete di solidarietà cristiana in Siria è un fiore nel deserto di odio della guerra (in)civileDamasco – Nel deserto di odio della tragedia siriana crescono “piccoli fiori” di carità e di solidarietà fra la popolazione colpita da bombe, stretta dai combattimenti e attanagliata dalla fame. È il quadro che emerge dai racconti di due prelati residenti in Siria, monsignor Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco-cattolico di Aleppo, e monsignor Mario Zenari, nunzio vaticano a Damasco. I due vescovi hanno descritto una Siria parallela a quella del disprezzo della vita, della distruzione e della furia trasmessi dai media internazionali. Esiste anche un’altra Siria.

Monsignor Jeanbart ha spiegato che «attraverso il lavoro caritatevole, la Chiesa cattolica cerca di recuperare il senso di amore e fratellanza fra cristiani e musulmani che la guerra ha distrutto. Noi sacerdoti – ha affermato – tentiamo di incoraggiare la popolazione a resistere, ad avere pazienza e speranza per il futuro. Invitiamo la gente a pensare che domani potrà essere un nuovo giorno, ad avere fede anzitutto in Dio». L’arcivescovo melchita ha raccontato che in questi mesi sono nate ad Aleppo numerose realtà per l’aiuto alla popolazione gestite e dall’arcidiocesi e dalle parrocchie locali. «Grazie alle donazioni abbiamo creato un fondo per i giovani padri di famiglia, che a causa della guerra hanno perso il lavoro. Ogni mese doniamo a queste persone il 50% del salario medio di un operaio. In questo modo sosteniamo oltre 400 nuclei familiari». Gesti concreti di cui pochi parlano.

Al momento le comunità più bisognose sono quelle cristiane, che a differenza dei musulmani, ricevono pochi aiuti dal governo. «La Chiesa – ha però precisato – cerca però di sostenere tutti e di recente nei locali dell’arcidiocesi hanno trovato ospitalità 35 famiglie musulmane». Una lezione per chi parla di dialogo interreligioso, ma solo a senso unico.

Il vescovo di Aleppo ha sottolineato che purtroppo molte persone emigrano all’estero con il rischio di non fare più ritorno. Per mantenere un clima di normalità che freni l’esodo dei siriani, l’arcidiocesi di Aleppo ha creato un programma di borse di studio per bambini e adolescenti. «A causa del conflitto i più giovani non hanno la possibilità di studiare e proseguire la loro formazione. Una parte dei fondi che riceviamo dall’estero vengono dirottati su corsi scolastici gratuiti aperti a tutti», ha chiarito Jeanbart.  «A tutt’oggi circa 300 studenti godono di questa iniziativa, ma speriamo di poter aumentare in futuro il loro numero».

Ai programmi mirati si aggiunge la quotidiana distribuzione di viveri alle famiglie di sfollati e l’assistenza sanitaria con l’organizzazione di ambulatori stabili e visite a domicilio. «Ogni giorno – ha spiegato il vescovo ad AsiaNews – oltre 1300 famiglie giungono nei luoghi di raccolta organizzati dal personale della Chiesa in collaborazione con altre realtà e singole persone desiderose di offrire il loro contributo».

In questi mesi Aleppo è stata la città più colpita dal conflitto fra ribelli islamisti ed esercito di Bashar Al-Assad. Nel circondario dominano le milizie dello “Stato islamico dell’Iraq e del levante” (Isis), il più feroce movimento jihadista attivo nel Paese, il cui obiettivo è creare un califfato islamico in cui viga la sharia. Fra agosto e settembre la città è rimasta senza elettricità, telefono e acqua, circostanza che ha causato una catastrofe umanitaria le cui dimensioni sono ancora non proprio delineate.

In ottobre l’esercito governativo ha ripreso il controllo di parte dell’area urbana, tuttavia molti sobborghi sono ancora contesi fra i militari e i miliziani dell’Isis. Le rappresaglie dall’una e dall’altra parte sono all’ordine del giorno e colpiscono anzitutto la popolazione inerme. Nei giorni scorsi un colpo di mortaio si è abbattuto sul palazzo arcivescovile e solo per un caso non ha fatto vittime o feriti.

Anche Damasco è diventata negli ultimi mesi teatro di feroci combattimenti, che hanno esposto la città a continui lanci di bombe di mortaio. Lo scorso 11 novembre un ordigno ha colpito uno scuolabus della comunità armeno-ortodossa. La bomba ha ucciso quattro scolari e l’autista, ferendo altre decine di persone. Nelle stesse ore un altro ordigno si è abbattuto sulla scuola S. Giovanni Damasceno della comunità greco-ortodossa, facendo 11 feriti.

Monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, ha sottolineato che i colpi di mortaio contro la Nunziatura del 5 novembre scorso non hanno fermato l’attività della Chiesa nell’incoraggiare e dare speranza alla gente. «Nella capitale – ha raccontato Zenari – vi sono molti esempi di istituzioni cattoliche che aiutano le famiglie porta a porta». Attività che impegnano la quasi totalità delle suore e dei religiosi residenti in città, ma anche laici come gli appartenenti al movimento dei Focolari.  «Purtroppo – ha affermato con amarezza, ma senza rassegnazione monsignor Zenari – queste storie sono spesso coperte dal fragore delle bombe, ma nella tragedia della guerra continuano a sbocciare in modo quasi miracoloso dei ‘fiori del deserto’. Essi però vanno sostenuti. Senza l’aiuto di tutti, in particolare dei cristiani occidentali, rischiano di scomparire».

Le testimonianze dei due prelati cristiani servono per far comprendere come dietro l’afflusso di profughi dalla Siria – sia via terra verso la Turchia che per altre vie impervie conducenti in Europa dalla Libia – vi sia la tragedia di un popolo e, soprattutto, di quella parte di siriani considerati stranieri in patria: i cristiani. Perseguitati per la fede e verso cui noi tutti dovremmo spingere i governi occidentali ad agire per attivare una rete di protezione umanitaria in grado di filtrare i pericoli, ma anche di fornire vitale assistenza.

(Credits: AsiaNews)