“Corleone non dimentica”. Riina minaccia ancora il PM Antonino Di Matteo

Il boss intercettato in carcere in un dialogo con un esponente della Sacra Corona Unita. Il magistrato della trattativa Stato-mafia potrebbe essere trasferito? “Tanto sempre al processo deve andare…”. Ingiurie contro Messineo e invettive al boss pentito Brusca che deporrà martedì a Milano. Mafia, l’allarme di Alfano: “Non escludiamo la ripresa delle stragi”. Servono misure straordinarie in Sicilia: militarizzare il territorio

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Nuove minacce del boss mafioso Toto Riina al Pm di Palermo, Antonino Di Matteo. Il pluriergastolano di Corleone ha pronunciato nuove invettive e minacce nei confronti del magistrato palermitano nel carcere di Opera a Milano, dove è detenuto, durante una conversazione con un boss della Sacra Corona Unita, intercettata il 14 novembre scorso, all’indomani della notizia delle prime minacce a Di Matteo. Lo sostiene l’Adnkronos.

«Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica»’, avrebbe detto Riina. E quando il boss della Sacra Corona Unita gli avrebbe fatto notare la possibilità di un trasferimento del magistrato del processo sulla trattativa in una località segreta, Riina gli avrebbe risposto: «Tanto sempre al processo deve andare…».

Non solo minacce a Di Matteo. Riina dal carcere avrebbe inveito anche contro il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo. Il criminale corleonese, vedendo in televisione un’intervista rilasciata dal capo del pool antimafia di Palermo durante una pausa del processo per la trattativa “Stato/mafia”, ha iniziato a inveire contro il magistrato con parolacce e ingiurie.

Dalle intercettazioni registrate dagli inquirenti sarebbero emerse poi offese del boss corleonese anche contro il pentito di mafia Giovanni Brusca, ex alleato fino agli anni ’90. Le conversazioni del boss con un uomo d’onore della SCU saranno depositate agli atti del processo sulla trattativa tra Stato e mafia già nei prossimi giorni.

Sarebbero dunque queste le circostanze particolari che avrebbero fatto maturare la decisione di tenere a Palermo due giorni fa il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza, a seguito del quale è stato confermato il rafforzamento della scorta al dottor Di Matteo, anche con l’uso di speciali contromisure elettroniche – come il bomb jammmer – per annientare eventuali minacce radiocomandate.

Se le indiscrezioni saranno confermate dal deposito delle intercettazioni ambientali effettuate nel carcere di Opera, il Governo italiano dovrebbe avere il coraggio di confrontarsi con le istituzioni comunitarie e del Consiglio d’Europa, perché per criminali della risma di Riina non possono essere prese misure ordinarie di carcerazione, ma va tolta l’acqua dove nuotano questi piranha sociali.

E anche la stampa deve fare terra bruciata attorno a codesti criminali, che hanno ammorbato la Sicilia di diaboliche nefandezze, con il contributo di chi tace per il quieto vivere. Per esempio, intervistare i figli di Riina – come avvenuto qualche giorno fa nel corso di una trasmissione giornalistica su Rete 4 – significa dare voce a chi non ha marcato in alcun modo la cesura tra la propria vita e quella di cotanti efferati parenti (padri, fratelli, zii). Abiurare la propria famiglia non si può chiedere ad alcuno, ma un generoso isolamento dovrebbe essere la giusta moneta civile.

Più in generale, la Sicilia necessiterebbe di misure straordinarie, per resettare un sistema politico infiltrato dalla criminalità organizzata nei gangli fondamentali. Misure straordinarie che dovrebbero comprendere anche la militarizzazione del territorio, utilizzando con pieni poteri il meglio dei reparti disponibili.

In fondo, noi i talebani li abbiamo tutti in casa, dalla Sicilia al Veneto le infiltrazioni criminali sono ormai più che semplici ipotesi di studio: sono dati oggettivi.

Credit: Adnkronos

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