Mediterraneo e Medio Oriente. (3) Gli interessi del Brasile, brevi note

Dopo aver esaminato gli interessi della Cina e quelli della Russia, alcune brevi note sulla presenza brasiliana nel Mediterraneo e nel Medio Oriente

Cúpula de América do Sul e Países Arabes (ASPA) 2013

Brasile e Africa sembrano molto lontani geograficamente (un oceano li separa), ma sono molto più vicini di quanto si pensi, considerando che dal 2003, se non prima, il Brasile ha sempre dimostrato un forte interesse verso i Paesi Arabi. E’ un territorio in rapida ascesa economica, quinto paese più popoloso del mondo ma con una bassa densità di popolazione che è concentrata soprattutto sulle coste mentre all’interno la densità demografica è rarefatta. Lo chiamano ‘emergente’ ma a nostro avviso è ‘emerso’ già da tempo.

E’ stato il Presidente Lula a dare un forte impulso a relazioni bilaterali economiche (peraltro già da tempo presenti) e soprattutto politiche. E a lui si deve l’ideazione e la creazione, agli inizi del 2003, di un consesso chiamato  Cúpula de América do Sul e Países Arabes (ASPA), che si riunì per la prima volta due anni dopo.

Questa decisione di Lula fu oggetto di pesanti critiche per paura del terrorismo e dell’integralismo islamico e in Brasile molte parti politiche criticarono senza mezzi termini il passo politico del Presidente, chiedendo come fosse possibile instaurare un dialogo positivo con il mondo arabo dopo l’attacco al mondo occidentale del settembre 2001 e gli avvenimenti di quel periodo in Iraq, successivi alla caduta di Saddam Hussein. Senza comprendere che forse proprio l’idea di unire in un consesso internazionale il Brasile  e alcuni di quei Paesi avrebbe potuto essere la base di miglioramento della situazione generale, atteso che le relazioni economiche ben sviluppate, invece di scatenare guerre, riescono a portare ad un equilibrio per il quale le parti contraenti possono essere molto interessate.

La Cúpula ha organizzato altri due Summit, nel 2009 a Doha e recentemente nel 2012 a Lima, a dimostrazione che l’idea del politico brasiliano aveva una concreta valenza strategica nelle relazioni fra una parte e l’altra dell’oceano.

Fu proprio Lula, il primo Presidente eletto democraticamente dopo lungo tempo, a visitare cinque Paesi Arabi nel 2003: Libano e Siria (che avevano una forte rappresentanza d’immigrati in Brasile); Egitto per la sua posizione di leader, a quel tempo, dell’Africa mediterranea; Libia per i rapporti economici che aveva stretto (come molti altri Stati) con Mohammar Gheddafi: gli Emirati, attore politico emergente di grande valore economico e marcata influenza su alcuni Paesi Arabi.

Per meglio capire la politica di Lula verso il mondo arabo, occorre sapere che in Brasile c’è la più grande comunità di lingua araba al di fuori dei territori d’origine, ben integrata e bene accetta, almeno fino all’ultimo decennio, dalla popolazione locale. Si calcola che vi siano dai 10 ai 12 milioni di brasiliani di origine araba, che raggiunsero il Brasile fin dal secolo XIX, intorno al 1870. Ciò ha indubbiamente facilitato da sempre le relazioni tra il Brasile e gli stati d’origine degli immigrati.

Ricordiamo che nel 2010 il Brasile ha firmato con l’Egitto un Trattato di Libero Commercio e, nel 2011, con la Palestina; nel 2010 ha invece firmato con Giordania e Siria degli Accordi su Scambi Preferenziali; vi sono negoziazioni per simili accordi con il Marocco e con il Consiglio di Cooperazione degli Stati del Golfo (gli Emirati): una attività diplomatico-commerciale a tutto campo. Una politica diplomatica a largo respiro anche per far ottenere al Brasile un posto di primo livello nella politica economica internazionale alle Nazioni Unite (di cui è membro fondatore), come accreditato mediatore di pace e comunque con un ruolo influente in Medio Oriente; possibilmente anche come membro permanente del Consiglio di Sicurezza, situazione alla quale il Brasile tiene molto.

Non sono quindi difficili da capire i motivi per i quali anche il Brasile di Dilma Roussef  (che ha assunto la carica di Presidente nel 2010) ha mantenuto forti relazioni con i Paesi Arabi, inclusi gli Emirati del Golfo; rapporti in fase di notevole rafforzamento, anche se con qualche diversa sfumatura di impegno verso Israele e Siria, negli ultimi tempi.

E’, infatti, interessante notare che fin da prima della presidenza Lula, il Brasile ha stretto forti legami con Israele, anche se tali relazioni non sono sempre state molto facili: il Brasile ha dovuto ‘fronteggiare’ diplomaticamente l’invasione del Libano nel 2006, l’attacco a Gaza nel 2009, l’incidente della Mavi Marmara (l’attacco alla nave della Freedom Flottilla quando un commando israeliano attaccando la nave, causò ben nove morti fra i dimostranti pacifisti che volevano portare aiuti ai palestinesi di Gaza), e soprattutto la recente decisione di Tel Aviv di costruire altre 3.000 insediamenti di coloni in una zona controversa come risposta  forte alla decisione delle Nazioni Unite di garantire lo status di osservatore ai Palestinesi.

Tanto più difficile la posizione brasiliana in quanto ha un accordo molto particolare con Israele perché riguarda armamenti e difesa. Nel 2003 le Forze Armate brasiliane aprirono financo un ufficio a Tel Aviv e nel 2010 il ministro degli esteri brasiliano fece una visita ufficiale in Israele incontrandosi con tutte le autorità locali (Presidente, Primo Ministro, etc…) per discutere sull’andamento delle relazioni economiche e il loro rafforzamento. A loro volta le industrie israeliane di produzioni belliche hanno fatto cospicui investimenti nelle industrie brasiliane, creando una rete di interessi notevoli nel settore. In quest’occasione la diplomazia di Brasilia ha cercato anche di mediare per la pace tra Israele e le Autorità Palestinesi alle quali fece  successivamente visita, lasciato il territorio israeliano.

Israele è stato anche il primo Stato a firmare un trattato di Libero Scambio con il Brasile e nel 2005 fu raggiunto anche un accordo sulla cooperazione scientifica, che però fu sospeso quando Israele invase il Libano nel 2006. Alla fine della guerra le negoziazioni furono riprese e l’accordo sul libero scambio fu rinnovato nel 2007. Oltre ad armamenti il Brasile acquista in Israele materiali chimici e fertilizzanti.

Il Brasile mantiene anche relazioni più che amichevoli con l’Iran, opponendosi alle sanzioni contro Teheran o a un attacco militare contro le postazioni nucleari iraniane; allo stesso tempo cerca di convincere le autorità iraniane a collaborare  in modo fattivo e concreto con l’AIEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica. Da quando però la Roussef ha iniziato il suo mandato, la posizione brasiliana su questo particolare aspetto si è fatta più sfumata.

A ben guardare la mappa del globo, è facile comprendere che il territorio brasiliano è separato dai paesi arabi dall’Oceano atlantico meridionale e che solcare gli oceani per importare o esportar merci al giorno d’oggi non è più così difficile. Se n’è accorto anche il Marocco che tenta un’espansione veloce verso l’Atlantico con il coinvolgimento del Brasile, in un elaborato nuovo concetto di geopolitica, come ben ha sottolineato Ian Lesser, acuto e noto analista americano nel suo ‘Morocco’s New geopolitics. A wider Atlantic Perspective’ (2012, consultabile in rete). Fin dal 2011, i due paesi hanno stabilito nel settore della pesca atlantica, molto importante per Rabat, una collaborazione stretta per scambio di informazioni e tecniche relative alla pesca d’altura. E’ stata anche rilevata la necessaria collaborazione sulle ricerche riguardanti la sicurezza del cibo, la pianificazione di un’agricoltura a conduzione familiare, soprattutto in regioni a clima secco. Da non dimenticare che da tempo il Marocco ha adottato una politica di sedentarizzazione delle popolazioni nomadi migranti, con i problemi di ambientazione e sopravvivenza che questa ‘forzatura’ dei costumi e tradizioni rappresenta: una sfida difficile da vincere e comunque l’integrazione non si raggiunge certo in un decennio.

L’anno 2012 è stato un anno di crisi dell’economia brasiliana per le sue esportazioni all’estero che sono crollate anche nei confronti degli Stati Arabi magrebini; crollo dovuto non solo alle minori richieste di materie prime (zucchero, carni, grano, mais)  e macchine industriali (di cui gli Stati Arabi magrebini sono grandi importatori), ma anche alla caduta del prezzo dei minerali di  ferro sul mercato internazionale. L’effetto degli sconvolgimenti della cosiddetta ’primavera araba’ si è fatto  sentire, anche se l’Egitto, una volta deposto il Presidente Mobarak, ha potuto riprendere le importazioni, aiutato finanziariamente, come noto, soprattutto dagli Stati Uniti.

C’è da considerare inoltre che prima dei moti rivoluzionari che hanno contraddistinto il 2011 e il 2012 le classe media araba si stava espandendo notevolmente con un aumento dei consumi: passato il periodo più critico i consumi stanno riprendendo e se in uno stato vi è una caduta di acquisto di determinate merci, in un altro c’è una ripresa notevole di consumo di quelle stesse merci, stabilendo così comunque un buon giro d’affari nell’export brasiliano nei confronti dei Paesi Arabi che rimane però sempre una relativamente piccola porzione del suo export internazionale diretto soprattutto  verso gli Stati Uniti e, recentemente, verso la Cina.

La ‘primavera araba’ sembra aver colto alla sprovvista anche il Brasile, oltre al resto del mondo (se è poi vero che nessuno stato avesse conoscenza di quel che stava per accadere, ed è lecito avere dei dubbi al riguardo se non certezze). Tuttora il conflitto in Siria pone il Ministero degli Esteri brasiliano (conosciuto comunemente anche come Itamarady dal nome del palazzo che lo ospita), in bilico tra il rispetto dei diritti umani e il principio della sovranità nazionale, considerando i vincoli di amicizia che legano i due Paesi.

Sembra che la Presidente Roussef stia dando maggior spazio al principio della difesa dei diritti umani anche nei confronti dell’Iran ma osservatori  sostengono che si tratta più di dichiarazioni di forma che di comportamenti di sostanza, in quanto il Brasile rimane fedele principalmente ai suoi principi di sovranità nazionale e non intervento in questioni interne, cercando sempre però di porsi come mediatore per risolvere controversie globali: nell’agosto del 2011 il Brasile insieme all’India e al Sud Africa aveva inviato una missione ‘di pace’ in Siria ottenendo solo una dichiarazione che condannava la violenza da ambo le parti, ma allo stesso tempo queste tre Stati si astenevano dal votare una risoluzione contro il Presidente  al-Asad, messa in votazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (risoluzione alla quale posero il veto Cina e Russia); posizione che il Brasile prese anche nel Consiglio per i Diritti Umani, quando si trattò di votare sanzioni contro il presidente siriano.

Un anno fa il Brasile fu disponibile a far parte di una missione di pace in Siria  però dichiarò che avrebbe riconosciuto la National Coalition for Opposition Forces and the Syrian Revolution solo dopo il riconoscimento ufficiale da parte delle Nazioni Unite.

E’ chiara comunque la propensione del Brasile a espandersi nell’area dell’Africa Mediterranea e a sud del Sahara; una tendenza che nemmeno gli sconvolgimenti politici nell’area ha mutato e che, dopo alcune temporanee battute d’arresto per motivi contingenti, ha ripreso con più vigore, volendo partecipare agli affari imponenti della ricostruzione, come altri Stati: la guerra, anche quella civile è un volano economico di primaria valenza… purtroppo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA – ARTICOLO PUBBLICATO IN ORIGINE SU “OSSERVATORIO ANALITICO, RIPRODOTTO PER GENTILE CONCESSIONE DEL DIRETTORE SCIENTIFICO (WWW.OSSERVATORIOANALITICO.COM)

Maria Gabriella Pasqualini

Maria Gabriella Pasqualini si è laureata cum laude alla Sapienza in Scienze Politiche, Già distaccata presso il servizio diplomatico, poi docente universitario, è autore di numerosi volumi di storia militare e di saggi storici. Esperta di Medio e Vicino Oriente, collabora con numerose riviste scientifiche. A THE HORSEMOON POST è Vicedirettore e Responsabile Esteri e Difesa.