Napolitano fa gli auguri alle alte autorità, ma non tiene conto della sentenza della Consulta

La tradizionale cerimonia di auguri natalizi si trasforma in un’occasione per dare al Paese la conferma che la classe politica, dal Colle più alto al campanile più remoto, ha perso il senso della realtà

20130801-napolitano-giorgio-780x460

In occasione della tradizionale cerimonia di scambio degli auguri di Natale con le alte cariche dello Stato, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha tenuto l’altrettanto consueto discorso a suocera, perché nuora intenda.

L’Adnkronos ha lanciato la notizia dell’intervento presidenziale con queste parole: «L’Europa ci guarda ed è diffusa, credo, tra gli italiani la domanda di risposte ai loro scottanti problemi piuttosto che l’aspettativa di nuove elezioni anticipate dall’esito più che dubbio». La stabilità non è «un valore se non si traduce in un’azione di governo adeguata». Poi ha parlato di riforme, si è appellato a Forza Italia perché non abbandoni le riforme, ha salutato l’emergere di nuovi e più giovani leader politici, ha bacchettato non senza qualche ragione di fondo Silvio Berlusconi, peraltro assente: circostanza che – per usare un eufemismo – fa passare il tuttavia il capo dello Stato in zona ineleganza (non parliamo di eleganza personale, ma istituzionale).

Con tutta schiettezza, pensiamo che Giorgio Napolitano abbia tralasciato un piccolo insignificante particolare: gli effetti della sentenza della Consulta, che ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale con cui questo Parlamento è stato eletto.

Quindi, negare che le elezioni debbano essere vicine – ancorché anticipate – è un esercizio pericoloso, al limite della rottura costituzionale. L’unico atto che renderebbe ancora legittimo il Parlamento e non metterebbe in pericolo la vita istituzionale, sarebbe una nuova legge elettorale, dopo di che il presidente della Repubblica avrebbe il dovere politico, giuridico e istituzionale di sciogliere le camere e di indire nuove elezioni anticipate.

Ogni altro passo (riforme economiche e sociali, di cui pur il Paese necessita, ma si possono fare anche nell’ordinaria amministrazione; riforme costituzionali, su cui abbiamo elevato fondate e diffuse perplessità) cozzerebbe con la sentenza della Corte Costituzionale e aprirebbe un periodo di conflitto tra la presidenza della Repubblica, il Parlamento e la Consulta.

Il principio della tutela degli effetti giuridici prodotti e la salvezza delle istituzioni non possono fare tacere un pericolo immanente: una guerra tra poteri le cui vittime principali sono i cittadini e le imprese italiane, piegati da una crisi che non si può combattere senza affermare con forza che l’attuale sistema politico è troppo oneroso e poco produttivo per il Paese: lo mostrano, in modo inequivocabile, la condizioni vergognose in cui l’Italia sta vivendo.

Una crisi che è effetto della disattenzione dei cittadini nello scegliere la propria classe politica? È possibile, ma il movimento “9 Dicembre” e il senso di responsabilità con cui tutte le componenti stanno procedendo nella protesta mostrano con chiarezza un dato: la pazienza è finita. Lo capiscano tutti, dal colle più alto al campanile più remoto del Paese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA