Olbia, la città dei 7 fiumi che tutti dimenticano (persino nel PAI)

Nel Piano di Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI) sono solo due le criticità evidenziate, ma le aree colpite dall’alluvione sono molte di più

Olbia – Dionigi Panedda (storico olbiese, 1916-1989), nel suo testo “Olbia e il suo volto” (1989, Delfino Editore), descrive Olbia come una “città adagiata su sette canali”, ma – come specifica lo storico in una nota a piè pagina – gli altri canali, resi affluenti o coperti, non sono stati messi nel conteggio. I canali olbiesi, dunque, erano conoscenza comune e data praticamente per scontata. Certo, erano gli anni ’80 e le leggi, la considerazione per la natura, la stessa conoscenza dei ritmi biologici erano assai meno approfondite di oggi. Ma se pensate che, con gli anni, le cose siano cambiate vi sbagliate di grosso.

La dimostrazione di quanto detto sta nel PAI, il Piano di stralcio per l’Assetto Idrogeologico approvato dalla Regione Sardegna nel 2006, aggiornato di continuo e pubblicato on line sul sito Sardegna Geoportale nel 2012. Il PAI presente su internet è aggiornato al 2010, ma per quel che riguarda Olbia non cambia assolutamente niente: fino al 18 Novembre 2013, giorno dell’alluvione, Olbia non ha mai chiesto nessun aggiornamento per il suo territorio.

Analizzando il PAI di Olbia si notano immediatamente due cose: le zone a rischio sono soltanto due (Rio Siligheddu, Rio San Nicola/Rio Zozzò) e le criticità riguardano solo i tratti terminali dei canali evidenziati. Eppure Olbia, come diceva Panedda, è adagiata su più di 7 canali: possibile che nessuno si sia reso conto dell’esistenza del reticolo idrografico olbiese?

A questa domanda è difficile rispondere. Le leggi, in Italia, cambiano da un mese all’altro e, spesso, quando si parla di “rischio” si tende ad essere troppo permissivi, almeno sinché non ci scappa qualche morto. L’aspetto assurdo è che, dopo i morti e la devastazione, la nuova mappa del rischio idrogeologico debba essere ricostruita attraverso le “testimonianze” degli olbiesi alluvionati. Se questo non è il fallimento della politica, poco ci manca.

Gli anziani olbiesi hanno sempre saputo della pericolosità dei canali. Senza andare troppo in là negli anni, a fine anni ’70, Zona Baratta (una delle più colpite nel 2013) è stata inondata dall’acqua. E se si va indietro nel tempo, si scopre che – in modo più o meno ciclico – ogni 30/40 Olbia è soggetta a qualche alluvione più o meno rovinosa. Decenni fa, il territorio non era cementificato così tanto, quindi gli effetti sulla popolazione erano minimi: oggi i frutti di una politica edilizia, diciamo così, allegra e permissiva (vedi le palazzine abusive sul fiume condonate) sono sotto gli occhi di tutti.

Tuttavia l’aspetto davvero tragico è, però, un altro. Se è vero che il Pai evidenzia due zone a rischio, è altrettanto vero – stando alle testimonianze degli olbiesi – che solo una zona è stata monitorata e chiusa al traffico. Tutta la zona di via Galvani (Rio San Nicola, Rio Zozzò) è stata chiusa al traffico e monitorata con attenzione, la zona del Rio Siligheddu no: è rimasta aperta al traffico sino all’esondazione. Ed è stato proprio il Rio Siligheddu a fare i danni maggiori.

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