I XXII Giochi Olimpici Invernali a Sochi e rischio attentati

Forze sicurezza russe in Daghestan uccidono sette miliziani coinvolti in attentati in Caucaso. Nella Federazione Russa una guerra latente turba i giochi di Sochi. Il 17 gennaio forze di sicurezza russe hanno eliminato in Daghestan sette miliziani, tra i quali anche un presunto ‘shahid‘ (o kamikaze), coinvolti con buona probabilità in una serie di attentati/attacchio che sta insanguinando il Caucaso. In Daghestan, Stato della Federazione Russa, è in atto una guerra latente ravvivata…negativamente dai prossimi giochi olimpici invernali di Sochi, che diventano una vetrina internazionale di rara efficacia. Tutta la zona caucasica è in un situazione potenzialmente destabilizzata

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A Stavropol l’8 gennaio 2014 sei cadaveri crivellati di colpi sono stati trovati in altrettante auto. Mentre la Polizia controllava il primo veicolo, un ordigno artigianale è esploso a 20 metri di distanza senza provocare danni. Un’altra bomba è stata disinnescata dai poliziotti nelle immediate vicinanze. Il luogo, la fattura degli ordigni e i precedenti eventi accaduti nell’area orientano gli inquirenti a ipotizzare che l’azione sia attribuibile a gruppi terroristici di matrice islamica del Caucaso settentrionale.

Il luogo: Stavropol confina con la Regione di Krasnodar dove si trova la stazione turistica di Sochi che ospiterà le Olimpiadi invernali il 7 febbraio 2014.

La fattura degli esplosivi: il manufatto è tipico di quelli utilizzati dal leader islamista Doku Umarov e dai suoi militanti provenienti dalla Repubblica russa nel Caucaso del Daghestan i quali hanno minacciato una campagna di attentati in occasione delle Olimpiadi invernali.

I precedenti eventi nell’area: il 29 dicembre un attentatore suicida ha innescato una bomba portata dentro la stazione centrale di Volgograd uccidendo diciassette persone e ferendone quaranta; il giorno dopo, nella stessa città, una donna si è fatta esplodere su un autobus provocando la morte di dieci persone  e  il ferimento di ventotto.

20140120-220px-DagestanQuesti ultimi attacchi terroristici hanno richiamato la strage del 21 ottobre 2013 quando, sempre a Volgograd, una donna si è fatta esplodere su un autobus provocando sei morti e venti feriti. La donna è stata identificata in Naida Asijalova, proveniente dal Daghestan, dove aveva aderito alla guerriglia clandestina insieme al suo compagno Dimitrij Sokolov, un russo convertito all’islam radicale. Sokolov sarebbe stato in seguito ucciso dalla Polizia insieme a cinque suoi compagni in una casa nel villaggio di Semender, alla periferia di Machackala, capitale del Daghestan. Secondo dati raccolti nella Direzione Generale del Ministero per la Circoscrizione federale Nord Caucasica, dal 2003 a fine dicembre 2013 oltre 3.500 combattenti sono stati uccisi e circa 8 mila sono stati tratti in arresto nel Caucaso settentrionale. E il Daghestan  costituisce  l’epicentro di questa Regione.

In seguito all’attentato di Asijalova, è stato spiccato un mandato di cattura federale anche nei confronti di due altri daghestani – Rusia Kazanbiev e Kurban Omarov, entrambi venticinquenni – ritenuti gli organizzatori di ben16 omicidi e attentati in Daghestan. I due farebbero parte del gruppo di Machackala guidato da Arsanali Kambulsatov e composto da circa 100 militanti.

Il Daghestan vive una guerra civile latente che registra lo scontro fra tre attori principali: l’islam sufico-confraternale, moderato e filo-russo; l’islam wahabita-salafita, fondamentalista e ferocemente anti-russo; le Autorità civili e militari, rappresentanti di Mosca.

In merito alla presenza di due diverse posizioni dell’islam, in Daghestan operano 332 scuole islamiche ma sono registrati solo 49 istituti religiosi non statali, 39 dei quali non hanno licenza di svolgere attività di insegnamento. Gli istituti religiosi in realtà vivono in condizione di parziale o totale clandestinità.

L’esponenziale incremento dell’islam radicale è dovuto a fattori strutturali irrisolti.

Il Daghestan è il più popoloso Paese del Caucaso settentrionale con 2,5 milioni di abitanti su un totale dei 6 milioni, con 33 gruppi etnici e altrettanti idiomi fra loro incomprensibili con il solo russo come lingua veicolare.

Afflitto da un alto tasso di disoccupazione, diffusa corruzione, frequenti abusi da parte delle Forze dell’ordine e privo di un solido sistema legale, il Paese ha modeste riserve energetiche e registra una povertà molto diffusa, tutti fattori che favoriscono il radicamento di un wahabismo salafita radicale vicino al jihadismo orientato verso un monoteismo assoluto per il ritorno all’islam delle origini e creare un Califfato.

Al contrario i sufi, diffusi in tutto il Daghestan, nel Caucaso settentrionale e tra le forze dell’ordine, sono tradizionalisti e, come gli sciiti, sono i primi avversari dei wahabiti.

Nel Paese sono molto diffuse formazioni paramilitari illegali, spesso legate al radicalismo islamico. Scontri a fuoco fra le milizie islamiche con omicidi di esponenti religiosi e gli attentati contro le Forze di Polizia sono all’ordine del giorno. Negli ultimi due anni si contano oltre cinquecento morti causati da attentati delle milizie armate wahabite  contro le Forze di sicurezza legate alla Russia. L’attuale ondata di islamizzazione wahabita fa seguito a quella degli anni ’90 avvenuta come reazione all’ideologia sovietica dopo il crollo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Questo è il motivo principale che alimenta la campagna di terrorismo anche contro civili per delegittimare la Russia traendo vantaggio dall’ampia eco mediatica che potrebbero suscitare in occasione dei prossimi Giochi Olimpici.

Come misure contro la violenza, Mosca ha spostato dalla Cecenia e da altre Regioni del Caucaso settentrionale al Daghestan oltre trentamila soldati. In mancanza però di riforme strutturali adeguate a risolvere la situazione economica del Paese, resta alto il rischio che il Daghestan diventi sempre più un terreno fertile per istanze separatiste e il fondamentalismo islamico di matrice wahabita-salafita.

Come la Cecenia prima delle due guerre: novembre 1990 – 1996, terminata con gli accordi di pace e un bilancio di morti pari a centotrentamila ceceni (10% della popolazione) e settantamila soldati russi; settembre 1999 – aprile 2000, conclusa con la devastazione della Cecenia. Senza che la lotta armata sia mai cessata.

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