Sabato del Villaggio. Renzi, Berlusconi e Grillo: torti e ragioni, speranze e illusioni

Renzi e Berlusconi hanno ragione pure avendo torno e Grillo ha torto pur avendo ragione. L’accordo tra PD e FI è il succedaneo italiano per affrontare lo “stato di eccezione”, non previsto dalla Costituzione del 1948. In Francia è regolato dall’Articolo 16 della Costituzione. Grillo dovrebbe premere per il cambiamento, ma con realismo costruttivo, non con idealismo destrutturato e distruttivo, perché si negozia con gli avversari (eletti dagli italiani, particolare non trascurabile…)

Laura Boldrini, Giorgio Napolitano e Pietro Grasso, le tre più alte cariche dello Stato, in una foto che raffigura il Paese

Chi dichiara che la Costituzione italiana del 1948 sia la più bella del mondo mente sapendo di mentire o ha ancora la mente annebbiata di ideologia. La nostra Carta fondamentale in effetti fu “la più bella del mondo” solo quando fu redatta e approvata grazie a un compromesso che salvò il Paese dalla guerra civile. E tuttavia le parti in campo si preparavano a quel tempo da una parte a prendere il potere anche con mezzi non ortodossi, prendendo ordini da Oriente; dall’altra a difendere la democrazia riconquistata (o, sarebbe meglio dire, conquistata grazie alla tutela esterna anglo-americana), con mezzi altrettanto non ortodossi.

Lo spettro della dittatura fascista impedì che si regolasse in Costituzione lo “stato di eccezione”, ossia quella situazione di grave crisi politica, istituzionale, economica, sociale o militare che può portare nel baratro un Paese.

Si preferì un assemblearismo di fatto, una continuazione del corporativismo fascista mitigato dalla proliferazione dei soggetti politici. Una democrazia bloccata, resa inefficace dall’assenza di una nuova logica nel rapporto di lealtà costituzionale con lo Stato: si promosse la lealtà/fedeltà verso i partiti politici, corroborata dal clientelismo interessato e militante (e anche militare occulto, da entrambe le parti), che fece fiorire la partitocrazia, la malattia degenerativa della democrazia italiana. Una caratteristica esclusiva del Bel Paese in Occidente, madre di tutte le battaglie di assalto alla diligenza pubblica, alla pubblica tetta cui rifocillarsi.

In Francia, invece, all’assemblearismo post-bellico che stava per assassinare la IV Repubblica si poté porre rimedio ricorrendo al “salvatore etico della patria”, il generale de Gaulle, che riprese in mano le redini del Paese in preda agli spasmi algerini e lo rimise sulla carreggiata di una V Repubblica più funzionante e, soprattutto, immunizzata grazie a un vaccino che regolasse lo “stato di eccezione”. Questo vaccino costituzionale è codificato nella Carta fondamentale transalpina all’articolo 16 (segue in documenti, ndr), che regola appunto la gestione di una crisi straordinaria e strutturale dello Stato e la pone nelle mani (e nella gestione equilibrata) del presidente della Repubblica, con alcuni assetti di garanzia.

In Francia, la soluzione di una impasse è attribuita all’iniziativa presidenziale, per dipanare la matassa di una crisi aggrovigliata, quale che sia, in un recinto di regole e di pesi e contrappesi che impedisce la presa proditoria del potere e l’instaurazione di un regime dittatoriale. In Italia questo non è previsto, ma lasciato alla fantasia del Potere. Punto.

Da oltre 30 anni in Italia è aperto un dibattito onanistico sulle riforme istituzionali. Non è servito il “crollo del muro di Berlino” – un fatto ininfluente sotto il profilo urbanistico, non sotto quello geopolitico – per fare arrossire di vergogna un ceto politico abbarbicato alle poltrone, ai privilegi, alle prebende e ai rivoli di spesa pubblica a favore di Tizio, Caio e Mevio, legati da transeunte fedeltà misurata un tanto al chilo (di banconote ricevute per favori elettorali). Un pozzo di San Patrizio cui molte migliaia di persone – spesso (ma non sempre) incapaci, immeritevoli e incompetenti – hanno attinto. Oggi si calcola che oltre 1,1 milioni di italiani vivano attorno alla politica, vero motore dell’ascensore sociale tricolore ammorbato spesso (ma non sempre) da intollerabile incompetenza, maleducazione, protervia da far prudere le mani. Una follia nordcoreana.

L’accordo concluso da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi è un colpo di mano che sostituisce una norma costituzionale regolante lo “stato di eccezione”. Per questo motivo Renzi e Berlusconi hanno ragione a promuovere l’iter di riforma dello Stato, nonostante la palese rottura dello spirito costituzionale, perché – solo per fare un esempio – abolire il Senato e trasformarlo in organo di secondo grado è una riforma che cambia l’assetto costituzionale dello Stato italiano, come tagliare una gamba altererebbe la stabilità visibile di una sedia. Occorrerebbe l’indizione di un’Assemblea Costituente, l’unico “falegname” in grado di riprogettare la sedia, se passate la metafora…

Allo stesso tempo, Beppe Grillo sbaglia a non voler partecipare al processo di rinnovamento delle istituzioni, preferendo la sostituzione integrale: impossibile con metodi pacifici. E tuttavia l’ex comico genovese ha ragione a sostenere che tutto stia avvenendo (che avverrà realmente è tutto da vedere…) al di fuori delle regole e con atti che potrebbero essere qualificati come “colpetto di Stato”.

Nella storia delle istituzioni politiche, ogni situazione straordinaria è stata risolta “al di fuori delle regole scritte” fino a quel dato momento, perché il nuovo ordinamento ratifica il mutamento.

L’esigenza ineludibile e improcrastinabile di rinnovare lo Stato italiano – nelle istituzioni politiche, nell’organizzazione burocratica e nelle regole economiche – non può che passare da un reset costituzionale, che però sarebbe inefficace senza un’evoluzione culturale che modernizzi il Paese.

Se Grillo continua l’apartheid verso gli altri soggetti politici (votati da italiani, non è un particolare di secondo piano), la conseguenza sarà quella degli accordi conseguiti tirando per i piedi le regole vigenti. Del resto, non si negozia certo con gli amici, ma con gli avversari.

E se Grillo intende davvero essere elemento di rinnovamento duraturo e stabile, spinga Renzi e Berlusconi (e tutti gli altri) verso l’Assemblea Costituente, per dare all’Italia non una nuova Costituzione “bellissima”, ma ma una che faccia funzionare il Paese.

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Costituzione francese del 4 Ottobre 1958 – Articolo 16 (Stato di eccezione)

Quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione degli impegni internazionali sono minacciati in maniera grave ed immediata e il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto, il Presidente della Repubblica adotta le misure richieste dalle circostanze dopo aver ufficialmente consultato il Primo ministro, i Presidenti delle assemblee ed il Presidente del Consiglio costituzionale.

Egli ne informa la nazione con un messaggio.

Tali misure devono essere ispirate dalla volontà di assicurare ai poteri pubblici costituzionali, nel minor tempo possibile, i mezzi necessari per provvedere ai loro compiti. Il Consiglio costituzionale è consultato al riguardo.

Il Parlamento si riunisce di pieno diritto.

L’Assemblea nazionale non può essere sciolta durante l’esercizio dei poteri eccezionali.

Passati trenta giorni di esercizio dei poteri eccezionali, il Consiglio costituzionale può essere incaricato dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, il Presidente del Senato, sessanta deputati o sessanta senatori, di verificare se le condizioni di cui al primo comma sussistano. Il Consiglio si pronuncia nel più breve tempo possibile tramite un parere pubblico.  Procede di pieno diritto a tale esame e si pronuncia alle stesse condizioni allo scadere dei sessanta giorni di esercizio dei poteri eccezionali e in ogni altro momento oltre tale durata.

La presente traduzione in lingua italiana è stata eseguita sotto la responsabilità congiunta della Direzione della comunicazione e dell’informazione del Ministero degli Esteri, del Consolato Generale di Francia a Milano e del Servizio degli Affari Europei dell’Assemblea nazionale. Il testo integrale è disponibile sul sito dell’Assemblea Nazionale francese, in francese e in italiano.