La Fiat non lascia l’Italia: va alla conquista del mondo con un cuore italiano

L’attesa svolta impressa dalla gestione Elkann/Marchionne serva da scossa. Serve una nuova missione globale per un Paese che è amato in tutto il mondo, simbolo di pregio in molti settori, depositario del 75 per cento della cultura mondiale. Ma è indispensabile superare l’infima qualità della politica, la vorace e autocratica burocrazia, liberare le forze, attraverso un piano che aiuti i piccoli imprenditori a mettersi insieme e a superare la dimensione microscopica inadatta al XXI Secolo. In fondo, se restiamo a galla con tutti i problemi che abbiamo, se…

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«La nascita di Fiat Chrysler Automobiles segna l’inizio di un nuovo capitolo della nostra storia». Lo ha detto il presidente della Fiat, John Elkann, nipote di Giovanni Agnelli. «Una delle giornate piu’ importanti della mia carriera in Fiat e in Chrysler. Possiamo dire di essere riusciti a creare basi solide per un costruttore di auto globale con un bagaglio di esperienze e competenze allo stesso livello della migliore concorrenza», ha aggiunto Sergio Marchionne, Ad di Fiat e presidente/Ad di Chrysler.

In queste due dichiarazioni si possono tracciare l’Alfa e l’Omega di una ripartenza, perché sbaglia chi pensa che la notizia della fine della Fiat come produttore nazionale sia una brutta notizia: è di certo una brutta notizia a chi pensa alle relazioni sindacali con l’occhio allo smartphone del nuovo millennio e la testa al XIX Secolo.

20140129-nasce-fca-fiat-cherysler-automobilesÈ una svolta per chi pensa all’Italia come un tesoro di capacità ancora da mettere a frutto, come uno straordinario esperimento sociale, giovane sotto il profilo unitario, e immerso in una crisi di maturità, ma con un futuro meno nero dell’ignorante presente.

Le parole di Elkann e Marchionne hanno un valore paradigmatico: noi ce la possiamo ancora fare a parlare in Europa con la competenza di chi contribuì a fondarla, ancorché tese prima ad affondarla in un ventennio nero e terribile che portò al tracollo il Paese. Eppure l’Italia seppe risorgere dalla miseria.

Franco Modigliani, premio Nobel per l’economia, scomparso nel 2003, a Gian Antonio Stella disse nel 1998: «Io ho un enorme rispetto per gli italiani come produttori, risparmiatori, consumatori. Enorme. Le capacità imprenditoriali degli italiani sono uniche al mondo. Se avesse un sistema politico, amministrativo, sociale serio l’Italia sarebbe il primo Paese al mondo. Davanti a tutti. Anche agli Stati Uniti» (Gian Antonio Stella, Modigliani: italiani, non fate i furbi, Corriere della Sera, 20 aprile 1998, pagina 19).

Oggi, come allora, l’Italia è in preda all’ennesima convulsione, forse l’ultima prima del baratro della dissoluzione come Paese unitario. Perché deve essere chiaro a tutti, l’Italia è alle porte della frantumazione e, anzi, in qualche modo si è già frantumata: chi esporta, resiste alla crisi malgrado un fisco da rapina; chi non si è aperto al mondo, arranca e boccheggia. L’apparato politico-burocratico – con atteggiamenti autocratici – va avanti contro il Paese-reale, vive su altre frequenze e ha depauperato il ceto medio e le micro, piccole e medie imprese con balzelli da estorsione permanente. La via dell’espatrio si è riaperta, ma in questo inizio di XXI Secolo l’emigrazione italiana è di qualità infinitamente migliore di quella che partì all’avventura nello scorso secolo.

Se la FCA – un acronimo che si presta a battute da caserma – lascia l’Italia, resta però il Bel Paese il posto da cui parte alla conquista del mondo, dalla settima posizione tra i gruppi automobilistici mondiali, ma con brand ambiti e temuti: Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Dodge, Jeep, Chrysler.

In fondo, Marchionne è un italiano da esportazione che ha trovato l’America in Italia e ora vuole riportare al successo l’Italia in America e nel mondo. Un paradigma cui tutti noi dovremmo guardare con intelligenza.

In fondo, le parole di Modigliani restano drammaticamente valide: «se avesse un sistema politico, amministrativo, sociale serio l’Italia sarebbe il primo Paese al mondo. Davanti a tutti. Anche agli Stati Uniti».

In fondo, per licenziare i “Padreterni” basta crederci.

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John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.