L’analisi impietosa della Svimez: ‘Il Mezzogiorno d’Italia è sempre più vecchio e impoverito’

Sulla base dei dati raccolti risulta che il 64% di chi nel 2011 ha lasciato il Sud per una regione del Centro-Nord aveva un titolo di studio medio-alto, diploma o laurea. Le rimesse degli emigranti, però, non tornano più indietro come accadeva una volta e il territorio si impoverisce sempre più. Due famiglie meridionali su tre appartengono alle classi meno abbienti, mentre dal punto di vista demografico si conferma con sempre maggiore evidenza come il Mezzogiorno abbia perso il tradizionale ruolo di bacino di crescita dell’Italia. Da qui ai prossimi cinquant’anni si stima una perdita di 4,2 milioni di abitanti rispetto all’incremento di 4,5 milioni al Centro-Nord

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Roma – ‘‘Il Sud continua a sostenere i costi del suo capitale umano qualificato, ma a impoverirsi esportandolo in senso univoco, cioè senza ritorno”. Lo afferma la Svimez, che fornisce una fotografia impietosa della nuova emigrazione dal Mezzogiorno: il 64% dei cittadini meridionali, oltre due su tre, nel 2011 hanno lasciato una delle regioni del Sud dell’Italia per trasferirsi in una regione del Centro-Nord, ma con una differenza fondamentale rispetto all’emigrazione interna degli anni ’50 e ’60 dello scorso secolo: il possesso di un titolo di studio medio-alto, diploma o laurea. Ossia una perdita mortale di tessuto connettivo sociale, professionale, economico e anche etico.

Altra differenza importante, le “rimesse” interne che un tempo i lavoratori meridionali al Nord inviavano al Sud – per una sorta di welfare familiare a distanza – oggi, ha rilevato il presidente dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, Adriano Giannola, ”non ci sono più, anzi pare che viaggino nella direzione opposta. Visto che la crescita prevista per il 2014 non presenta segnali incoraggianti, attendiamo dal nuovo Governo misure decisamente robuste per tamponare questa deriva”.

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Di fronte agli ultimi dati Istat di un’ulteriore perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in Italia dall’anno scorso, ha puntualizzato Giannola, ”la crisi sembra alimentare le diseguaglianze territoriali, come dimostrano i dati Svimez sulla povertà”.

Dividendo cento famiglie meridionali in cinque classi da venti l’una dalle più ricche alle più povere, ”emerge che il 62% delle famiglie meridionali, cioè due su tre, appartengono alle classi più povere. In questo quadro – ha spiegato Giannola – dal punto di vista demografico, si conferma con sempre maggiore evidenza come il Mezzogiorno abbia perso il tradizionale ruolo di bacino di crescita dell’Italia. Anzi: da qui ai prossimi 50 anni stimiamo di perdere ancora 4,2 milioni di abitanti rispetto all’incremento di 4,5 milioni al Centro-Nord”

Nonostante il positivo incremento degli immigrati la tendenza che si prospetta è un anziano ogni tre abitanti, e una sostanziale parità tra le persone in età lavorativa e quelle troppo anziane o troppo giovani per farlo – ha evidenziato il presidente della Svimez – con conseguenti problemi di welfare e di sostenibilità del sistema”.

Eppure, al Sud c’è chi continua a inventarsi modelli di intervento pubblico nell’economia ormai falliti o a opporsi a ogni segno di cambiamento tecnologico in campo energetico o infrastrutturale, ostacoli allo sviluppo del Mezzogiorno al pari della criminalità dilagante e della corruzione politica e burocratica, veri cancri debilitanti di ogni voglia di innovare.

Quel che la Svimez non dice a sufficienza è che il dato rilevato è il frutto del fallimento dell’autogoverno delle autonomie locali, infestate dall’aggressione della criminalità organizzata che ha permeato i gangli politici e burocratici di questa parte importante del Paese, grazie a processi di selezione della classe dirigente di natura tribale, in cui sono importanti i voti che si portano e non le capacità di amministrare il territorio e di introdurre idee innovative nella gestione della cosa pubblica, utili a sviluppare l’economia ma non a detrimento delle casse pubbliche, depredate di continuo, come dimostrano le innumerevoli inchieste giudiziarie sui fondi pubblici dilapidati da consiglieri regionali, deputati nazionali e amministratori locali.

Credit: Adnkronos