Flight MH370 Malaysia Airlines: troppi misteri per un volo normale

Il mistero resterà irrisolto se non si trova scatola nera o se non arriva una rivendicazione credibile. Gli uiguri dello Xinjiang non sempre rivendicano gli attacchi. Risultano due persone imbarcate con passaporto falso, più altri tre: un cinese e due cittadini europei. Di questi ultimi le autorità sospettano la contraffazione dei documenti, mentre del cinese la contraffazione è certa. Di tutti non sono state divulgate le generalità: una porta aperta a una rivendicazione verificabile? Serve un accordo internazionale per registrare in tempo reale le telemetrie e le conversazioni degli aeromobili

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Dopo 48 ore sembra che il Boeing 777-200 della Malaysia Airlines si sia dissolto nel nulla, in qualche parte del Golfo della Thailandia, senza mandare alcun segnale che potesse comunicare un’avaria o un tentativo di dirottamento. Manca dunque l’analisi del contesto in cui è avvenuta questa tragedia, costata la vita a 239 persone: 227 passeggeri, tra cui due bambini, e 12 membri dell’equipaggio.

Al momento si possono fare analisi che equivalgono a congetture, più o meno fondate da ragionamenti. Il dato centrale attorno a cui costruire qualsiasi scenario è che ci sono almeno cinque passeggeri del volo MH370 non corrispondenti ai dati impressi sui documenti di identità esibiti al check-in.

Luigi Maraldi, di Cesena, e Christian Kozel, austriaco, condividono l’esperienza di uno strano furto del passaporto in Thailandia. Entrambi dati per dispersi con le altre persone a bordo dell’aereo dissoltosi tra Malesia e Thailandia, poche ore dopo hanno rivelato di essere vivi e vegeti. I biglietti acquistati a loro nome avevano un numero di serie contiguo, segno che fossero stati comprati nello stesso momento.

Un altro cittadino cinese, della provincia del Fujian e del quale sono state celate le generalità, ha invece rivelato di non essersi mai imbarcato su quel volo e di essere a casa propria, circostanza confermata dalle autorità di Pechino che seguono il caso. Ma ha anche aggiunto di non aver mai subìto il furto del passaporto, di cui sarebbe stato clonato solo il numero.

Infine, ci sono altre due persone di cui si dubita fortemente la correttezza dei dati del passaporto. Anche di queste due persone sono state celate le identità, forse un modo per poter valutare eventuali rivendicazioni terroristiche che citassero questi tre viaggiatori dalle identità vere, ma sottratte all’insaputa.

La rapidità dell’interruzione delle comunicazioni e l’assenza di qualsiasi tipo di allarme fa escludere un dirottamento, a favore di un repentino evento devastante: cedimento strutturale o improvvisa esplosione. In questo caso, bisognerebbe capire perché chi si è sostituito a Marali e a Kozel avesse un biglietto con una tratta da da Pechino ad Amsterdam.

Se l’ipotesi di attentato terroristico prendesse corpo in modo definitivo, si potrebbe anche aprire uno “scenario di attacco intercontinentale”, che avrebbe dovuto avere un altro epilogo dell’esplosione sul Golfo di Thailandia. Per esempio, si potrebbe ipotizzare che i terroristi avessero l’obiettivo di attaccare simultaneamente nel Far East e in Europa.

Ipotesi che potrebbe trovare qualche conferma solo dopo l’individuazione delle vere generalità delle cinque persone che per adesso risultano salite sull’aereo della Malaysia Airlines con identità rubate.

Ancora, è probabile che l’intelligence malese e quella cinese scandaglino la vita del primo ufficiale, il ventisettenne malese Fariq Abdul Hamid: la prova di una sua vicinanza a movimenti islamisti attivi in Malesia sarebbe un ulteriore indizio. Ma – ribadiamo – sono congetture, ipotesi senza fondamento.

In verità le maggiori intelligence del mondo sono al lavoro su questo disastro, che aprirebbe uno scenario diverso in Asia. Gli uiguri dello Xinjiang non rivendicano facilmente le loro azioni. Così come è avvenuto sabato 1° marzo alla stazione di Kunming, dove un attacco all’arma bianca fece 29 morti, di cui quattro terroristi, e 110 feriti. Cinque terroristi riuscirono a fuggire al termine di un conflitto a fuoco con la polizia locale. Un evento che la stampa locale ha definito “l’11 settembre cinese”.

Occorre infine evidenziare come ancora nel 2014 vi sia un buco normativo/tecnico nella gestione dei dati provenienti dagli aeroplani. Servirebbe un collegamento in tempo reale con gli aeromobili in giro per il mondo, in modo da registrare tutti i parametri e le conversazioni tra equipaggi degli aerei con i controllori. Una mole di dati da trattare in un Paese neutrale come la Svizzera.

Necessiterebbe per questo un trattato internazionale promosso dalle Nazioni Unite, per vincolare gli Stati firmatari alla trasmissione in tempo reale di questi dati, attraverso un sistema di comunicazione satellitare centralizzato. Un sistema per monitorare e capire, non certo per prevenire.

Nessuna comunicazione di dati o nessun sistema di controllo infatti può evitare che un lucido pazzo inneschi una bomba a 10 mila metri di quota e faccia dissolvere un mastodonte come il Boeing 777-200 una notte di marzo sul Golfo di Thailandia.

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