L’abolizione (fasulla) delle province mostra il volto pataccaro di questo Governo

I centri di spesa (spesso illecita) non sono le province, ma le Regioni, che andavano abolite e invece si ritroveranno protagoniste di un centralismo condiviso con lo Stato. Non si aboliscono le province, ma le si trasformano in enti locali di secondo grado, che influiranno sulla costituzione del Senato modellato dalla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Una mossa a favore delle sinistre, più attive in periferia, per questioni storiche

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Roma – Con l’approvazione della Camera (260 sì e 158 no: ossia non hanno partecipato al voto 212 deputati), due giorni fa è stata varata la riforma delle province, già approvata in prima lettura e poi modificata dal Senato. Il provvedimento stabilisce riforme in materia di enti locali e prevede l’istituzione delle città metropolitane, la ridefinizione del sistema delle province ed una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni.

Pd, Scelta Civica, Psi e Centro democratico hanno votato a favore, mentre M5s, Forza Italia e Fratelli d’Italia si sono espressi contro. Renato Brunetta, con la consueta leggerezza dell’eloquio, ha gridato nell’Aula di Montecitorio un significativo, quanto esaustivo, commento: “Questo è un golpe!“.

Ma cosa cambia in concreto? Proviamo a riassumere.

CITTÀ METROPOLITANE E UNIONE DI COMUNI

Sono istituite nove città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, cui si aggiunge Roma capitale.

Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia e gli organi di questo nuovo ente locale sono il sindaco metropolitano (che è quello del comune capoluogo), il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. Secondo la legge, l’incarico di sindaco metropolitano, di consigliere metropolitano e di componente della conferenza metropolitana “è svolto a titolo gratuito“.

Il numero di consiglieri è variabile in base alla popolazione (da 14 a 24), mentre il consiglio metropolitano è un organo elettivo di secondo grado e dura in carica 5 anni. Vi possono essere eletti i sindaci e i consiglieri dei comuni della città metropolitana. Quindi la gratuità dell’incarico è solo virtuale, perché è facile immaginare che i comuni di appartenenza prevedano che, nell’esercizio delle funzioni di organi del comune metropolitano, siano retribuiti dai comuni.

Alle funzioni delle città metropolitane sono attribuite le funzioni fondamentali delle province. Il 1° gennaio 2015 le città metropolitane subentreranno alle province e succederanno ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercitano le funzioni.

PROVINCE

La disciplina delle province è, per espressa previsione della legge, transitoria, in attesa che si compia la volontà del piccolo duce di Pontassieve e della sua Corte Riformista in materia di Titolo V della Costituzione e di articolazione delle autonomie locali.

Anzitutto, visto che una riforma si doveva fare per motivi di propaganda elettorale per le imminenti Europee, come nella migliore tradizione degli illusionisti, le province si definiscono “Enti di vasta area”, che è in sé la dimostrazione concreta di una malattia cronica della politica e della classe dirigente nazionale, affetta da una gravissima forma di burocratite con eruzioni pericolose di politichese.

Gli organi degli “enti di vasta area” – che tutti, compresi i politicanti al Governo del Paese, continueranno a chiamare province – sono: il presidente della provincia, il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci. Anche in questo caso, tutti gli incarichi sono a titolo gratuito, ma anche in questo caso è un’illusione, perché i comuni di appartenenza prevederanno nei loro Statuti indennità integrative per i propri organi eletti in seno provinciale.

Il presidente della provincia ha la rappresentanza dell’ente, convoca e presiede il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci, sovrintende al funzionamento degli uffici. Viene eletto, in via indiretta, dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia; sono eleggibili i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni, una norma che non mancherà di sollevare perplessità – e forse anche oltre – visto che sperequa i mandati elettorali tra diversi organi previsti nel piano di riforma del Senato non elettivo.  Il presidente resta in carica quattro anni.

Il consiglio provinciale, composto dal presidente della provincia e da un numero di consiglieri variabile in base alla popolazione (da 16 a 10), svolge funzioni di indirizzo e controllo, approva regolamenti, piani, programmi e approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal presidente della provincia; ha potere di proposta dello statuto e poteri decisori finali per l’approvazione del bilancio. Il consiglio provinciale è organo elettivo di secondo grado e dura in carica 2 anni; hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia.

L’assemblea dei sindaci è composta dai sindaci dei comuni della provincia. È competente per l’adozione dello statuto e ha potere consultivo per l’approvazione dei bilanci; lo statuto può attribuirle altri poteri propositivi, consultivi e di controllo.

Insomma le province “enti di vasta area” avranno due assemblee in luogo di una: una follia!

UNIONI E FUSIONI DI COMUNI

La disciplina delle unioni di comuni viene semplificata con l’abolizione dell’unione di comuni per l’esercizio facoltativo di tutte le funzioni e servizi comunali. Restano ferme le altre due tipologie di unione, quella per l’esercizio associato facoltativo di specifiche funzioni e quello per l’esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali.

Per quest’ultima viene confermato il limite demografico ordinario pari ad almeno 10.000 abitanti, ma viene abbassato per i soli comuni montani a 3.000, e viene spostato il termine per l’adeguamento dei comuni all’obbligo di esercizio associato delle funzioni fondamentali dal primo gennaio al 31 dicembre 2014.

OSSERVAZIONI

La riforma delle province non porterà alla loro abolizione, ma solo alla trasformazione degli enti locali in soviet non elettivi, con effetti evidenti sul Senato riformato, secondo l’assetto disegnato dalla coppia Renzi-Boschi. Senato che non avrà composizione fissa, ma variabile al decadere dei sindaci e dei presidenti delle regioni e delle province, e le cui funzioni risentiranno di questo assetto mutevole.

Insomma una riforma che si concreta come un pasticcio emiliano-toscano di cui l’Italia non ha bisogno. L’impressione è che Renzi & Compagni stiano calcando in modo deliberato la mano istituzionale, per far cadere il Governo e andare a elezioni anticipate, addebitando al centro-destra la responsabilità del fallimento delle riforme e beneficiarne in sede elettorale, sfruttando il malcontento circolante tra gli italiani.

(Credit: AGI)