Flavio Briatore: “in Italia non investo più, la burocrazia sta uccidendo il Paese”

Nel corso di un’intervista pubblica concessa ad Alfonso Signorini (direttore di “Chi”) e Giorgio Mulè (direttore di “Panorama”), il manager cuneese si toglie alcuni sassolini dalle scarpe a tal punto da suscitare in noi l’interrogativo: ma che porta di numero, 56?…

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Reggio Calabria – Sassolini dalle scarpe? Non scherziamo, altrimenti Flavio Briatore dovrebbe calzare il 56 e per indossare le scarpe dovrebbe avere la patente nautica… Ma a parte l’ironia, il manager cuneese nel corso di un’ampia intervista pubblica concessa ai direttori di “Chi“, Alfonso Signorini, e di “Panorama“, Giorgio Mulè, non le ha certo “mandate a dire” alla politica e alla burocrazia italiana.

Un imprenditore investe in un Paese dove ci sono le condizioni per farlo“, ha spiegato, entrando nello specifico: “in Sardegna ho investito per anni e mi sono reso conto, alla fine, che non puoi fare le cose. La burocrazia che c’è qui non esiste in nessun altro Paese“. Secondo l’imprenditore, “in America, come in Kenya, abbiamo fatto cose in due anni che in Italia ne avrebbero richiesto otto. La gente qui non investe più perché ha paura. In questo Paese – ha continuato – le leggi vengono sempre interpretate in vario modo, non danno sicurezze. La burocrazia è quel che ha danneggiato di più l’Italia, quelli che per colpa dei burocrati non investono più, come me, sono tanti. Ci vorrebbe una rivoluzione“.

In un Paese normale ci dev’essere mobilità lavorativa“, ha proseguito Briatore, “qui in Italia le start-up fanno fatica a decollare. Qui in Italia facciamo riforme sui giornali, ma non in concreto. In Spagna hanno introdotto la mobilità sul lavoro e ci sono state proteste infuocate. Poi tutto è rientrato e la riforma è passata“, perché – ha spiegato l’ex manager di Benetton e Renault di Formula 1 – “ci vuole flessibilità. E chi lavora bene perché deve guadagnare quanto chi è assenteista?“, si è chiesto polemicamente.

Sul problema degli stipendi dei manager, Briatore ha affermato che “uno che produce e crea ricchezza deve essere pagato, il contrario è demagogia. Il problema – ha rilevato – è che la gente dev’essere pagata in base ai risultati. In Italia il problema è che la gente viene liquidata dopo aver fatto danni alle Fs e mandata all’Alitalia!“.

Sono stato azionista di Unicredit – ha rimarcato – abbiamo avuto un presidente che ha fatto danni, credo 15 miliardi di danni, lo hanno liquidato con 38 milioni e l’hanno mandato in un’altra banca in crisi“. “Non credo che abbassando lo stipendio a 50 manager risolviamo il problema dell’Italia, lo dice il mercato, non Briatore“, ha osservato, ma la questione essenziale è che “certi manager sono l’espressione della politica. E fanno danni perché sono incapaci“. Un problema serio è il costo del lavoro: “il vero dramma dell’Italia è che quando hai un operaio che prende 1.200 euro all’azienda costano 2.500 e questa differenza va nel calderone del costo della politica e della burocrazia“.

“Ci vuole una rivoluzione nel mondo del lavoro, l’Italia e’ stata superata da tanti altri Paesi proprio per mancanza di investimenti, di servizi e di amore per il fare“, ha aggiunto Briatore. “A Marbella ho avuto una licenza di un Billionaire in due settimane. Qui il sistema ostacola. Enrico Letta – ha ricordato – ha fatto il giro delle parrocchie per trovare investimenti stranieri, poi e’ andato in Kuwait dove c’è un fondo sovrano che amministra 350 miliardi di dollari e gli ha dato 500 milioni, come per levarselo dalla balle“. Ma anche gli investimenti stranieri diretti non ottengono un trattamento degno dello sforzo fatto per creare opportunità nel Paese: “Quelli del Qatar –  ha ricordato Briatore – che hanno investito molto in Sardegna, si sono visti trattare a pesci in faccia“. Il problema centrale è che “gli amministratori italiani viaggiano poco, non parlano le lingue e non conoscono il mondo“. Insomma, si tratterebbe di mera ignoranza crassa. Chiunque abbia avuto esperienza con le amministrazioni locali sa che spesso è davvero così.

Briatore infine si è infine difeso dall’accusa di essere eccessivo, simbolo della cafonaggine. “Certo, il Billionaire è una provocazione, intanto abbiamo 62 negozi, le discoteche sono 12 e ne ho vendute la metà a un gruppo di Singapore. Mi va benissimo che mi diano del cafone, quelli che lo fanno sono dei poveracci“. Poi ha ricordato: “al Billionaire sono venuti tutti, chi lo critica è perché non li ho fatti entrare. L’anno scorso è venuto a Montecarlo il re della pubblicità, Martin Sorrell, e l’ho buttato fuori. Non ho paura di nessuno, perché non sono ricattabile. La cultura del Billionarie è una sola: fare robe che funzionano, dove la gente che lavora prende regolarmente il suo salario“.

(Credit: AGI)