Ucraina, trovata intesa a Ginevra. ”Gruppi illegali depongano le armi”. Un compromesso irto di ostacoli

Il ministro degli Esteri russo Lavrov annuncia in una conferenza stampa che è stato firmato un documento per avviare la soluzione della crisi. Ai negoziati a quattro partecipano Russia, Ucraina, Stati Uniti e Unione Europea. Kiev limita ingresso uomini russi tra i 16 ed i 60 anni e le donne

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Ginevra – L’accordo per la soluzione della crisi in Ucraina è stato raggiunto ieri a Ginevra, ora si tratterà di applicarlo da tutte le parti e con la buona volontà tessuta di verità: ossia quel che finora non è avvenuto da qualsiasi parte si guardi questa storia. Serghej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha chiarito i termini della questione: “tutte le formazioni armate illegali in Ucraina devono deporre le armi e gli edifici occupati illegalmente devono essere sgombrati“, due piccioni con una fava.

Di fronte a questa affermazione, al termine dei negoziati a quattro tra Russia, Ucraina, Stati Uniti e Unione Europea, molti hanno pensato alle bande filo-russe (che qualcuno testimonia essere troppo inquadrate per non essere soldati russi sotto mentite spoglie), altri hanno voluto intendere (più correttamente) l’impegno assunto dall’Ucraina a chiudere i gruppi che hanno già fomentato odio per le strade e dato la giustificazione ad agire ai filo-russi.

Lavrov ha anche invocato un’amnistia per chi è stato coinvolto nei sommovimenti delle ultime settimane, escludendo i colpevoli di gravi reati. Una mossa volta a fare tabula rasa di tutte le violenze circolanti e indirizzata alla vera de-escalation nella regione. Non sarà facile, come vedremo.

Ma la giornata di ieri è stata costellata di uno show preparatorio del meeting ginevrino, grazie alla performance del presidente russo, Vladimir Putin, nella tradizionale Linea diretta con il Paese, servitogli per preparare il terreno al suo ministro degli Esteri in prospettiva del negoziato. Putin infatti aveva tuonato verso Kiev, definendo “un grave crimine” l’uso della forza nella regione orientale dell’Ucraina, in risposta ai moti separatisti delle milizie filo-russe. In diretta tv, ma rivolto più all’estero che all’interno, il presidente russo aveva ricordato “il diritto di usare la forza militare” per difendere le popolazioni russofone, precisando però poi: “spero tanto di non dover usare questo diritto“. Insomma, la parte del poliziotto cattivo, mentre a Lavrov toccava poco dopo quella – più consona al ruolo – di poliziotto buono. Cinema puro.

Poi Putin aveva risposto alle domande dei cittadini (come no…) partecipanti alla dirette televisiva, accusando Kiev di “andare verso l’abisso, trascinando l’intero Paese“, definendo “sciocchezze” le notizie della presenza di infiltrati russi tra i dimostranti nelle città dell’Ucraina orientale. “Tutte quelle persone sono residenti locali – aveva spiegato – e quello che posso dire ai miei partner occidentali è che quelle persone non hanno dove andare. Non se ne andranno. Sono i legittimi proprietari di quelle terre ed è necessario parlare con loro“. Sulla Crimea, Putin ha spiegato che la Russia non ha mai pianificato l’annessione con azioni militari, ma ha agito per difendere la comunità russa locale da “minacce concrete e tangibili“, una definizione che ricorda quel “clear and present” presente nella terminologia degli apparati di sicurezza statunitensi.

Se volessimo usare definizioni calcistiche, Putin ha in questo modo realizzato un bel dribbling per lanciare un assist a Lavrov. Infatti, allo stesso tempo, l’inquilino del Cremlino aveva dichiarato la convinzione si potesse raggiungere una soluzione diplomatica.

L’accordo di oggi a Ginevra segna una svolta nella crisi ucraina, con l’inizio della fase del dialogo“, ha commentato la ministro degli Esteri italiana, Federica Mogherini, la quale ha però sottolineato che “si tratta non della conclusione bensì dell’inizio di un percorso in cui abbiamo fortemente creduto e per cui abbiamo lavorato, ma che non era scontato“. Per la titolare della Farnesina ora “è necessario che le misure concordate siano attuate, che si abbassi la tensione nell’est dell’Ucraina, che tutte le parti abbiano un atteggiamento responsabile e che si fermino le violenze anche attraverso la missione dell’Osce“. Un obiettivo per cui – secondo Mogherini – anche Kiev deve dare il suo contributo attraverso “il cammino delle riforme costituzionali” che deve proseguire “speditamente in modo inclusivo e trasparente, a beneficio di tutti gli ucraini e della stabilità nella Regione“. Una “soluzione di compromesso” è l’obiettivo cui la Russia mirava, ora rimodulato nella riforma costituzionale che conduca a un’articolazione federale per l’Ucraina.

Infatti Lavrov ha rinnovato a Ginevra l’appello di Mosca a Kiev per una forte decentralizzazione della struttura amministrativa in Ucraina, di modo che possano essere tenute nel giusto conto le esigenze della minoranza russa. Ma Kiev finora ha risposto “picche”, dichiarandosi però disponibile a concedere più autonomia alla minoranza russofona.

Un tema su cui John Kerry ha avvertito: ora tocca alla Russia “mostrare la sua serietà“, nel rispetto degli accordi, sottolineando la buona volontà dimostrata dagli ucraini verso emendamenti costituzionali che tengano conto delle richieste e delle aspirazioni di tutti i cittadini, inclusa la minoranza russa.

Nell’incontro a quattro di Ginevra nessuno pensava di portare a casa l’intero bottino e la soluzione cooperativa – la più efficace in una situazione complessa come quella esistente – è quella che può far vincere tutti e perdere meno possibile tutti. Ovvero di cercare di incanalarsi verso l’unico modo possibile per risolvere scenari complessi come quello ucraino e dalle prospettive devastanti. Lo spazio tra il compromesso e la deflagrazione generale è scritta nelle carte geografiche, con una propensione all’estensione in Medio Oriente e Africa mediterranea da incubo.

Il fatto che tutti debbano cooperare a raffreddare la situazione implica davvero l’impegno multilaterale. Lo conferma da un lato il divieto di ingresso in Ucraina dei cittadini russi maschi tra i 16 e il 60 anni, che non abbiano una motivazione valida, e delle donne tra i 20 e i 35 anni provenienti dalla Crimea; dall’altro la decisione dei separatisti filo-russi di Donetsk, che non lasceranno le posizioni fino a quando i manifestanti filo-Ue di piazza Maidan non se ne andranno. Alexander Zakharchenko, leader separatista di Dontesk, lo ha detto a chiare lettere: “devono iniziare quelli di Maidan a Kiev a sgomberare“, poi, “noi decideremo cosa fare“.

Segno che l’obiettivo della de-escalation è da costruire con la buona volontà di tutti.

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