La Santa Sede non è la Chiesa cattolica e non è responsabile di ogni azione compiuta da ogni fedele

Monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, è intervenuto al 52° Comitato Onu sulla Convenzione contro la tortura. La Santa Sede ha promosso e continuerà a promuovere a “livello globale i valori e i diritti umani” e ritiene la Convenzione uno strumento “valido”. Ma non si può estendere a situazioni diverse, come la pedofilia, che è un reato abietto ma ricade sotto la legislazione degli Stati

Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra

Città del Vaticano – La Santa Sede ha responsabilità sullo Stato della Città del Vaticano, ma “non ha giurisdizione” su “ogni membro della Chiesa cattolica” al quale chiede “una conversione del cuore all’amore di Dio e del prossimo“. Ciò significa che “qualsiasi persona fisica, nonostante l’affiliazione a un istituto cattolico, è soggetta alla legittima autorità dello Stato. L’obbligo e la responsabilità di promuovere la giustizia, in questi casi spetta alla competente giurisdizione nazionale“.

L’affermazione fatta oggi a Ginevra da monsignor Silvano Maria Tomasi, in occasione della presentazione del Rapporto iniziale della Santa Sede davanti al Comitato sulla Convenzione contro la tortura, era riferita a “fuorvianti” interpretazioni che identificano la Chiesa cattolica con la Santa Sede, chiamandone in causa una responsabilità per atti commessi da persone di fede cattolica, un concetto giuridicamente inesistente.

A tal proposito monsignor Tomasi, che è osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha ribadito che “le persone che vivono in un determinato Paese sono sotto la giurisdizione delle autorità legittime di quel Paese e sono quindi soggette alla legge nazionale e alle conseguenze ivi contenute. Le autorità degli Stati sono obbligate a proteggere, e, quando necessario, perseguire le persone sotto la loro giurisdizione. La Santa Sede – ha aggiunto – esercita la stessa autorità su coloro che vivono nella Città del Vaticano in conformità con le sue leggi. Quindi la Santa Sede, nel rispetto dei principi di autonomia e sovranità degli Stati, insiste sul fatto che l’autorità dello Stato, che ha competenza legittimo, agisce come responsabile della giustizia in materia di crimini e di abusi commessi da parte di persone sotto la sua giurisdizione“. Questo vale anche per persone che siano parte di una istituzione cattolica, che non hanno diritto a immunità di sorta.

Sulla tortura, la Santa Sede considera la Convenzione uno strumentovalido” per “combattere atti che costituiscono una grave offesa alla dignità umana“, ha detto il diplomatico vaticano, che ha ricordato le numerose prese di posizione, ai più alti livelli, da parte della Chiesa contro la tortura, in particolare attraverso il magistero papale dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’adeguamento della normativa della Città del Vaticano alle indicazioni della Convenzione. La Santa Sede, ha aggiunto Tomasi, ha promosso e continuerà a promuovere a “livello globale i valori e i diritti umani” che sono “necessari per relazioni amichevoli tra i popoli e la pace nel mondo“.

La Convenzione riguarda tuttavia torture e abusi commessi in tale ambito. I tentativi di allargarne i confini a ipotesi diverse riducel’obiettivo originale della Convenzione” e “mette a rischio le situazioni di coloro che sono abusati e torturati“.

Con questa osservazione si vuole porre l’accento sul pericolo che il lavoro del Comitato non solo sia “inefficace, ma perfino controproducente.

Monsignor Tomasi non ha esplicitato il riferimento delle sue osservazioni, per il rischio di essere frainteso e per evitare che fossero strumentalizzate le sue affermazioni. Da più parti infatti si spinge per includere nella Convenzione contro la tortura anche gli abusi sessuali commessi da religiosi, che sono reati abietti e perseguiti sia dalla Santa Sede come soggetto della Comunità degli Stati, sia dalla Chiesa Cattolica, intesa come apparato, con un rinnovato vigore risalente al pontificato di Benedetto XVI.

La lotta contro la pedofilia con Papa Francesco sta vivendo un’ulteriore accelerazione, ma rientra nel quadro delle responsabilità individuali in capo a ciascun individuo, che soggiace alla legge penale dello Stato in cui opera. La Santa Sede e il Papa hanno, in modo ripetuto e sempre più evidente, cambiato atteggiamento verso chi si è macchiato di questo orrendo crimine, soprattutto se commesso da prelati e uomini di religione, che dovrebbero – per “scopo sociale” (le virgolette sono nostre) – agire contro i pedofili e contro chi attenta alla salute dei bambini.

«Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» (Marco, 9,42)

(Credit: AsiaNews)