9 Maggio 1950-9 Maggio 2014: l’Europa tradita dai finti europeisti

L’esperimento geopolitico per rendere impossibile la guerra militare tra gli Stati europei è riuscito: spesso si tende a dimenticarlo. Il progetto originario utilizzava un espediente strumentale – il funzionalismo attorno al carbone e all’acciaio – che doveva portarci all’obiettivo finale, una vera cesura storica, sul modello di quanto fatto nelle Tredici ex colonie britanniche del nuovo mondo: gli Stati Uniti d’Europa. Aprire la fase Costituente o la prospettiva sarà il ritorno della guerra nell’agenda degli europei

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La novità della Dichiarazione Schuman, emessa il 9 maggio 1950, fu che la prospettiva storica non si fermava alla mossa cooperativa volta ad abbattere una secolare inimicizia. Quella svolta fu l’inizio di un processo che aveva una visione, la visione dell’Europa luogo comune, della pace tra i popoli europei bene comune, dell’idea che fosse ripetibile quanto avvenuto dall’altra parte dell’Atlantico. Nel nuovo mondo, persone originarie da varie parti dell’Europa (e non solo) avevano trovato un comune sentire attorno 20140509-Robert_Schuman-212x275all’idea di una “comunità di destini” che costituisse la base comune della vita istituzionale e baluardo della libertà di individui, imprese, lavoratori, comunità.

Non c’era solo l’obiettivo di abbattere a zero le probabilità che la guerra diventasse impossibile tra Francia e Germania, al centro delle fiamme mortifere della Seconda Guerra dei Trent’anni – quella che sconvolse l’Europa e il mondo dal 1915 al 1945 – ma che diventasse fisicamente, culturalmente, militarmente, istituzionalmente e politicamente impossibile la scelta della guerra militare tra gli Stati dell’Europa. Una rivoluzione culturale, la Grande Rivoluzione Europea.

Eppure, quella scelta fu marcata da un rifiuto originario dei partiti della sinistra comunista, che credevano in un altro internazionalismo – quello del Comintern – che si abbeveravano alle teorie mortifere del comunismo sovietico, con la stessa forza con cui avevano combattuto le altrettanto mortifere ideologie fasciste e naziste (che invero avevano la stesse folle idea, annientare l’individuo per esaltare la religione dello Stato).

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Non è un caso che nelle scuole superiori per tanti anni si è preferito approfondire la Rivoluzione Francese a quella, pur antecedente, Americana: perché tra la ghigliottina di Place de la Concorde e il sangue scorso per i Pogrom sovietici, nei campi di lavoro siberiani, attraverso i lager nazisti e le vittime della follia fascista (edulcorata solo dall’umanesimo italiano popolare), infine con l’esplosione della pulizia etnica istriana e le rappresaglie feroci e criminali dei partigiani comunisti in Emilia, c’era, c’è e ci sarà un filo rosso di sangue totalitario.

Al contrario, alle 16 del 9 maggio 1950, nel Salon de l’Horloge del Quai d’Orsay (ministero degli Esteri francese), si riannodava un filo con la libertà scelta oltre atlantico, con la Rivoluzione della libertà che unì il destino delle Tredici ex colonie britanniche, resesi indipendenti dalla madrepatria con la Dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776.

Se vogliamo, quella di Robert Schuman fu, al contrario, una presa d’atto, una Dichiarazione di Dipendenza: nessuno in Europa può fare a meno degli altri e la pace – la pace militare e la pace politica – passa attraverso una scelta storica: mettere insieme, in modo indissolubile i propri destini.

C’erano centinaia di anni da protagonisti della storia contro questa idea, che ancora rimane in chi –20140509-founding-fathers-eu-320x242 soprattutto – bazzica la Storia con l’esitazione che si ha con le conoscenze labili, evanescenti. E chi parla di indipendenza delle piccole patrie è tra costoro: perché le patrie grandi – gli Stati nazione – oggi vivono la stessa condizione di ciascuna delle Tredici ex colonie britanniche in America, ininfluenti da sole – uti singulae – straordinariamente potenti tutte insieme.

Anche in America il passaggio da un legame flebile, illusorio ma transitorio, quello della Confederazione sotto gli “Articoli”, non fu automatico: ci volle il timore di una rivolta (la rivolta di Shays) per interrogare le menti più intelligenti sul pericolo che quei giovani Stati correvano, di fronte all’ipotesi di un attacco militare esterno (atteso che quello interno era ormai abbattuto per via delle regole comuni).

Ci volle poi il coraggio delle personalità storiche per passare da regole leggere e inefficaci a una vera Costituzione comune e alla distinzione delle competenze tra Governo federale e governo degli Stati, attorno al principio di sussidiarietà e alla condivisione della sovranità, con sfere esclusive di competenze: macro aree e relazioni esterne in capo al Governo federale, problemi interni di competenza di ciascuno Stato membro.

I costituenti americani mai avrebbero potuto immaginare di pensare alle dimensioni delle banane, come avocano i “legislatori” europei di oggi.

Dopo 64 anni, occorre ritrovare le radici della Dichiarazione Schuman e dare all’Europa un colpo che ne riallinei il progetto con le finalità iniziali. Occorre stanare i finti europeisti, quelli che parlano di Stati Uniti d’Europa – a destra come a sinistra – senza avere la benché minima idea di cosa parlino.

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Se si parla di Stati Uniti d’Europa si parla di Costituzione comune, di un Governo Federale che governi e di Stati membri che non possano in alcun modo influenzare la vita degli altri, ma – semmai – che siano mutuamente solidali nel progetto di fondere il proprio destino con quello altrui. Si parla di Forze Armate uniche e di moneta, perché lo Stato moderno nato in Westfalia nel 1648 univa spada, moneta e bilancia: esercito, moneta e giustizia comune.

20140509-european-flagQuando si parla di Stati Uniti d’Europa non si può parlare di Fiscal Compact, perché la funzione federale di governo implica i trasferimenti a favore degli Stati in difficoltà da parte del Governo Federale, non da parte di altri Stati, per il quali vigerebbe – dovrebbe vigere – il divieto di emettere debito pubblico.

La scelta di mettere insieme il debito statale dei Tredici stati nordamericani – attraverso il consolidamento e la trasformazione in debito federale trentennale – fu la mossa decisiva per convincere gli investitori internazionali sul fatto che nel nuovo mondo non era in atto un esperimento, ma si era cominciato a scrivere un nuovo libro della Storia, unendo indissolubilmente i destini.

Questo era l’obiettivo finale – dichiarato – della Dichiarazione Schuman e degli europeisti e federalisti europei della seconda metà del XX Secolo. Perché non si è ancora arrivati a questa tappa finale del processo?

La nostra opinione è che il ritardo dipenda dall’ignoranza media della classe dirigente europea, illusa ancora di poter giocare un ruolo solo se la dimensione nazionale mantiene una forza di blocco del processo. Per questo motivo, le giovani generazioni, le “generazioni Erasmus” guardino al processo di integrazione europea con lo sguardo deterso da ogni ideologia, ma con al centro l’idea dell’unione europea come passo per mantenere la guerra impossibile sotto ogni profilo.

Quel che accade in Ucraina in questi giorni ci mostra, purtroppo ancora una volta, che i demoni della morte bellica non sono morti e possono riabbracciare la scena della Storia in ogni momento. Il pericolo è che dall’Inno alla Gioia – inno dell’Unione Europea – si passi alla Nona Sinfonia di Beethoven: l’incompiuta…

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