Allarme Confindustria: nel settore industriale, l’Italia superata da India e Brasile

Il Centro Studi di Confindustria suona la campana dell’ultimo giro per l’industria italiana: non è un “destino crudele e ineluttabile”, ma serve “una svolta chiara e decisa”

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Roma – Non si arresta il declino industriale dell’Italia che continua a perdere posizioni nella classifica mondiale dei produttori manifatturieri sotto l’incalzare dei Paesi emergenti. L’allarme è del Centro studi Confindustria, secondo cui il calo produttivo del 5% registrato tra 2007 e 2013 è costato al Bel Paese il sorpasso di India (sesto posto) e Brasile (settimo posto), cresciute rispettivamente nello stesso periodo del 6,2% e dello 0,8%.

Negli ultimi dodici anni, dal 2001 al 2013, nel manifatturiero, l’Italia ha visto un milione e 160 mila addetti perdere il lavoro e 120 mila imprese chiudere i battenti. E se tra il 2000 e il 2013, l’incremento dei volumi prodotti a livello mondiale è stato del 36,1%, l’Italia ha registrato un calo del 25,5%, scivolando man mano dal quinto all’ottavo posto globale, in una classifica che resta guidata, nell’ordine, da Cina, Stati Uniti, Germania e Corea del Sud.

Numeri che al presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, appaiono “un bollettino di guerra“. Eppure, aggiunge il numero uno di viale dell’Astronomia, “non siamo vittime di un destino crudele e ineluttabile“. Qualcosa si comincia a muovere. E se per rilanciare il Paese, occorre “un salto di mentalità, una svolta chiara e decisa“, dice Squinzi, “mi pare che si stanno creando le condizioni per tale svolta“. Che però nessuno abdichi dalle sue responsabilità. Quel che è successo all’economia italiana negli ultimi venti anni, insiste il presidente di Confindustria, “ha radici antiche nei mali del nostro Paese. La stessa performance durante la crisi è dovuta a demeriti soprattutto nostri“.

A testimoniarlo è proprio l’andamento della produzione manifatturiera italiana, che appare in gran parte slegato dall’andamento internazionale. Le ragioni di questa ‘anomalia‘, rileva il Centro Studi di Confindustria, sono sostanzialmente due: da un lato la peculiarità della socializzazione produttiva del suo sistema industriale, che comporta un sostanziale disallineamento della struttura della sua produzione; dall’altra l’andamento della domanda interna che in Italia è stato di gran lunga il peggiore rispetto a quanto riscontrato negli altri Paesi industriali.

Nelle maggiori economie avanzate, inoltre, sottolinea il Centro Studi di Confindustria,la politica industriale è tornata a essere utilizzata come leva normale di governo dell’economia, con la stessa dignità di quelle di bilancio e monetaria. Anche in ciò il comportamento dell’Italia diverge, avendo abbandonato il programma di rilancio industriale avviato nel 2006 con Industria 2015“.

Per questo, concludono gli analisti di viale dell’Astronomia, “sono vitali interventi tempestivi, perché partire in ritardo in un mondo in cui questa logica è diventata la regola, significa perdere terreno nei confronti dei Paesi concorrenti che già si sono avviati lungo questo percorso“.

Se questo non è il fallimento della guida economica del Paese, oberato da un livello di tassazione da estorsione di Stato, da confisca, che cosa è? La radice del problema è la partitocrazia e l’occupazione dello Stato da parte dei politici di professione, un problema non recente che trova al contrario radice nel fascismo ed è sopravvissuto fino ai giorni nostri.

(Fonte: AGI)