Iraq, Obama soprassiede sui raid aerei Usa. La raffineria di Baiji torna sotto il controllo dell’esercito iracheno

Obama scettico sull’azione militare: “Rischio di colpire civili”. E vuole che Maliki lasci il potere al governo di unità nazionale. Iran: “Nessuna cooperazione con gli Stati Uniti”. Mentre sul terreno jihadisti e lealisti continuano a darsi battaglia. Eni: “Non abbiamo ritirato nessuno”

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In Iraq prosegue la battaglia per il controllo della più grande raffineria del Paese, mentre Barack Obama è scettico riguardo alla possibilità di realizzare dei raid mirati per colpire le basi dei miliziani sunniti. Nel colloquio avuto ieri con i leader del Congresso, il presidente Usa ha espresso la preoccupazione che i raid possano provocare vittime civili e non essere produttivi per l’obiettivo dichiarato in queste ore dall’amministrazione Obama di arrivare ad un cambiamento della situazione politica considerata all’origini dell’instabilità del Paese.

Obama ha spiegato che, per essere sicuri che eventuali raid possano funzionare, sono necessarie maggiori informazioni di intelligence riguardo alle posizioni dei miliziani. Quindi, secondo quanto hanno riportato collaboratori del Congresso alla stampa americana, il presidente, pur non escludendo “a tempo indeterminato” i raid aerei, li ha prospettati come “un’opzione non imminente”. In particolare, il New York Times, riporta che il presidente avrebbe detto ai leader del Congresso che l’unica ipotesi realizzabile è quella di droni senza pilota.

Allo stesso tempo sul tavolo dell’amministrazione Obama allo studio strategie alternative per fronteggiare la crisi come quella di un nuovo governo iracheno senza Nouri al-Maliki, nella convinzione che il premier sciita non possa guidare la riconciliazione con la minoranza sunnita e tentare di stabilizzare la situazione ormai precipitata. Una politica del doppio binario che da una parte non esclude eventuali raid ma dall’altra sceglie il pressing su al-Maliki affinché ceda il potere ad un governo di unità nazionale.

Anche se ovviamente non vi sono conferme ufficiali del fatto che la Casa Bianca stia chiedendo le dimissioni di Maliki, viene invece confermato l’impegno per la ricerca di un governo di unità nazionale. Il vice presidente Joe Biden la scorsa notte ha parlato al telefono non solo con Maliki, ma anche con il suo avversario sunnita, il presidente del Parlamento Osama al Nujafi e con Masoud Barzani, presidente del Kurdistan iracheno, sottolineando a tutti la necessità di una risposta unitaria alle minacce dell’Isil.

L’Iran invece esclude una “cooperazione” con gli Usa per fronteggiare l’avanzata jihadista. “Una cooperazione tra Iran e Usa non ci sarà mai e non ha senso”, ha assicurato il capo di Stato maggiore delle forze armate della Repubblica islamica, il generale Hassan Firouzabadi.

Un parlamentare iracheno della coalizione che fa capo al premier Maliki, parlando con Aki-Adnkronos International, ha dichiarato che l’Iraq “non ha alcun bisogno di sostegno militare dall’estero, né da parte dell’Iran e né da parte degli Stati Uniti. Accogliamo invece con favore – ha detto Khaled al-Asadi, questo il suo nome – tutti gli iracheni volontari che stanno affluendo da tutto il Paese” per combattere contro gli estremisti sunniti.

Intanto, jihadisti e lealisti si continuano a dare battaglia sul terreno. L’esercito iracheno ha annunciato sulla tv di stato di tenere sotto controllo la raffineria di petrolio di Baiji, da giorni sotto l’assedio dei militanti dell’Isil. L’impianto, ha riferito, il portavoce è completamente sotto il controllo delle forze governative, che hanno “bloccato tutti i tentativi dei terroristi di colpirla”. In precedenza, anche il vice premier con delega all’Energia, Hussain al-Shahristani, aveva smentito che la raffineria fosse mai finito sotto il controllo dei jihadisti, come invece affermavano alcuni media locali e arabi. Fonti locali hanno riferito all’agenzia Dpa che tutti i lavoratori iracheni della raffineria sono stati evacuati dalla struttura, dopo che nei giorni scorsi erano già stati allontanati i lavoratori stranieri.

Secondo Giuseppe Solinas, inviato di RaiNews24 in Iraq, testimoni oculari avrebbero tuttavia riferito di fiamme visibili dalla raffineria di Baiji. Altre fonti avrebbero riferito di violenze diffuse contro i cristiani, con la distruzione di chiese e uccisione di civili.

Offensiva delle forze armate anche nella provincia di Diyala dove sono state bombardate le postazioni dell’Isil: 18 jihadisti sono stati uccisi mentre diversi sono stati feriti. In precedenza, altri tre jihadisti sono morti e quattro sono rimasti feriti negli scontri con i peshmerga curdi scoppiati nella città di Jalawla. L’attacco con l’artiglieria ad opera delle forze di sicurezza curde ha spinto l’Isil a ritirarsi dai quartieri meridionali di Jalawla, 130 chilometri a nord-est di Baghdad. Tutto questo mentre a Baghdad due poliziotti sono rimasti uccisi e due feriti nell’esplosione di un’autobomba nel quartiere sciita meridionale di al-Jadeeda.

Quanto all’evacuazione in atto in alcune delle principali compagnie petrolifere occidentali, il presidente dell’Eni Emma Marcegaglia ha detto che “per il momento manteniamo le nostre persone. La situazione in Iraq è complessa ma il punto peggiore è lontano dai nostri impianti. Non abbiamo ritirato nessuno. Teniamo – ha ggiunto – la situazione sotto controllo”.

Ultimo aggiornamento 19/06/2014, ore 17.14 | (Adnkronos)