Giorgio Faletti, un ricordo senza fronzoli del poliedrico autore astigiano. Ci mancherà

Davide Cantire rivolge il pensiero alla propria personale esperienza sulla vita artistica dello scrittore mancato oggi a 63 anni. Una folgorazione letteraria dal sapore internazionale

Non ho memoria di Drive-In, in onda dal 1983 al 1988 né quindi di “Minchia, signor tenente!”, di Vito Catozzo, Carlino, il Cabarettista Mascherato, suor Daliso o Poldo, o degli altri personaggi che resero celebre Giorgio Faletti come comico e cabarettista.

Il mio primo “incontro” con lui lo ebbi nel Natale del 2002, quando i miei genitori, consapevoli del mio amore per la lettura e consci del fatto che consumare libri fosse più salutare dei videogiochi, non esitarono a regalarmi quello che allora era il romanzo in cima alle classifiche italiane: “Io uccido”.

Non lo divorai tutto d’un fiato, come si dice di solito, anche per colpa dell’esitazione che ho di solito nell’approcciarmi a un nuovo scrittore, uno che non avevo mai sentito nominare (al contrario ovviamente di chi mi aveva regalato il libro, una vera e propria scommessa da parte loro). Iniziato a leggere, le prime pagine furono folgoranti: si parlava, con la perizia che solo un appassionato può possedere, del Gran Premio di F1 di Montecarlo, dove era ambientata la storia fittizia. Non mi staccai più dalla storia.

Lo stile di Faletti non era quello dei tipici scrittori italiani, ovvero pomposo, impegnato e pedante a cui ero abituato ai tempi delle scuole medie (perdonatemi…): possedeva un respiro ampio, internazionale, molto più vicino al classico thriller americano che non al giallo italiano. Non a caso la sua fortuna oltre Atlantico arrivò anche grazie alle parole del celebre Jeffrey Deaver, che dello scrittore rubato alle scene disse: “Uno come Giorgio in America si dice “larger than life”, uno da leggenda”.

Detto questo, “Io uccido” rimane un valido esempio di come la nostra letteratura possa spogliarsi della pesantezza tutta europea che la contraddistingue e raggiungere le sponde commerciali più vaste pur mantenendo la propria aura di autorialità. Faletti strizza più e più volte l’occhio al cinema, data la struttura del suo romanzo e l’uso sapiente delle descrizioni, che spesso ricordano l’indugiare della macchina da presa sui protagonisti di una scena.

Abbandonata Montecarlo, le vicende del suo secondo romanzo si svolgono tra Roma e New York: in “Niente di vero tranne gli occhi” si ripete l’alchimia tra lettore e protagonista della storia e lo stile di Faletti acquista sempre più solidità, raggiunta definitivamente col suo terzo romanzo, “Fuori da un evidente destino”. Se la confidenza con la forma delle “short stories” non è delle migliori (come testimonia la raccolta “Pochi inutili nascondigli”), quella col più tradizionale “novel” americano continua a produrre buoni risultati: “Io sono Dio” e “Appunti di un venditore di donne” ottengono larghi consensi di critica (soprattutto internazionale) e pubblico.

Un altro episodio della carriera di Giorgio Faletti che ha unito non solo me, ma credo milioni di liceali italiani, è la sua interpretazione del “bastardo” professor Antonio Martinelli in “Notte prima degli esami” di Fausto Brizzi (2006). Una figura emblematica della sua personalità: l’unione tra la sua passione per la musica e quella per la letteratura (nel film è il professore di Lettere). Il film gli valse anche la candidatura ai David di Donatello e ai Globi d’oro come miglior attore non protagonista.

Ciao Giorgio.

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