Il giovane palestinese ucciso è stato bruciato vivo. Nuovi scontri a Gerusalemme Est, crescono i dubbi su matrice omicidio

Secondo i primi risultati dell’autopsia, il  sedicenne è rimasto vittima di un atto brutale che però non rientra in alcun precedente schema di rappresaglia dei coloni, seppure feroce. La modalità dell’assassinio aprirebbe nuovi scenari di indagine e potrebbe non essere un atto di vendetta per la morte di tre ragazzi israeliani rapiti a Hebron. Alta tensione dopo i funerali del ragazzo, militanti palestinesi hanno lanciato pietre e bottiglie molotov contro la polizia

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Il procuratore generale palestinese, Mohammed al-A’wewy, ha anticipato all’agenzia di stampa Wafa che Mohammad Abu Khdair, il giovane palestinese di 16 anni trovato ucciso mercoledì scorso alla periferia di Gerusalemme, è morto a causa delle ustioni riportate nell’aggressione. ”Le cause del decesso sono state le ustioni”, ha detto al-A’wewy. Ossia è stato bruciato vivo.

Inizialmente l’atto – definito “abominevole” dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu – è stato considerato un atto di feroce rappresaglia per la morte di tre ragazzi israeliani rapiti a Hebron, Naftali Frenkel, Gilad Shaar ed Eyal Yifrach, ma la dinamica dell’assassinio riapre ogni scenario alternativo, compresi alcuni che sono molto lontani da quella iniziale.

Davide Frattini, sul Corriere della Sera, ha citato l’imam della moschea frequentata dal povero ragazzo. “Mi hanno detto che pensano a una lite all’interno del clan, a questioni di onoreha dichiarato il clerico islamico aggiungendo:  “non è possibile, l’ultima disputa tra cugini è stata due anni fa e sono stato io a mediare la riconciliazione“. L’ammissione che potrebbero esserci circostanze diverse da quelle propalate con troppa facilità. 

Infatti le autorità inquirenti israeliane non sono ancora certe sulle circostanze della morte del ragazzo. Alcune indiscrezioni – che però al momento è difficile verificare (quindi le riferiamo con l’avviso di prenderle con beneficio d’inventario) – addirittura sostengono che Mohammad Abu Khdair, sarebbe rimasto vittima di un assassinio di onore, maturato all’interno delle dinamiche di clan, in quanto omosessuale. Una circostanza – lo ripetiamo – tutta da verificare e l’aggettivo usato da Netanyahu – “abominevole” – potrebbe anche rientrare in un abbozzo di qualificazione dell’omicidio in un ambito ben preciso. 

I medici israeliani hanno condotto l’autopsia insieme al direttore dell’Istituto forense palestinese, Saber al-Aloul, e hanno riscontrato che i ragazzo aveva riportato ustioni sul 90 per cento del corpo, oltre che un trauma cranico. Dopo i funerali, svoltisi venerdì scorso, centinaia di giovani palestinesi si sono scontrati con le forze di sicurezza israeliane, fino a tarda notte, lanciando pietre e bottiglie molotov contro i mezzi israeliani e attaccando perfino furgoni commerciali civili, solo per il fatto di essere israeliani

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Nel frattempo, il movimento libanese sciita Hezbollah ha lanciato un appello a favore di una campagna di solidarietà con il popolo palestinese, chiedendo a tutti gli Stati arabi di intervenire per sostenere i palestinesi. “Dobbiamo stare dalla parte del popolo palestinese e fornire qualsiasi tipo di sostegno alla sua battaglia nella quale si difendono dal pericolo sionista“, recita un comunicato del movimento sciita libanese, in cui si condanna il “silenzio sorprendente del mondo arabo e del monto intero“. Un silenzio che non c’è stato in Occidente – tutt’altro – e che gli arabi potrebbero aver mantenuto per non incorrere in un errore politico gravissimo, visto le reali motivazioni dell’assassinio del giovane palestinese (di cui i vari agenti degli efficienti servizi di informazione dei Paesi arabi avranno già piena contezza).

Tuttavia, si può fare una riflessione più generale, confrontando le reazioni degli israeliani e quelle dei palestinesi di fronte a due crimini orrendi, come l’assassinio di giovani inermi. Mentre da parte israeliana si è reagito con sdegno, dolore, costernazione, esecrazione all’assassinio e all’occultamento dei cadaveri di Naftali Frenkel, Gilad Shaar ed Eyal Yifrach, ma senza incedere in reazioni di rappresaglia generale (lo affermiamo nella convinzione che l’assassinio del sedicenne palestinese non sia un atto barbaro di vendetta da parte di israeliani: se lo fosse, gli autori meritano il doppio della pena); al contrario, da parte palestinese abbiamo assistito a reazioni di una violenza inaudita, incomprensibili se non nel quadro di una mossa diversiva volta a sfruttare la piazza per nascondere la verità. 

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