Liberman, ministro degli Esteri di Israele: rovesciare Hamas e affidare Gaza all’ONU nella fase transitoria
Per proteggere la popolazione civile di Gaza, che sta pagando un tributo pesantissimo a causa della criminale condotta di Hamas, Liberman ha proposto che l’amministrazione di Gaza venga assunta provvisoriamente dalle Nazioni Unite, prima di riconsegnarla alla potestà dell’Autorità Nazionale Palestinese. Per la smilitarizzazione di Hamas Israele avrebbe il sostegno di più Stati della regione. Egitto in primis, Arabia Saudita in secundis…
Tel Aviv – Ballon d’essai o proposta seria? Lo vedremo nelle prossime ore o nei prossimi giorni, ma di fatto il ministro degli Esteri di Israele oggi ha lanciato un’idea che potrebbe essere rivoluzionaria sullo status quo di Gaza, dove Hamas governa l’enclave palestinese sotto la dittatura della sharia, dopo la vittoria delle elezioni amministrative del 2006 e la successiva eliminazione fisica dell’opposizione costituita da al-Fatah, la fazione più importante dell’OLP.
Parlando alla commissione Esteri e Difesa della Knesset, il Parlamento monocamerale di Israele, Liberman ha proposto di chiedere alle Nazioni Unite di assumere l’amministrazione straordinaria di Gaza nel periodo transitorio e fino al ritorno del governo dell’Autorità Nazionale Palestinese sulla Striscia. Il presupposto sarebbe il rovesciamento di Hamas e la sua smilitarizzazione.
La proposta del ministro degli Esteri israeliano sarebbe fondata su alcuni precedenti recenti. “Un’idea è un mandato internazionale delle Nazioni Unite. Un mandato ONU non è parte solo della storia della terra di Israele, ne abbiamo visti altri casi anche di recente diverse volte, per esempio nei casi di Timor Est e del Kosovo. Abbiamo visto mandati che il mandato delle Nazioni Unite ha funzionato e (i funzionari delle NU, ndr) non hanno lavorato male. E quindi, anche qui, dobbiamo considerare di restituire il controllo di Gaza alle Nazioni Unite. Io certamente non escludo questa possibilità”, ha detto Liberman che è considerato un super-falco.
Su tale dichiarazione, Raphael Ahren, giornalista del quotidiano Times of Israel, ha avuto uno scambio di tweet con qualcuno al desk di Yisrael Beytenu, il partito politico di cui è cofondatore Liberman. Ahren ha chiesto: “Così questa proposta è una battuta per i media o è una proposta seria? E se accettano, Avigdor Liberman è d’accordo?” La risposta è stata: “Se è stato detto allora deve essere una seria considerazione possibile, con tutte le sue conseguenze”.
FM @AvigdorLiberman says Kosovo & East Timor are good examples of @UN mandates. “They worked not bad,” he says. Considers the same for #Gaza
— Raphael Ahren (@RaphaelAhren) 4 Agosto 2014
Dal sito del partito di Liberman poi è arrivata una ulteriore precisazione. L’idea sarebbe stata lanciata a mo’ di sfida alla Comunità Internazionale, così da poter valutare la reazione dei leader mondiali. Sulla base della risposta, allora Israele avrebbe la percezione di quale sia l’approccio costruttivo alla soluzione del problema, che non sono “i palestinesi”, ma è Hamas.
L’obiettivo infatti è quello si rendere inoffensivo Hamas. Secondo fonti anonime delle IDF, la smilitarizzazione del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) è vicina, ma poi si aprirà la fase successiva: come impedirne di nuovo il riarmo. Su questo la fonte delle IDF ha precisato che Israele è già d’accordo con uno Stato della Regione (Egitto, ovviamente, ndr) e anche altri Stati arabi, che temono l’insorgenza fondamentalista quanto – se non di più – di Israele, come una minaccia all’equilibrio di tutto il Medio Oriente. Tra questi Stati arabi c’è sicuramente l’Arabia Saudita, dove dietro l’apparente immobilità del regime cova probabilmente il fuoco del realismo.
Intanto fonti palestinesi hanno confermato che Hamas e Jihad Islamico hanno proposto una tregua umanitaria di 72 ore dalle ore 8 (locali) di domani mattina, martedì 5 agosto, per permettere la continuazione dei colloqui in Egitto. Colloqui cui non partecipa Israele, perché non ritiene di concordare con Hamas e Jihad Islamico clausole che vengono puntualmente violate dagli stessi miliziani islamisti. Gli interessi israeliani sono – per apparente paradosso – rappresentati dai negoziatori egiziani, che agiscono su mandato del presidente Abd al-Fattāḥ al-Sīsī, vero play maker della crisi e nemico giurato di Hamas e dei Fratelli Musulmani.
Le richieste dei palestinesi vertono su: cessate il fuoco, ritiro delle truppe israeliane da Gaza; fine dell’assedio di Gaza, apertura dei valichi di frontiera, diritti di pesca fino a 12 miglia nautiche al largo della costa di Gaza e la liberazione dei prigionieri palestinesi. Difficile che Israele apra i valichi senza attuare un rigido controllo delle merci in entrata, così come è difficile che le truppe israeliane si allontanino dai confini di Gaza, per impedire un nuovo riarmo di Hamas.
Ma la tregua potrebbe servire anche a far affluire aiuti umanitari e, con l’occasione, anche agenti dei servizi segreti egiziani, in grado di agire sulla popolazione per allontanarla in modo definitivo da Hamas con una forza – anche militare – diversa da quella che avevano i funzionari di al-Fatah trucidati nel 2007.
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