Le donne della brigata assassina al servizio del “califfo” tra Corano e AK47, sognando la prima linea e il martirio

Oltre duecento donne combattenti del jihad e provenienti da 14 paesi. Rappresentano il 15% della forza combattente dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, dopo aver lasciato università, lavoro e famiglia per combattere contro i “kafirun”, i miscredenti, ossia chi non si piega all’applicazione più rigida della shara. Ma molte chiedono di esercitare un ruolo di primo piano…

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Londra – Duecento jihadiste, forse di più. Arrivano da 14 paesi e rappresentano il 15% delle reclute. Sono le donne dell’autoproclamato “califfato”, le guerriere su cui il leader del cosiddetto Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, Abu Bakr al-Baghdadi, può contare nella sua battaglia contro i “miscredenti”. Hanno lasciato università, lavoro e famiglia per andare in Siria e Iraq e combattere sotto le insegne nere dei jihadisti che intendono islamizzare il mondo. Nello Stato sognato dal sedicente califfo, ulteriore episodio della serie “efferati criminali dalla cronaca alla Storia”, queste donno non si accontentano di un ruolo marginale, vogliono essere protagoniste, vogliono andare a combarre sulla linea del fronte.

Vengono dall’Europa, in gran parte da Gran Bretagna e Francia, in Paesi che hanno dato alle loro famiglie di origine accoglienza e rispetto, diritti e integrazione, ma che sono pronte a punire con una sventagliata di mistra o facendosi esplodere in un attacco kamikaze.

Oggi a Lione sono state arrestate cinque persone, con l’accusa di aver formato una cellula di reclutamento per ragazze destinate ad ingrossare le fila dei jihadisti dell’Isil in Siria, come ha spiegato il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve. Non tutte però vengono fermate dalle forze di polizia dei Paesi d’origine, perché riescono a sfuggire ai controlli elevati da qualche settimana in tutto il mondo contro la barbarie salafita.

La presenza di donne reclutate per il jihad (la guerra santa) non è una novità. Già al-Qaeda – la “casa madre” del jihadismo neo-califfale, secondo le volontà espresse da Osama bin Laden nella Dichiarazione di Guerra all’America e agli altri Paesi Occidentali del 23 agosto 1996 (Ladenese Espistles 1 – 2 – 3) – conta da tempo su un gruppo nutrito e convinto di mujahidat, ossia di “combattenti (donne) per il jihad, equivalente femminile dei mujāhidin. La novità consiste invence nell’arruolamento di massa, per assolvere a un ruolo ausiliario, di “commissariato” – si potrebbe dire con le categorie militari occidentali e statuali – come moglie, madre (fattrice di mujāhidin), angelo del focolare del combattente per imporre l’islam ai miscredenti, con le buone o, più spesso, con le cattive. 

20140917-Veryan-Khan-trac-312x207Modello casalinga anni ’50”, secondo Veryan Khan (nella foto a sinistra), analista del Terrorism Research and Analysis Consortium (Trac), un centro di analisi statunitense che vende informazioni e prospettiva dietro una sostanziosa fee di ingresso. Alcune di queste donne non accettano un ruolo di comprimarie.

Come Aqsa Mahmood, ex studentessa di Glasgow (nella foto in basso) che lo scorso anno ha lasciato la famiglia e l’università per recarsi in Siria. Oggi Aqsa ha sposato un combattente dell’Is e scrive su un blog con il nome di Umm Layth dove fornisce consigli alle ragazze che come lei vogliono unirsi alla ‘guerra santa’: “Portatevi le pallottole, scarponi robusti e una giacca calda” sono alcune delle sue dritte. Aqsa – per la disperazione del padre Muzaffar e della madre Khalida – ha l’ambizione di combattere al fronte, ma al momento ha raccolto più che altro delusioni. “Sarò sincera con tutte voi – scrive – non c’è 20140906-aqsa-glasgow-2-312x207nessun ruolo per le sorelle che vogliono partecipare al ‘qitaal’ (il combattimento del jihad, ndr). Per le sorelle è assolutamente impossibile. Se Dio vuole in futuro”. Insomma, dio vede e provvede…

Non manca in alcune delle aspiranti jihadiste la smania di dimostrarsi all’altezza dei criminali più efferati dell’Isil. Così lanciano la sfida agli uomini sul piano della violenza e dell’orrore. Due giorni fa una giovane studentessa di medicina britannica, che dice di chiamarsi Mujahidah Bint Osama, ha pubblicato una foto su Twitter in cui appare con in mano la testa mozzata di un uomo alla presenza di due bambini: una foto orripilante in sé.

Questa ambizione trova a volte il ‘giusto’ riconoscimento. Di recente l’Isil ha formato un battaglione di 60 ragazze tutte sotto i 25 anni, tra le quali anche britanniche, che ha due compiti principali: presidiare i checkpoint e controllare che i costumi delle donne di Raqqa, nella Siria settentrionale, siano rispettosi dei precetti dell’Islam. La milizia di sole donne, chiamata al-Khanssaa, ha il compito di verificare che i comportamenti delle siriane siano conformi a un’interpretazione tradizionalista della sharia e soprattutto che non ci sia un’interazione ‘indebita’ tra uomini e donne.

Poco si conosce invece del ruolo della donna che è più vicina al califfo al-Baghdadi, la moglie Saja Hamid al Dulaimi, della quale girano sul web alcune immagini. Si sa – per voce di un leader del Fronte al-Nusra – che fosse tra le detenute scarcerate dal regime siriano in cambio del rilascio delle suore di Maulula. È vedova di Falleh Ismail Jassem, un jihadista ucciso ad Anbar nel 2010 e la sorella Duaa avrebbe partecipato ad un attacco suicida ad Erbil. Niente altro. Nemmeno voci su un suo eventuale ruolo di primo piano nella leadership del califfato. 

Insomma, le mezzelunette dell’orrore e della barbarie, contro cui il Mondo libero e civile ha il dovere di combattere, cercando di non odiare questo nemico efferato.

(Credit: Adnkronos)