Il voto in Scozia cambia comunque l’Europa e può portare le istituzioni comuni alla piena democrazia

Comunque vada, il voto scozzese per l’indipendenza dal Regno Unito mostra, in modo incontrovertibile, l’intima interconnessione esistente (e non più revocabile) tra le diverse “province” del Continente. Riallacciare i nodi interrotti nel 2005 verso la Costituzione degli Stati Uniti d’Europa, con la Gran Bretagna inserita a pieno titolo nella Comune Casa europea

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Comunque vada il voto in Scozia, oggi è una giornata storica. Il 18 settembre 2014 sarà un giorno citato sui libri di storia, in questa Europa assonnata sulle proprie comodità claudicanti e miope sui valori comuni che ne legano le sorti dal Polo Nord a Lampedusa

Il 18 Settembre 2014 come il 10 Luglio 1943, come il 6 Giugno 1944, come l’8 Maggio 1945, come l’11 Settembre 2001. Un gate tra presente e futuro.

La “nostra” Scozia vota oggi – celebrando l’esercizio massimo della democrazia moderna, inventata dagli inglesi – per decidere se separare il proprio destino da quello del Regno Unito, di cui è parte importante, coessenziale, da 307 anni, da quell’Act of Union che – attraverso un trattato internazionale firmato dai Parlamenti di Scozia e Inghilterra – fece cessare l’Inghilterra e la Scozia come stati sovrani e costituì un nuovo Stato: la Gran Bretagna, nata il 1° Maggio 1707.

Lunedì scorso, 15 settembre, lo storico e giornalista Niall Ferguson – scozzese di Glasgow fino al midollo e altrettanto britannico: come si conviene a ogni highlander cosmopolita che viene da quella terra magica – ha argomentato sul “Corriere della Sera” la propria contrarietà all’indipendenza della Scozia: in modo appassionato, ha descritto con parole incisive il legame indissolubile tra il suo Paese e la sua Nazione. Il giorno dopo, Enrico Letta sulle stesse colonne ha ammonito – con toni più istituzionali e timidi – sulle conseguenze di una rottura della Gran Bretagna e i potenziali effetti sull’Europa. Entrambi hanno interpretato, in modi diversi, lo spirito europeo alimentato dalla Croce di Sant’Andrea che campeggia sulla bandiera scozzese.

Nel corso del XX Secolo, gli scozzesi hanno combattuto per la libertà: per liberare l’Europa dal demone nazifascista, per difendere il Continente dal totalitarismo comunista.

All’alba del XXI Secolo, le truppe scozzesi e il suono delle cornamuse costituiscono una parte importante dell’apparato occidentale che difende la libertà del mondo dal totalitarismo islamista e dal jihad. Il motto delle Scots Guards è “Nemo me impune lacessit” (Nessuno mi assale impunemente). Significativo.

La battaglia di El Alamein del 1942 fu il luogo in cui – seppure da fronti disgraziatamente (per l’Italia) opposti – si gettò il seme della comune appartenenza alla Casa Comune europea: i fanti della 154^ Brigata Scozzese tributarono l’onore delle armi ai valorosi paracadutisti italiani della “Folgore”, che avevano dato filo da torcere ai britannici. Ma oggi è diverso: non c’è oggi operazioni militare in cui italiani e britannici non siano schierati dalla stessa parte, spesso con un coinvolgimento etico maggiore di quello dei rispettivi governi (influenzati dalle transitorie dialettiche politiche).

Sicché – con un salto storico che ci porta alla cronaca odierna – il voto scozzese è oggi uno spartiacque: può cambiare le sorti dell’Europa, non solo quelle del Regno Unito. Un cambiamento che la classe dirigente e politica europea – dal circolo polare artico a Lampedusa – dovrebbe interpretare in modo coerente con lo spirito del tempo, riallineando il comune destino degli europei con la storia del processo politico di integrazione dell’Europa.

Se a Edimburgo vincesse il “Sì” all’indipendenza, domani le piazze finanziarie di Londra subirebbero un terremoto: la Royal Bank of Scotland già programma di trasferirsi a Londra. I produttori di whisky subiranno le conseguenze dell’uscita dal mercato comune dell’Unione Europea e dovrebbero spingere per un’adesione velocissima all’Efta (con Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), sperando in un non boicottaggio dell’UE per accordi futuri. Resta esclusa – in modo categorico – l’adesione all’Unione Europea, che oggi necessita dell’unanimità degli Stati membri.

La “Gran Bretagnetta” sopravvissuta alla separazione dalla Scozia, il Belgio, la Spagna, l’Italia e la Francia non voteranno mai a favore dell’ingresso della Scozia come 29° Stato dell’Unione, perché sarebbe il modo per dare la stura ai rigurgiti indipendentisti (del tutto infondati e velleitari, libri di storia in una mano e analisi geopolitica contemporanea nell’altra) che provengono da Fiandre, Catalogna, Paesi Baschi, Sardegna e Sicilia, Bretagna, solo per citarne alcuni.

Tuttavia, il voto scozzese avrà una valenza storica anche se vincesse il “No” all’indipendenza e alla rottura dell’Unione con l’Inghilterra, che vive dal 1707.

Il vero nodo gordiano delle istituzioni politiche europee contemporanee è rendere più efficace ed efficiente l’articolazione dei rapporti tra “regioni” periferiche e istituzioni intergovernative continentali, tra enti locali e Unione Europa, con lo Stato nazionale europeo in una posizione mediana e vivente l’ultimo stadio della propria vita (almeno come la conosciamo dalla Pace di Westfalia del 1648).

Non è un caso che il fenomeno della spinta al frazionamento, e della fuga localistica senza speranza di sopravvivenza, emerga proprio nel corso di una guerra mondiale transnazionale, quella contro il jihad neo-califfale.

Nei campi di battaglia – tradizionali della piana di Ninive come potenziali e “nuovi” della brughiera scozzese, passando per porti, stazioni, metropolitane e aeroporti occidentali – la battaglia vede contrapposti gli eserciti e le società fondate sul “vecchio” modello di organizzazione politica e un nuovo “Stato” – il Califfato – che forze transnazionali hanno in mente di erigere e proclamare con il fine di sottomettere gli “infedeli” e unificare il mondo in una Umma Globale retta dalla sharia (la legge coranica).

Mentre la forza degli indipendentismi correnti e pletorici si poggia sugli strumenti e sui valori della democrazia occidentale, la forza del jihad transnazionale – che attraversa perfino le nostre società – risiede nella comune appartenenza a una fede religiosa, anzi a una versione fondamentalista, radicale, rivoluzionaria (nel senso di ritornante verso l’origine, la vera interpretazione, la verità) dell’islam.

Il nostro auspicio è che il 18 settembre 2014 sia per l’Europa – e per il processo di integrazione europea – il “giorno della grande paura superata”, la “rivolta di Shays” del XXI secolo, il tornante per riprendere il filo interrotto della costituzionalizzazione dell’Europa.

Il Continente è interconnesso in tutti i propri gangli vitali, non può reggere una frammentazione che aprirebbe scenari di intervento di uno o più Stati che pensassero, da soli, di “ordinare il caos”. Come i contadini di Shays spinsero nel XVIII Secolo le migliori menti nordamericane a razionalizzare l’articolazione istituzionale tra governo comune e istanze statali e regionali, attraverso la Costituzione degli Stati Uniti d’America (di cui ieri, 17 settembre, si è celebrato il 227° anniversario della firma), oggi il voto scozzese può rendere evidente la realtà di una vita comune europea che non può fare a meno di ogni sua parte. Soprattutto non può fare a meno della Gran Bretagna, così come Londra non può fare a meno di Palermo, Bilbao, Gent.

L’inversione delle spinte euro-centrifughe in Gran Bretagna è il passo fondamentale per riallacciare il filo del discorso costituzionale interrotto con la bocciatura della Costituzione Europea da parte di Francia e Olanda nel 2005.

Se questo non avverrà, la classe politica europea fallirà in modo duplice: anzitutto mancherà l’appuntamento con la Storia, per riportare l’itinerario istituzionale europeo nel solco tracciato dai Padri Fondatori (che all’America guardavano senza esitazione); ma, circostanza più grave, mancherà di esercitare il ruolo pedagogico di guida morale delle proprie comunità, cavalcando tigri di carta (gli indipendentismi regionali) che non hanno la speranza di resistere al primo attentato jihadista in una piazza, quale che sia, da sole, confinate nei ricordi di una storia che non tornerà mai più.

Un “Sì” all’indipendenza scozzese significherà mettere in ginocchio il processo di integrazione europea. Il “No” sarà in apparenza una scelta di mantenimento dello status quo: neanche il Regno Unito, da solo, può reggere la globalizzazione, ha bisogno di un “Impero” che le assicuri pace e stabilità. E questo impero si chiama Stati Uniti d’Europa, che senza Gran Bretagna sarebbe uno stato-federale-incompleto, monco.

In realtà, da oggi tutto può cambiare e la nostra vita futura è nelle mani dei nostri “compatrioti” scozzesi, del Paese che ha donato al mondo – tra gli altri – Adamo Smith, David Hume, Niall Ferguson.

Dio benedica la Scozia e ispiri gli scozzesi.

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