Mosul, i jihadisti dell’Isil come i nazisti con gli ebrei: vietato ai cristiani andare a scuola

Lo denuncia ad AsiaNews l’arcivescovo, monsignor Nona, che lancia il pericolo di una “generazione non istruita”. Le scuole, trasformate in centri di accoglienza, non possono ospitare le lezioni. La Chiesa lotta contro il tempo per trovare alloggi, ma solo una minima parte degli istituti potrà riprendere le attività. In città e nella piana di Ninive gli abitanti sempre più ostili alle milizie islamiste, il 98% vuole “la loro cacciata”

20140919-iraq-rifugiati_cristiani_erbil-mod-655x403

Ankawa – Dall’Iraq arrivano notizie che rendono sempre più evidente il paragone tra i nazisti e i jihadisti dell’Isil. Così come i seguaci del fuhrer privarono gli ebrei di ogni diritto, perfino quello di andare a scuola, i secondi – interpreti dell’islam letterale e promotori di un totalitarismo liberticida che minaccia la pace e la stabilità mondiale – attuano la stessa strategia verso i cristiani, con l’intento di spingerli alla conversione.

Per la prima volta nella loro storia, i cristiani iracheni – che da sempre “mantengono un grado elevato di istruzione” nella regione – sono privati del diritto allo studio e non potranno frequentare le scuole. Un ulteriore atto criminale e un pericolo per la sopravvivenza della minoranza, non solo in Iraq ma in tutto il Medio Oriente, perché è alto il rischio di vedere crescere “una generazione non istruita” e questo è un “segnale estremamente negativo“.

A lanciare l’allarme è monsignor Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, secondo centro per importanza del Paese e prima città a cadere nelle mani dei jihadisti dell’Isil. Interpellato da AsiaNews, il presule ha confermato che “al momento tanto fra le famiglie dei profughi“, quanto “per i bambini che vivono nelle zone cristianeè impossibile iniziare l’anno scolastico. “Le circa 700 scuole sparse fra Erbil, Ankawa e Zakkho – ha spiegato Nona – ospitano gli sfollati e sono piene. In altre aree, non cristiane, le lezioni sono cominciate, ma non qui“. Il problema è vivo anche nelle zone occupate dal sedicente califfato islamico, dove è cambiato il curriculum degli studi, improntato all’islam e al Corano.

Monsignor Nona è stato il primo a lanciare l’allarme sul pericolo dell’avanzata islamista dopo la conquista di Mosul, dove circa 500mila persone – cristiani e musulmani – sono fuggite a inizio giugno per non doversi convertire all’islam e dove è stato fondato un “califfato” e imposta la sharia. In città e nelle zone della piana di Ninive sotto il controllo dell’Isil le scuole hanno riaperto i battenti. Tuttavia, dietro direttiva dei loro leader, il programma scolastico è cambiato, con la cancellazione della storia, della geografia e della letteratura e l’introduzione dell’arabo coranico, della religione musulmana. Inoltre, è stato vietato di identificare l’Iraq e la Siria con le loro denominazioni ufficiali, perché esiste solo il “Califfato”, che riunisce le province della Siria e dell’Iraq già territori dell’Impero Ottomano.

Un insegnante di matematica e arabo delle elementari di Mosul ha dichiarato: “siamo nel 2014, ma sembra di essere tornati indietro di 14 secoli“. Il 95% dei 2.450 istituti della zona – Mosul e piana di Ninive – sono nelle mani degli islamisti, che vietano classi miste e hanno chiuso la facoltà di Legge, perché “il diritto convenzionale non è più in vigore“: esiste solo la sharia, la legge coranica.

Norme rigide, imposte con la forza, che creano sempre maggiore insofferenza fra la popolazione. Se in un primo momento la gente li considerava liberatori verso un governo centrale (dell’ex premier sciita al Maliki) visto come oppressore, oggi il 98% della gente – secondo quanto riferisce un docente universitario di Mosul – “vorrebbe vederli cacciati al più presto“. 

L’arcivescovo di Mosul, anch’egli rifugiato ad Ankawa, nel Kurdistan iracheno, non può confermare in prima persona questo cambio radicale di atteggiamento verso l’Isisl e lo stravolgimento del programma scolastico a opera dei miliziani; egli aggiunge però di “aver sentito queste voci” e vi sono buone probabilità che “siano vere“. In città vi sono ancora alcuni cristiani, ma “sono pochissimi“, vivono “isolati” e “sono in pericolo” perché “può succedere loro di tutto“.  

Monsignor Nona ha chiesto alle comunità cristiane di pregare perché la situazione col tempo “diventa sempre più drammatica”, in particolare con l’arrivo dell’inverno. Anche l’interruzione del percorso di studi per i giovani cristiani rappresenta un grave problema, perché blocca di fatto lo sviluppo di una intera generazione di cristiani iracheni, che in passato si sono sempre distinti per il loro livello culturale e il grado di scolarizzazione. “È un elemento negativissimo” e “molto pericoloso”, ha sottolineato Nona.

Nella storia della comunità l’educazione ha sempre rappresentato un tassello “importante per noi“, ha aggiunto, e come Chiesa “stiamo cerando di affittare il maggior numero di case possibili” per liberare le scuole e consentire la ripresa delle lezioni.

Tuttavia, l’operazione è “molto lenta, perché non è sempre possibile trovare case o alloggi disponibili“. In questi giorni “abbiamo preso in affitto un palazzo con 56 appartamenti – si conclude il colloquio di Nona con AsiaNews – che potrà accogliere tutte le famiglie che, in questo momento, si trovano ospitate in una scuola di Ankawa“.

Una sola su 11, aggiunge, mentre l’obiettivo è “liberarne almeno altre due o tre“.

(AsiaNews)