Contro la povertà il grido di Luigi Lo Cascio con le parole del poeta siciliano Ignazio Buttitta (2 video)
L’attore e regista palermitano in piazza Montecitorio si unisce alla campagna Miseria Ladra: “Finché gli ultimi rimarranno ultimi e i primi, sempre più pochi, rimarranno tali, non potremo dirci uomini”. E sottolinea: “Quando si offende la dignità anche di un solo uomo, è tutto il genere umano che viene umiliato”
Roma – Nella Giornata Mondiale per l’eliminazione della povertà, Luigi Lo Cascio si unisce a Libera e Gruppo Abele che a piazza Montecitorio hanno portato la campagna “Miseria Ladra” per dare voce alle vittime della crisi e a 10 milioni di italiani colpiti da povertà relativa e 6 milioni in condizione di povertà assoluta. E lo fa a modo suo, emozionato, recitando una poesia di Ignazio Buttitta del 1954 “Parru cu tia”.
“Finché gli ultimi rimarranno ultimi e i primi, sempre più pochi, rimarranno tali, non potremo dirci uomini. Quando si offende la dignità anche di un solo uomo, è tutto il genere umano che viene umiliato“, ha detto l’attore e regista siciliano. “Sono rimasto traumatizzato, pur non essendo una persona totalmente disattenta, dall’enormità dei dati diffusi da Libera e dal Gruppo Abele per Miseria Ladra: 10 milioni di italiani colpiti da povertà relativa e 6 milioni da povertà assoluta“, ha proseguito Lo Cascio.
Una situazione che “crea un paradosso: più questi zeri si aggiungono alla fine della cifra, più ci allontaniamo da queste persone che ci sembrano una massa indifferenziata senza nome che ricorda un po’ quella penisola galleggiante di rifiuti nell’oceano. Finché ci si illude che l’oceano sia grande – ha affermato ancora – può rimanere a galleggiare non vista e dimenticata finché non raggiungerà le coste di tutti“. “Queste cifre e questi numeri devono ridiventare persone, corpi, presenze e voci non solo da ascoltare, ma che esigono una risposta immediata“, ha continuato Lo Cascio.
“Parru cu tia”, di Ignazio Buttitta, recitata da Luigi Lo Cascio
“L’altro paradosso che ho notato leggendo la terribile diagnosi fatta dal Gruppo Abele – ha proseguito – è che le ricette proposte per combattere la povertà sono anche semplici e sensate. Io non sono un economista né un politico, ma trincerarsi dietro la risposta che siano cose difficili o impossibili da fare, come se la crisi in cui ci troviamo sia uno tsunami, una calamità naturale, è uno schiaffo alla dignità di tutti“.
Lo Cascio ha quindi recitato la poesia di Buttitta, non nascondendo l’emozione per aver ascoltato fino a quel momento le storie di chi vive la crisi e la povertà sulla propria pelle. Povertà “che è un’emorragia, un sud che dilaga, sterminate solitudini di cui dobbiamo farci carico tutti“, conclude l’attore.
“Parru cu tia”, di Ignazio Buttitta, recitata dall’autore
(Credit: Adnkronos)
Parru cu tia
Lingua originale Parru cu tia, Parru cu tia,
to è la curpa Parru cu tia, giarni comu malaria, Parru cu tia, Sfarda sta carnrnisazza arripizzata, tìncila e fanni un pezzu di bannera, Sfarda sta carninisazza arripizzata, |
Italiano “Parlo con te, tua è la colpa con te che tra la folla fai l’indifferente tra una fumata e l’altra di pipa che sembra ciminiera sotto la visiera del tuo berretto vecchio.
Parlo con te, tua è la colpa. Guardatelo che faccia! Di polpa sopra le ossa non c’è traccia gliel’ha succhiata il tarlo della fame e la levatrice gli diede in dono quel giorno che lo levò al mollame, pane e cipolla.
Parlo con te, tua è la colpa se porti la sella e non ti lamenti se il padrone serrando i denti col bastone e la cavezza ti ammorbidisce le corna e te le ti consuma i garretti ti dà pugni ai fianchi t’ammacca ossa e spalle ti sfrega i calli ti scortica le piaghe ti spolpa come un cane e sulla tua carogna sputa e ti svergogna.
Parlo con te, tua è la colpa. Ti dice il prete: (i beni del mondo sono falsi ché là soptra arriviamo e tutti uguali); e ti gli credi e abbassi la testa come una pecora pazza, e non ti accorgi che sotto l’abito talare c’è un otre per pancione e il sudicio imbroglio attizza il gioco della morra; e tu ci credi e dimentichi della tana e del buco dove butti le ossa; e i tuoi figli dentro quella fossa con le pance vuote e le braccine all’aria con le pance vuote, pallidi come se avessero la malaria, magri e smunti come le ombre appiccicate al muro, scheletri e pelli di tamburo; che desidererebbero essere farfalle per essere vestiti, agnelli per sentire tepore; e gatti e cani per spolpare ossa.
Parlo con te, tua è la colpa se la tua casa sembra una baracca di zingari consumati: la scopa negli angoli e bucce di patate, il focolare con la cenere, di creta la pentola, e tua moglie le ossa di pecora spolpata; i materassi pieni di crine d’agave e madre padre e figli tutti in un calderone; l’asino a vista d’occhio che piscia e fa schiuma gialla perché la stoppia nelle budelle sciacqua e marcia appesa come una pigna una zucca molliccia cola rosso d’uovo; e la fame piantata allo stipite della porta con gli artigli aperti e la boccaccia storta.
Strappa quella camicia rattoppata tingila e fanne un pezzo di bandiera entra nelle case dei poveri, scendi tra i carusi carcerati corri per stradoni e trazzere, chiama picciotti e vecchi lavoratori a giornata cerca nei fondachi e nelle grotte gli uomini persi, abbandonati e rotti gridagli con la voce di un leone “gente è arrivato il
Straccia questa camicia rattoppata tingila e fanne un pezzo di bandiera rossa come la tunica di Cristo per torcia il tuo braccio e il tuo polso ondeggiala ai venti a pugno chiuso: rossa era la tunica di Cristo!
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