Iraq, la testimonianza di due donne yazide in vendita per 10 dollari e riuscite a fuggire dai jihadisti dell’Isil

Le due donne, di 19 e 22 anni, sono riuscite a fuggire dalla cattività in cui le avevano costrette i miliziani dell’Isil. Due ragazze yazide di Messe in vendita per 10 dollari da Stato islamico in Iraq, due donne yazide raccontano fuga da schiavitù. L’eroico tentativo di alcuni notabili iracheni e curdi di liberare le ragazze sequestrate “comprandole” dall’Isil

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Erano state messe in vendita per dieci dollari, al mercato, dai jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) che le avevano rapite in Iraq. Ma due donne yazide, di 19 e 22 anni, sono riuscite a fuggire e a raccontare al sito Shafaq la loro storia. Una di loro, Amsha di 19 anni, è madre di un bambino che non ha ancora due anni ed è incinta, al quinto mese, mentre il marito è stato ucciso dall’Isil. La donna è stata rapita ad al-Qahtaniyah, nella provincia di Niniva, ed è riuscita a fuggire a Mosul, dove era in mano a un anziano dell’Isil che voleva portarla in Siria per venderla come schiava.

Non sono riuscita a scappare sulle montagne di Sinjar dove centinaia di migliaia di yazidi sono fuggiti dopo l’avanzata dell’Is. Ho visto con i miei occhi come uomini, anziani e donne vengono ridotti in schiavi, e anche bambini che non hanno più di 10 anni“, ha raccontato, escludendo che ci fossero “donne cristiane o turkmene nella sala” dove era detenuta con le altre “sequestrate“.

È stata un’esperienza terribile, ho visto ragazze yazide vendute per 10mila o 15mila dinari, l’equivalente di 10 dollari per notte, vendute più di una volta, stuprate più di una volta. In alcuni casi c’erano membri di organizzazioni di varie nazionalità che venivano, compravano yazide per 10mila o 15mila dinari iracheni e poi le vendevano in Siria e in altri Paesi per 200 dollari“, ha aggiunto, citando fatti precisi e sconvolgenti che non consentiranno ad alcuno di dire “io non sapevo”. Amsha ha raccontato anche di “donne costrette a convertirsi all’Islam e a sposare elementi dell’Is (Islamic State). Chi rifiutava veniva ridotto in schiavitù, e così anche i figli“, un crimine contro l’Umanità.

Doniya, 22 anni, è stata invece rapita nel villaggio di Kojo, 15 chilometri da Sinjar, sempre nella provincia di Niniva, nell’Iraq settentrionale. Insieme alle sue quattro sorelle è stata resa schiava da uomini dell’Is, in maggior parte iracheni, ma anche lei è riuscita a sfuggire dalle grinfie dei criminali che l’avevano rapita. “Le persone del villaggio sono state tenute in una scuola, gli uomini separati dalle donne. A queste veniva chiesto di consegnare telefoni, gioielli e soldi. Se non avevano niente venivano fatte schiave“, ha raccontato. Poi “ci hanno portate in auto all’Istituto di Tal Afar, e hanno chiesto di separare le vergini dalle donne sposate. Noi non volevamo separarci da nostra madre e quando qualcuno ha tentato di molestare mia sorella, un altro ha massacrato davanti a noi mia madre e mio fratello“.

20141019-is4il-wom3n-k16napp3d-400x233A quel punto, ha raccontato piangendo, “ci hanno portate in una casa di Mosul. Eravamo circa 500 yazide. Ci hanno detto di alzarci per decidere chi poteva essere data in sposa. Chi rifiutava veniva picchiata. Sono state prese soprattutto le vergini e non sappiamo dove siano state portate, ma qualcuna è tornata dopo essere stata violentata da jihadisti. Una di loro, aveva circa 15 anni, è stata stuprata da quattro uomini, ricordo ancora i segni delle percosse sul suo corpo“.

Di queste testimonianze sono piene – con estrema probabilità – le scrivania delle intelligence occidentali e dei Paesi che si sono schierati – ufficialmente o meno – contro l’Isil e il movimento jihadista globale. Anche il presidente degli Stati Uniti, il presidente francese, la cancelliera tedesca e il primo ministro britannico, così come il presidente del Consiglio italiano o il segretario generale della Nato avranno analoghi rapporti, a decine, sulle proprie scrivanie. Nella foto in alto, della testata irachena Shafaq, si vede un gruppo di ragazze sotto il tiro delle armi di un miliziano dell’Isil (a destra), ma anche di una donna armata di Kalashinkov. Donna contro donne, una barbarie ulteriore.

Eppure, ancora oggi, vige l’ipocrisia di non considerare quanto sta accadendo meritevole di un attacco militare massiccio volto a eradicare la mala pianta del jihadismo ed eliminare questa minaccia per il futuro del mondo. Si fa finta di non sapere, ma non lo si potrà affermare di fronte al tribunale della Storia, che condannerà senza appello queste esitazioni. 

Giorni fa, un anziano iracheno del Kurdistan ha dichiarato ai giornalisti occidentali che “questi miliziani non sono musulmani, sono efferati criminali. E – ha aggiunto – se fossero musulmani sono disposto a rinunciare alla mia religione se questo è il dettato islamico“. Una dichiarazione che andrebbe fatta leggere ai governanti occidentali e a chi continua a dire che quella in corso non è una guerra di religione. Per i jihadisti – dell’Isil e di ogni parte del mondo – lo è, anche se è una guerra che sta spaccando il mondo musulmano all’interno.

Lo dimostra il fatto che – secondo Shafaq – c’è stato un tentativo effettuato da kurdi e iracheni di salvare le ragazze yazide rapite dall’Isil, con una specie di stratagemma. Alcuni notabili locali avrebbero cercato di “comprare” delle donne dai miliziani dell’Isil, con il pretesto di voler sposare una donna yazida sequestrata. In realtà l’intenzione reale era fin dall’inizio di liberare queste donne dalla prigionia criminale dei jihadisti e riportarle alle loro famiglie. Tuttavia i tentativi non sembrano finora aver avuto un esito positivo.

(Credit: Adnkronos, Shafaq) © RIPRODUZIONE RISERVATA