Ebola, tutto quello che vorreste sapere e non avete avuto il coraggio di chiedere. Oms sperimenta vaccino canadese

Cos’è? Come attacca? Come ci si può proteggere? Ebola, questo sconosciuto. Conoscere per tenderlo a distanza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sperimenta in Svizzera le prime 800 dosi inviate da Ottawa

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Roma – A parte le farneticanti articolesse pubblicate da qualche cronista fai-da-te sui social media (ma il procurato allarme è ancora un reato o è stato derubricato a scherzo? Ah saperlo…), che la diffusione del virus ebola sia un business per tanti, è lapalissiano. Lo è per tante aziende che forniscono i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) utilizzati dai medici, dai paramedici e dal personale impegnato in Africa Occidentale e in giro per il mondo nel tentativo di contenere e sconfiggere l’attuale focolaio. Lo è sicuramente per l’azienda che ha pensato di sdrammatizzare le fobie di molti adulti, inventando un peluche con la forma del virus visto al microscopio a fluorescenza (sviluppato da Eric Betzig, William Moerner e Stefan Hell, che per questo sono stati premiati con il premio Nobel per la Chimica 2014).

Tornando alle cose serie, ahinoi, il virus della febbre emorragica prende il nome dal primo focolaio della malattia, registrato nel 1976 nella valle del fiume Ebola dell’allora Zaire (l’attuale Repubblica Democratica del Congo). Da allora a oggi, sembra essersi innescata un’epidemia senza fine, di tale gravità da spingere le Nazioni Unite a definirla una “emergenza di proporzioni mai viste“.

20141021-ebola_virus-655x436Un allarme rosso che dall’Africa occidentale si è allargato al mondo, che impegna autorità sanitarie, organizzazioni umanitarie e istituzioni globali in “una corsa contro il tempo” in cui – almeno per ora – il virus sembra avere un vantaggio che la ricerca sta alacremente cercando di ridurre, per poi effettuare uno storico sorpasso – si spera in poche decine di mesi – con un vaccino che possa prevenire l’insorgenza della malattia.

Ma cos’è e come nasce l’infezione da Ebola? Come si trasmette, come distinguere i sintomi e come si sta difendendo l’Italia? Grazie al portale Adnkronos Salute, riportiamo le risposte di Maria Rita Gismondo, responsabile del Laboratorio di microbiologia dell’Ospedale Sacco di Milano, ‘hub tricolore‘ anti-Ebola insieme all’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, che coordina la strategia nazionale contro l’epidemia.

COS’E’ EBOLA? – “Ebola – spiega la dottoressa Gismondo – è un’infezione virale descritta per la prima volta a metà anni ’70 del secolo scorso. Da allora in Africa si erano registrati una decina di focolai, limitati a un massimo di circa 300 casi accertati”. Niente a che vedere con i numeri d’oggi, “senza precedenti. Quelle in corso sono 2 epidemie autonome, una partita dalla Guinea e l’altra dalla Sierra Leone, causate da 2 ebolavirus differenti“. Sotto accusa “la massiccia deforestazione” che ha interessato le zone ‘epicentro’ dell’epidemia. “Il serbatoio virale è infatti rappresentato da animali selvatici e in particolare dai pipistrelli della foresta“, che non potendo più contare sul loro habitat “hanno invaso i centri abitati causando un’esplosione epidemica improvvisa mai verificatasi prima”. L’infezione viaggia al ritmo di diverse centinaia di casi a settimana. “La mortalità media è intorno al 50%, con punte del 90% in alcuni villaggi”.

COME SI TRASMETTE IL VIRUS? – “Per la trasmissione del virus Ebola bastano banalissimi contatti con liquidi biologici infetti: sangue, sudore, urine, feci e sperma“. Nel liquido seminale maschile “è stata dimostrata la presenza attiva del virus fino ad almeno 7 settimane dopo la guarigione“. Una indicazione di sicurezza in più nell’ottica della prevenzione. È sufficiente avere pochi millimetri di cute scoperta – avverte l’esperta – e toccarsi con una mano entrata in contatto con un liquido del malato“.

In linea teorica non è esclusa una futura trasmissione per via aerea: “Quando un virus permane per molto tempo in una popolazione, il microrganismo può subire mutazioni infinite e imprevedibili. Compreso un cambiamento delle modalità di trasmissione, che per ora non si è verificato“, rassicura la microbiologa.

QUALI SONO I SINTOMI DELL’EBOLA? – “La difficoltà principale, specie nella valutazione di persone provenienti dalle zone colpite dell’Africa – continua Gismondo – resta la diagnosi differenziale poiché i primi segni dell’ebola sono simili a quelli di malattie endemiche in quelle aree come la malaria, la Dengue o il virus Marburg“, quest’ultimo ‘parente’ stretto di ebola.

La premessa necessaria per parlare di caso sospetto è che nei 21 giorni precedenti ai sintomi il paziente sia stato nei Paesi colpiti o abbia avuto contatti con qualcuno che ci vive“.

I primi campanelli d’allarme sono febbre alta (oltre i 38,5°C), mal di testa, astenia, nausea, vomito e diarrea. Dopo di che “l’evoluzione dipende dalle difese individuali e dalla carica virale: può verificarsi già dopo i primi 2 giorni fino a oltre le prime 3 settimane, con la possibile comparsa di emorragie diffuse in tutto il corpo”.

QUALI SONO LE TERAPIE? – Quando insorgono i sintomi emorragici “la possibilità di salvare il paziente è molto bassa. La battaglia contro l’ebola si gioca all’inizio, nelle prime ore – ammonisce l’esperta – con una diagnosi corretta e tempestiva e con un trattamento a base di idratazione ed eventuali trasfusioni. I mezzi oggi sono pochi e le terapie allo studio tutte ancora sperimentali“, puntualizza.

COM’E’ ORGANIZZATA LA FRONTIERA ANTI-EBOLA IN ITALIA? –L’Italia ha due centri di riferimento nazionali: l’Istituto Spallanzani a Roma e l’Ospedale Sacco a Milano. Se al pronto soccorso di qualunque ospedale arriva una persona con sintomi sospetti – illustra Gismondo – l’ospedale lo ferma e chiama l’infettivologo di uno dei 2 centri di riferimento, reperibile h24, che analizza la storia del paziente. Se si tratta effettivamente di un caso sospetto, viene inviato un campione da analizzare ai centri di riferimento. Noi lo esaminiamo al massimo livello di protezione (livello 4). La prima risposta viene data entro 3 ore e la conferma entro 12“.

COSA SUCCEDE SE IN ITALIA UN PAZIENTE RISULTA POSITIVO? – “Il paziente positivo al virus ebola deve essere portato immediatamente in uno dei due centri di riferimento”, spiega ancora la dottoressa Gismondo. “In base alla distanza dell’ospedale in cui si trova, viene trasferito a bordo di un’ambulanza di autocontenimento“, attrezzata per ospitare malati altamente contagiosi, “o di un mezzo dell’Aeronautica militare che dispone dell’aereo più quotato e qualificato in Europa per il trasporto e la terapia del paziente“. Una volta in ospedale, tutto avviene all’interno di due aree ‘bunker’, entrambe a livello di sicurezza 4: “Da un lato le stanze di isolamento nel Reparto di malattie infettive, dall’altro la zona del Laboratorio deputata al trattamento di tutti i campioni del malato. Chiunque lavori in queste aree, sia a contatto con il paziente che con il suo materiale biologico, adotta identiche precauzioni: scafandri che proteggono tutto il corpo e respirazione artificiale” simile a quella dei sub in immersione. “Tute anti-contagio dentro le quali un tecnico può restare anche 3 o 4 ore. Trenta minuti per vestirsi, 20 per spogliarsi”. Il minimo errore può costare la vita.

OMS TESTA VACCINO CANADESE – Per il successo della “gara” contro il virus ebola è decisiva la ricerca scientifica, in cui tutta la comunità mondiale è impegnata, sia in ambito civile che militare. In questo quadro, il Canada ha inviato un primo lotto di dosi del vaccino sperimentale diretto all’ospedale di Ginevra, dove sarà testato per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Lo ha annunciato il ministro della Sanità canadese, Rona Ambrose.

Abbiamo avviato la prima consegna del vaccino sperimentale canadese”, la prima di tre forniture previste per un totale di 800 dosi, ha precisato Rona Ambrose durante un press meeting a Ottawa. Queste tre spedizioni – divise per motivi di sicurezza – saranno effettuate con collegamenti aerei direttamente dal National Microbiology Laboratory di Winnipeg, per limitare i rischi di deterioramento dei vaccini in caso di “cattiva regolazione della temperatura“, ha spiegato. “Il vaccino deve essere conservato nel ghiaccio secco a una temperatura di -80 gradi“, ha concluso. Una speranza in più per il “sorpasso” della scienza sulla malattia.

(Adnkronos, agenzie)