“Frank”, favola surreale sulla creatività intangibile e senza volto

Nelle sale dal 30 ottobre la frizzante “dramedy” inglese con Michael Fassbender

20141028-Frank-recensione

I tastieristi non sembrano passarsela affatto bene nella band (dall’impronunciabile nome) di Frank, leader di un nutrito gruppo di freaks, deviati e completamente alienati. Uniti dall’unicità della loro creatività e dal non volersi fare contaminare, impossibili da capire ma facili da comprendere. Le carte saranno scombinate dall’arrivo di Jon, giovane musicista in cerca d’ispirazione che si unirà al gruppo per le registrazioni del nuovo imminente album; dopo un anno faticoso trascorso in un improvvisato studio di registrazione, arriverà la svolta: esibirsi al South by Southwest, in Texas, per un successo a cui forse solo Jon ambisce.

Cosa intendiamo oggi per creatività, per celebrità o per semplice fenomeno virale? Cos’è il successo nell’epoca digitale?

Frank non è un prodotto di facile consumo, e non vuole esserlo. Così come la musica degli “Soronprfbs” non vuole in nulla e per nulla assecondare i gusti del pubblico, ma nasce esclusivamente per soddisfare i sensi di chi la crea e produce. In fin dei conti è questo che fa di “Frank” uno dei migliori film dell’anno, sincero fino al midollo nel raccontare una storia all’apparenza lineare ma che è ben possibile destrutturare per essere ricomposta e reinterpretata sotto ottiche differenti.

Il personaggio di Frank, ispirato a diverse figure della scena musicale inglese e americana (su tutti il personaggio di Frank Sidebottom impersonato da Chris Sievey) è l’emblema dell’artista tormentato, del genio che molto spesso nel panorama creativo sconfina nella malattia mentale (basti pensare alla schizofrenia di Syd Barrett, poi degenerata a causa dell’abuso di LSD). Quanto si è disposti a cedere al pubblico in cambio del successo, col rischio di tradirsi, snaturarsi. È quello che il vero artista non farà mai, sebbene possa anche accusare momenti di cedimento (di cui si è reso protagonista persino il camaleontico David Bowie, nel corso della sua sfolgorante carriera).

Ed è quello che Jon, interpretato da un Domhnall Gleeson in perenne ascesa, non riesce a capire; uno dei dolori più brutti per un aspirante artista è il rendersi conto di essere in realtà solamente un mediocre. Così, in cerca di un successo facile e aiutato oggi dall’espansione epidermica dei social network, si convince di poter raggiungere il livello di creatività della sua nuova e intrigante comitiva senza la fatica necessaria che questa necessariamente comporta. A Jon però mancherà sempre il “tocco magico”, quello di cui Frank sembrerebbe voler fare volentieri a meno, e che implica una situazione particolarmente complicata e difficile da gestire.

Tutti i personaggi che compongono la band di Frank sono dei freaks perennemente calati nei loro ruoli, apparentemente infelici e depressi, in realtà estasiati da questa condizione, un elemento che ricollega indirettamente il film a “Solo gli amanti sopravvivono” di Jim Jarmusch, dove il regista americano esaltava la malinconia del reietto, dell’amante dell’arte, colui che dona anima e corpo senza ricevere nulla in cambio.

La regia di Lenny Abrahamson, giunto al suo quarto film, compie quel balzo ideale verso un nuovo stadio della sua filmografia; mai perfettamente lineare e forse solo un po’ irrigidita nel finale (probabilmente per limiti di budget). Senza dubbio è un nome che ci piacerebbe sentire nuovamente.

Quasi inutile sottolineare la bravura di un attore come Michael Fassbender, capace di articolare il suo stralunato personaggio grazie a una serie di accorgimenti, fisici e vocali, che da soli valgono un’intera filmografia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Il trailer italiano di “Frank”