Ponte sullo Stretto, Nencini: “Possono esserci capitali stranieri interessati” – Video

Lo sviluppo dei collegamenti – tra Sicilia e Continente – ora stretti in un oligopolio dagli aspetti grotteschi – dovrebbe essere una priorità per il Paese Il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti – ospite di ‘Incontri Adnkronos’ – ha mostrato interesse per non pagare una penale (dovuta) e rendere produttivo un impegno che sarebbe una inutile dilapidazione di risorse. “Non può dirsi un’opera archiviata, bisogna chiedersi se serve”. Il ritardo infrastrutturale della Sicilia impone soluzioni concrete: “O il ponte o aumentiamo i servizi via terra e via mare. Tertium non datur

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Roma – Il ponte di Messina è un’opera che non può dirsi archiviata. “Potrebbero esserci capitali stranieri interessati a realizzarlo“, ha affermato Riccardo Nencini, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, intervistato dall’Adnkronos al Palazzo dell’Informazione. Nencini ha precisato che “non è un’affermazione generica”, quindi esiste la possibilità economica di realizzarla con costi sottratti dal bilancio dello Stato, presumibilmente in un’ottica di project financing.

20141030-riccardo-nencini-320x213Nencini vuole “mettere il punto interrogativo accanto alla frase ‘il ponte di Messina è un’opera archiviata’”, perché si tratta di un’infrastruttura “segnata da un fattore simbolico eccessivo“, per una semplice – quanto incredibile – causa: è “collegata al nome e al cognome Silvio Berlusconi“. Una conditio ad excludendum ad personam, si direbbe, ammantata di ecologismo cieco, con molto paradigma “NIMBY” (Not In My BackYard, non nel mio giardino, ndr).

Un’opera che “ha generato nel tempo una frattura tra chi sta di qua e di chi sta là senza possibilità di ragionare sui contenuti“. Per questo “fuori dai simboli“, secondo il viceministro, “la domanda da porsi è se vi sia una utilità vera di quel ponte, un’utilità per la mobilità delle persone e delle cose e quindi per la civiltà di un Paese“. Uno sguardo al pragmatismo serve al Paese, su cui pesa un ritardo infrastrutturale generale non degno di una grande nazione, e che in Sicilia assume i connotati dello scandalo.

Il problema, a nostro avviso, è che lo stato fatiscente delle infrastrutture viarie e ferroviarie è utilizzato come argomento per negare che il ponte sullo Stretto di Messina può avere un ruolo nello sviluppo del Meridione, invece secondo noi lo ha, lo avrebbe. Certo, costruire il ponte e lasciare inalterato lo stato delle reti – materiali e immateriali – sarebbe un buco nell’acqua, ma l’esistenza di capitali stranieri interessati a investire su un’opera di così elevato valore simbolico, potrebbe consentire lo storno di investimenti statali nel miglioramento radicale e decisivo delle reti viarie e ferroviarie meridionali.

Infatti, il valore simbolico dell’abbattimento della separazione fisica tra Sicilia e Continente causerebbe anche una scossa psicologica per i siciliani (e i calabresi), che perderebbero (perderemmo) tale argomento per giustificare un intollerabile ritardo di sviluppo a dispetto della ricchezza di risorse umane e materiali di cui gode il Sud. 

Del resto, ha ragione Nencini quando dice che lo stato dei collegamenti tra Sicilia e Continente impone scelte per soluzioni concrete: “O il ponte o aumentiamo i servizi via terra e via mare. Tertium non datur“. Come molti sanno, oggi i collegamenti tra Continente e Sicilia è esercitato da un cartello duopolistico gestito dalle Ferrovie dello Stato e da Caronte Tourist, con una qualità che è sotto gli occhi di tutti (come, per esempio, è sotto gli occhi di tutti che agli imbarcaderi sono attivi venditori ambulanti di ogni genere di mercanzia, compresi CD/DVD falsi, senza che alcuno intervenga: ma questa è, forse, un’altra storia…).

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